Don Camillo in edicola…

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“Il compagno Don Camillo” 
 
Il viaggio in Urss raccontato da Giovannino Guareschi è di ben altra pasta rispetto a quelli degli intellettuali comunisti o simpatizzanti per la falce e il martello…


In edicola dal 1 febbraio col quotidiano LIBERO

Domani il primo libro di Guareschi 
 
Il viaggio in Urss raccontato da Giovannino Guareschi ne “Il compagno Don Camillo” (in edicola da domani col quotidiano LIBERO al prezzo speciale di 2 euro più il costo del giornale) è di ben altra pasta rispetto a quelli degli intellettuali comunisti o simpatizzanti per la falce e il martello. I viaggi in Unione Sovietica, negli anni Cinquanta e Sessanta, erano infatti una consuetudine per militanti e scrittori. I più tornavano colmi di entusiasmo, convinti di aver visto con i propri occhi il futuro dell’umanità: giustizia, eguaglianza, progresso, ricchezza. Altri, forse più scettici sulla realtà sovietica, risolvevano la questione buttandola sul sentimentale e sul bozzetto paesaggistico. Don Camillo riesce a infilarsi in una spedizione premio riservata a dieci eletti, dieci compagni di provata fede (comunista) ritenuti degni di visitare il “paradiso” sovietico. Ovviamente, deve farsi passare per un compagno e nascondere la sua vera identità. Nessun problema. Anzi, un problema ci sarebbe. Fra gli “eletti” infatti c’è l’onorevole Giuseppe Bottazzi, Peppone per gli amici, l’eterno alter ego di Don Camillo. Peppone però non può parlare, perché ha qualche peccatuccio da farsi perdonare. Da quando è entrato in Parlamento, non è più lo stesso. Qualcuno potrebbe insinuare che è diventato molto, troppo simile agli odiati “borghesi”. Quei comunisti duri e puri Don Camillo quindi si “traveste” da comunista duro e puro. In aereo e in torpedone legge avidamente i pensieri di Lenin. O almeno così sembra, perché dietro alla rossa copertina c’è in realtà il Vangelo. Inoltre prende spesso appunti con una strana penna. Così strana da trasformarsi in un crocifisso portatile. Gli italiani in gita non sono certo liberi di andare dove vogliono. I dirigenti russi controllano tutti i movimenti e mostrano loro solo i fiori all’occhiello dell’industria e dell’agricoltura sovietica. Ma non riescono comunque a nascondere la miseria e l’oppressione del popolo sovietico. Anche perché Don Camillo ricorre a ogni astuzia per smascherare le menzogne della propaganda. In realtà in Unione Sovietica non funziona nulla. Si costruiscono migliaia di trattori, certo. Purtroppo è impossibile metterli in moto. Si coltivano i campi nelle aziende di Stato. Purtroppo la produzione è inferiore a quella precedente la rivoluzione. Ci sono enormi Magazzini Universali. Purtroppo la merce sugli scaffali latita e per comprare un paio di calze bisogna rifornirsi al costoso mercato nero. Insomma, si campa come si può. Si imbandiscono banchetti trionfali. Ma il menù è sempre lo stesso: zuppa di patate e cavoli. Per dimenticare lo squallore, si trinca vodka a volontà. E si prega, si prega moltissimo. Ma di nascosto per non subire ritorsioni politiche. Per fortuna Don Camillo ne sa una più di Stalin, e riesce ad aprire gli occhi ai suoi compagni di viaggio. Alla fine anche Peppone, per una volta, sembra avere qualche dubbio sulla bontà delle “ricette” di Marx. Si ride molto, com’è consuetudine con Guareschi. Ma “Il compagno Don Camillo” ha anche qualche passaggio amaro. Non a caso, il libro è dedicato «ai soldati italiani morti combattendo in Russia e ai 63 mila che, caduti prigionieri nelle mani dei russi, sono scomparsi negli orrendi Lager sovietici, e di essi ancora s’ignora la sorte». Senza dimenticare i crimini di casa nostra, in particolare «i trecento preti emiliani assassinati dai comunisti nei giorni sanguinosi della Liberazione». Guareschi ricorda, in pagine commoventi, gli uni e gli altri. C’è poi una dura critica al mito del progresso. Don Camillo resta di stucco di fronte alle città sovietiche, studiate per valorizzare un solo aspetto della vita: il lavoro. Quelle città sono «agglomerati di tristi e grigi baracconi di cemento». E Don Camillo aggiunge: «Questa schifezza si chiama “civiltà industriale” ed è uguale in tutte le parti del mondo». Fra gli uomini e le cose non esiste più alcun legame. Per contrasto Don Camillo pensa al suo paese, e alla Bassa: «alla nebbia, ai campi impregnati di pioggia, alle stradette fangose (…) Anche sperduto in mezzo alla campagna e sepolto dalla nebbia più densa, un uomo – laggiù alla Bassa – non si sente mai distaccato dal mondo. Un invisibile filo lo lega sempre agli altri uomini e alla vita e gli trasmette calore e speranza». Che contrasto con l’Unione Sovietica, in cui l’uomo «è come un mattone: assieme agli altri mattoni forma un muro, è parte necessaria di un solido complesso. Cavato dal muro e buttato in mezzo a un campo non è più niente, diventa una qualsiasi cosa inutile ». Il comunismo ha inseguito il progresso, e si è dimenticato l’uomo. Per questo ha sterminato contadini e borghesi: erano mattoni inutili per costruire l’edificio sovietico. La tragedia degli alpini “Il compagno Don Camillo” nasce da un’idea improvvisa. Guareschi aveva raccontato la storia tutta d’un fiato al figlio Alberto, in tre ore, in una sera del 1959. Nello stesso anno, il romanzo uscì a puntate su “Mondo Candido”. Quattro anni più tardi fu pubblicato in volume. Vale la pena di sottolineare le date: sono la testimonianza migliore dell’anticonformismo di Guareschi. In un colpo solo metteva in ridicolo la letteratura propagandistica dell’epoca, accusava il sistema sovietico di aver eretto l’ingiustizia a sistema, ricordava gli alpini mandati dal Duce al massacro in Russia, rivendicava la memoria dei vinti passati per le armi nell’immediato dopoguerra. Nel 1959 non era facile. Per questo fu messo al bando dall’intellighenzia (mai dal pubblico). E per questo Libero gli dedica una collana di sei titoli, a partire da domani. Seguiranno altre tre avventure di Don Camillo (“Don Camillo“, “Don Camillo e il suo gregge“, “Don Camillo e don Chichì”), il “Corrierino delle famiglie” e il toccante “Diario Clandestino“.


di Alessandro Gnocchi
LIBERO 31 gennaio 2007