Giuliano Ferrara pungente contro il divorzio


Purtroppo, è vero. Nostra moglie è fuggita con la cameriera

 

di Giuliano Ferrara – (C) IL FOGLIO – 11 dicembre 2006

Irrompe nelle discussioni un po’ grigie sul disfacimento della famiglia tradizionale, cioè della famiglia, un manifesto 6X3 affisso nell’Upper Dean Street, a Birmingham, Gran Bretagna.
C’è scritto: «Siete le persone più spregevoli che io conosca, le più disoneste che io abbia mai incontrato. So quello che avete fatto e sono disgustata. Caro Mark, ho cambiato le serrature, dato fuoco ai tuoi vestiti e, soprattutto, ho svuotato i conti cointestati per pagare questo poster». Una donna tradita dal marito, Mark, che se la fa con la sua migliore amica, decide di socializzare le corna via e-mail, raggiunge una stazione radio, chiede consiglio ai conduttori e si risolve al gran gesto di scrivere sui muri il suo disprezzo per l’adulterio. «Non è un gioco – spiega – ma solo il modo per restituire quanto dovevo al bastardo a cui avevo dedicato la maggior parte della mia vita adulta». Molto precisa, come formulazione.

Da quando si uniscono, uomini e donne si tradiscono. Non sempre, spesso. Ma non se ne sono mai compiaciuti legalmente fino a quando inventarono il divorzio rapido e seriale, la consacrazione del diritto all’adulterio. Non il ripudio antico, veterotestamentario o di diritto romano o coranico, che era un modo per sancire l’appartenenza giuridica della femmina al maschio, un atto di autorità privo di compiacimento e di indulgenza, ma per l’appunto il divorzio moderno: il matrimonio è un contratto, un pacs tra liberi contraenti, e possiamo scioglierlo serenamente quando vogliamo, stipulando certe condizioni che il diritto recepisce nel codice matrimoniale. Nel caso degli accordi prematrimoniali tra persone di un certo peso economico e sociale, poi, come nota Roger Scruton si tratta di un matrimonio inteso come semplice preparazione al divorzio.

Il cristianesimo, anzi Cristo Gesù in prima persona, aveva fatto un’altra scelta. Con la sacramentalizzazione del matrimonio, che l’uomo non può sciogliere perché contratto in nome di Dio e unto dal Signore, ci si è allontanati dalla diseguaglianza strutturale tra uomo e donna, tipica del ripudio asimmetrico, e dalla definizione clanica o tribale della società. La retorica familiare e familista dei cattolici, di cui il mondo secolarizzato ha una grande ansia di emanciparsi, nasce da quell’impulso di liberazione dai gioghi sociali più arretrati, se posso usare un termine così perfettamente corretto. È stato a suo modo un progressus, vogliamo ammetterlo? Poi è arrivata l’idea grottesca, ma ideologicamente irrecusabile al tempo nostro, che due si sposano e poi divorziano, si risposano e ridivorziano, si risposano ancora e ridivorziano ancora in una giocosa girandola di diritti che negano diritti, doveri che si negano da soli, destini che si rinnegano per intrecciarsi con altri, nuovi destini rinnegabili.

Il divorzio complicato e lungo segnalava una certa aura d’eccezione, ma quello breve zapateriano, tre mesi e via, fa capire bene il senso dell’impresa divorzista: la fine del matrimonio in ogni sua forma autolegittimante e di radice cristiana, come unione per amarsi e procreare e educare figli e santificare anche laicamente l’istituzione sociale della famiglia, e la sua sostituzione con un più liberale, individualistico, kantiano diritto provvisorio all’uso degli organi sessuali del partner (commercio sessuale era proprio la formula del filosofo di Konigsberg nella sua Metafisica dei costumi).

Dunque alla radice di tutto questo discutere della famiglia allargata e sconfinata anche in relazione alla diversità di genere, per esempio la famiglia di Mary Cheney e Heather Poe e del bambino in arrivo per la coppia lesbica più famosa del mondo («Sono molto felice per loro», ha detto l’altro uomo più cattivo del mondo dopo Dick Cheney, George Bush), sta l’adulterio legalizzato. E’ chiaramente un insensato chi pensi che la famiglia è l’unione stabile una volta per tutte tra un uomo e una donna, possibilmente con generazione ed educazione di figli, e che l’eccezione a questo schema debba essere compresa con amore, regolarizzata nella tutela dei diversi interessi in gioco, ma considerata istituzionalmente un fallimento dell’ipotesi maggiore, un fallimento al quale possa seguire una vita felice e socialmente riconosciuta, anche nei diritti conseguenti a diversi legami affettivi, che però non intacchi l’originalità e unicità della formula di rito matrimoniale classica. Io sono un insensato.

Anche il compianto professor Amintore Fanfani, quella figura buffa di democristiano dalla lingua aretina puntuta, quel perdente per antonomasia della battaglia della modernità italiana, era un insensato. Però era anche un mago. E quando io facevo campagna per il divorzio, con la coscienza in discreto subbuglio visto il mio conservatorismo morale di antica data e la mia strana logica per cui se uno pensa al divorzio è meglio che non si sposi, e liberi tutti di convivere come si voglia, Fanfani invece comiziava da strabuzzare gli occhi e le orecchie degli astanti, e stampava sui manifesti questa frase: «Se arriva il divorzio, vostra moglie fuggirà con la cameriera». Quanto abbiamo riso di quella formula pazzotica, e quanto era in effetti ridicola nel suo intimidatorio realismo predittivo.