INTERVISTA a Dallapiccola: coppie tutelate dal rischio-business

Dicono che la legge sulla procreazione artificiale è “antiscientifica” e che “penalizzerà la ricerca”. Professor Bruno Dallapiccola, lei è ordinario di genetica alla Sapienza e direttore dell’istituto Mendel. Concorda?
Ma quando mai. Io non sono minimamente preoccupato. Credo invece che ci sia bisogno più che mai di una legge che metta dei paletti nella giungla della fecondazione assistita. Lo scenario in cui agiscono i circa 400 centri specializzati, 30 dei quali coinvolti anche nelle diagnosi preimpianto, è quello di un mercato finalizzato più al prestigio degli operatori che agli interessi delle coppie. Questa legge ci vuole. D’accordo, non accontenta tutti e poteva essere migliorabile. Ma oggi è più importante regolamentare il settore che lasciarlo così.

Intende dire che dietro all’attuale libertà pressoché totale dei centri non c’è tanto la grande ricerca scientifica ma il business?
Sicuramente, anche se esistono alcuni centri, pochi, che lavorano con rigore. Questa legge ci mette in linea con la raccomandazione del Parlamento europeo che dal 1989 chiede di prendere in considerazione tutti gli attori dello scenario: non solo i genitori che legittimamente desiderano un figlio, ma anche l’embrione che Strasburgo da tempo chiede sia tutelato. Questa legge non nasce dal nulla.
 
E qual è secondo lei il limite più importante?
Il divieto di tutte le possibili manipolazioni nelle prime fasi della vita, compresa la diagnosi preimpianto. Che oggi fra l’altro è ancora sperimentale e ha un 3% di errore. Chi dice che così si vuole far nascere a tutti i costi figli con difetti congeniti dice una cosa falsa: durante le gravidanze oggi vengono monitorizzate le talassemie, le fibrosi cistiche, le distrofie muscolari con gli esami sui villi coriali.
 
Altri capisaldi della legge?
Il consenso informato: chi si sottopone alle tecniche deve sapere esattamente cosa va a fare. Oggi non è così: per esperienza so che in molti centri non si danno tutte le informazioni…
 
…perché problemi risolvibili in modi meno remunerativi vengono dirottati verso le più lucrose tecniche di fecondazione artificiale?
Esatto. Se le donne che si sottopongono a interventi di vero “accanimento riproduttivo” ricevessero correttamente tutte le informazioni, in parte rinuncerebbero.


Dicono anche che impedire la creazione di embrioni sovrannumerari limiterebbe la ricerca sulle staminali embrionali
Le cellule staminali non sono state inventate dopo la clonazione della pecora Dolly, sono usate dall’inizio degli anni 90. E le staminali usate oggi per le ricostruzioni di midollo, pelle, cornea, cuore infartuato, sono solo e unicamente cellule staminali di adulto. Chi vuole esercitarsi a “giocare” con le staminali embrionali potrà continuare a farlo: sono in commercio 75 linee e la legge italiana lo consente.
 
Non tutta la scienza allora scommette sulle staminali di embrioni?
Proprio Ian Wilmut, il “padre” di Dolly, ha raccomandato una forte cautela sull’uso delle staminali nei progetti di clonazione terapeutica, perché si tratta di cellule ancora troppo poco conosciute, instabili, che nelle applicazioni terapeutiche potrebbero avere conseguenze negative, come sviluppare tumori.


A proposito di embrioni: il limite di tre viene criticato.
Concordo. Ma perché tre sono troppi. Da due anni è noto che ne basterebbero due.
 
Insomma, non è una legge oscurantista.
No. Serve a salvaguardare i pazienti dagli abusi. E poi si tratta di un atto medico: senza invocare Ippocrate, rimettiamo i piedi per terra, la medicina sta partendo per la tangente, ha perso il controllo delle barriere etiche: non è detto poi che bisogna fare i figli a ogni costo. Ci sono accanimenti che hanno prodotto una percentuale di bambini con problemi – malformazioni, anomalie genetiche – doppi rispetto alla procreazione naturale. Fatti documentati.


Luca Liverani
Avvenire 11 Dicembre 2003