Emanuele Severino la filosofia non la sa mica tanto bene…

Aristotele, l’embrione e il paradosso di Severino di Giuseppe Romano


© IL DOMENICALE – Anno III – Numero 50 – 11 dicembre 2004



Paradossale. Emanuele Severino invoca Aristotele per irridere i cattolici, colpevoli di condividere con quel filosofo una visione della realtà “oggettiva”, dove gli effetti derivano dalle cause e le conseguenze seguono le premesse. Severino argomenta contro la difesa “aristotelica” dell’embrione. Dice più o meno così: per Aristotele e seguaci l’embrione è un uomo-in-potenza. Ma se nell’embrione è contenuta la possibilità di essere uomo, è contenuta anche la non-possibilità.


Chi non si accontenta di questa sommaria spiegazione vada a riprendersi il Corriere della Sera del 1° dicembre, in prima pagina. La troverà più lunga e più confusa sotto il titolo L’embrione e il paradosso di Aristotele. Chi invece si accontenta ci segua nel ragionamento pseudoaristotelico-severiniano.



Severino vorrebbe contrapporre l’embrione all’uomo fondandosi sul fatto che la possibilità si distingue dall’attualità in quanto implica l’eventualità del suo opposto. Se dico “è possibile che vada a Roma” intendo che forse non ci andrò. Se invece dico “sono a Roma” non c’è ombra di dubbio, né spazio per ripensamenti. L’embrione sarebbe incamminato verso l’umanità, ma, finché non l’avrà raggiunta, non sapremo se ci arriverà davvero. Il problema di Aristotele, per Severino, sta nel fatto che distinguendo rigorosamente e causalmente e finalisticamente la realtà, egli non può riprendere con una mano ciò che sottrae con l’altra.



Ne deriverebbero guai soprattutto per i “seguaci cristiani” di Aristotele: infatti essi, sporgendosi troppo, hanno preteso che la loro difesa dell’embrione (a scopi religiosi) abbia statuto non teologico ma scientifico. E cioè che la questione dell’umanità dell’embrione sia inequivocabilmente dimostrabile con l’argomento della continuità fra “potenza” e “atto”. Tant’è vero, asserisce trionfante Severino, che su questo preciso fatto i cattolici sono d’accordo con i non cattolici: c’è un “prima” e c’è un “dopo”, prima l’embrione e dopo l’uomo. La contrapposizione inizia sulla “scientifica” consequenzialità del passaggio fra il prima e il dopo: laddove i cattolici la pretendono, gli altri la negano.



A parte il fatto che ridurre la supposta contrapposizione a una questione fra cattolici e non cattolici, cioè a una questione religiosa, nega a posteriori l’apriori di Severino sulla “scientificità non teologica” della posizione cattolica, il problema (di Severino stesso) sta nel non prendersi a carico tutto Aristotele. Se l’avesse fatto, avrebbe dovuto infatti – ne abbiamo parlato da poco su queste pagine – abbracciarne anche il principio di non contraddizione, insieme a quello potenza-atto. E avrebbe dovuto dedurne che sì, c’è un “prima” e un “dopo”, ma non in assoluto. Dire che l’embrione sarà uomo non significa che adesso assolutamente non sia uomo. Significa piuttosto che si trova in una fase di sviluppo. Uno sviluppo continuo e autonomo. Dire che l’embrione non è uomo è diverso da dire, per esempio, che un pezzo di ferro non è una spada finché qualcuno non lo forgia. Il pezzo di ferro è “in potenza” una spada, ma potrebbe diventare a ugual titolo aratro, martello, fibbia. Ed è corretto dire che in sé il pezzo di ferro contiene contemporaneamente e allo stesso modo aratro e non-aratro, martello e non-martello, spada e non-spada.



Il concetto di “potenza”, applicato all’embrione, è di altro tipo. Mentre il pezzo di ferro non ha parentele specifiche con la spada e l’aratro, l’embrione è invece vincolato a quel concreto uomo che sarà un giorno. Per riprendere un esempio impropriamente accampato da Severino, è vero che lo scapolo non è “contenuto” nell’ammogliato, ma tirare in ballo questo principio per l’embrione è errato: “scapolo” è il pezzo di ferro rispetto alla spada e all’aratro, non l’embrione rispetto all’uomo. Da scapolo posso sposare una o un’altra donna libera o nessuna, senza altri precondizionamenti. Non posso invece avere fratelli se non dai miei genitori: questa relazione è più stringente, pur rimanendo nel campo del possibile e dell’eventuale. L’embrione è una sorta di “fratello a se stesso”, dotato rispetto al proprio divenire di una relazione reciproca e irrinunciabile.



Ma la verità sottostante l’argomentazione di Severino è tutt’altra. Rispetto alla quale tutte le chiacchiere filosofesche da lui inanellate sono pretestuose. Lo dimostra la frase che egli accolla ai luidicenti interlocutori aristotelici: costoro secondo lui definirebbero l’embrione come un “esser-giàuomo in potenza”. Frase che però non ha diritto di cittadinanza sotto cieli aristotelici: in virtù del principio di non contraddizione, infatti, l’embrione è già uomo quanto alla sostanza (del tutto uomo), e non lo è quanto alla temporalità della vita. Non c’è alcuna “potenza” rispetto all’umanità in assoluto. L’embrione è già uomo, o non lo sarà mai.



Diciamola tutta: la relazione che c’è fra l’embrione e l’essere umano è tale per cui l’unica maniera per evitare l’accusa di omicidio rispetto all’eliminazione degli embrioni è quella di spezzarne la continuità. Dimostrare o almeno dire, cioè, che c’è un momento in cui l’embrione non è un uomo, o non ancora. Che è “scapolo” rispetto all’uomo.



La prima delle due ipotesi – dimostrarlo – è impossibile. La seconda – dirlo efficacemente – richiede arti sofistiche. Alla resa dei conti (quella che Severino vorrebbe eludere parlando di scapoli e di potenze e di opposti) è davvero difficile stabilire a qualsiasi titolo una linea precisa prima della quale l’embrione non sia uomo e dopo sì. Lo stesso problema potrebbe porsi per altre fasi della vita umana: perché l’embrione no e il feto sì? Perché quello di tre mesi no e quello di cinque (che sopravvive in incubatrice) sì? Perché quello di nove mesi no e il bambino di due anni (meno autosufficiente del feto nell’utero) sì? Dove comincia l’uomo, se non dall’embrione? E un ventenne è più o meno uomo di se stesso quarantenne o sessantenne? Domande davvero paradossali, queste sì. E ancor più paradossale risulta che qualche uomo voglia eluderle. Altro che Aristotele.