Fecondazione artificiale e Magistero della Chiesa

9 gennaio 2005 ZENIT.org


Gentile dott.ssa Navarini,
“volevo chiederle se in merito alla fecondazione assistita esiste qualche documento pubblicato dalla Chiesa Cattolica sulla posizione da lei assunta”


Il Magistero della Chiesa ha assunto posizione innumerevoli volte sul tema della fecondazione artificiale. Il documento forse più citato e più esaustivo sul punto è l’Istruzione sul rispetto della vita nascente e la dignità della procreazione Donum Vitae, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Dottrina della Fede nel 1987. L’impostazione del documento è stata poi ripresa dalla Carta degli Operatori Sanitari , al n. 22 (Pontificio Consiglio per la Pastorale degli Operatori Sanitari, 1995) e nell’Enciclica Evangelium Vitae (1995). Numerosissime sono poi le riprese del tema da parte del Santo Padre nei suoi discorsi e messaggi (cfr. ad esempio Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti all’assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la Vita , 21 febbraio 2004).

In tutti i pronunciamenti è ribadita la medesima posizione: la fecondazione artificiale, omologa o eterologa, costituisce sempre un grave disordine morale, perché snatura l’atto coniugale, sostituendosi ad esso e annullando la presenza delle persone nell’atto del concepimento, e perché compromette la vita del concepito, per la fisiologica e prevedibile (talora esplicitamente ricercata) perdita di vite umane tipica di ogni fecondazione artificiale (cfr. C. Navarini, Chiesa Cattolica e GIFT: spunti per una valutazione d’insieme ZENIT, 24 ottobre 2004).


Basti pensare che in un ciclo di FIVET – considerando gli embrioni effettivamente trasferiti in utero, quelli che si impiantano e quelli che continuano il loro sviluppo – la probabilità degli embrioni prodotti in vitro di arrivare alla nascita non supera il 10 % (cfr. Assisted Reproductive Technology in the United States and Canada. 1994 results generated from American Society for Reproductive Technology Registry, Fertil Steril 1996, 66: 697-705).


L’unica modalità eticamente corretta di utilizzare la tecnologia a fini procreativi è quella di servirsene come di un aiuto all’atto coniugale, affinché tale atto normalmente condotto possa meglio raggiungere un suo scopo fondamentale, ossia la procreazione. In questo senso, il Magistero riconosce come lecita la possibilità di stimolare l’ovulazione con farmaci, o anche di aiutare gli spermatozoi nel cammino che devono compiere fino all’ovulo attraverso l’inseminazione artificiale omologa impropriamente detta, in cui gli spermatozoi prelevati dal fondo della vagina o da condom perforato dopo un atto coniugale vengono ri-iniettati nelle vie genitali femminili per “sospingerli un po’ più in là”, ad esempio in presenza di oligospermia e/o di astenospermia. Come afferma la Donum Vitae, n. 7: “L’intervento medico è rispettoso della dignità della persone quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato normalmente compiuto”.


La dissociazione fra atto sessuale e atto procreatore è infine denunciata dal Catechismo della Chiesa Cattolica (1992), nella sezione L’amore degli sposi (nn. 2360-2379), che si conclude con la seguente osservazione: “Il Vangelo mostra che la sterilità fisica non è un male assoluto. Gli sposi che, dopo aver esaurito i legittimi ricorsi alla medicina, soffrono di sterilità, si uniranno alla croce del Signore, sorgente di ogni fecondità spirituale. Essi possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo” (n. 2370).