Con la Turchia non chiamiamola più Unione europea !

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La decisione non può competere solo alla politica

La Turchia nella Ue? Un colossale equivoco

Se parliamo di Europa forse dovremmo ascoltare non solo i politici, ma anche gli storici e gli uomini di cultura. Ad esempio Jacques Le Goff, secondo cui “la Turchia non fa assolutamente parte dell’Europa. Non per motivi religiosi. Le motivazioni del rifiuto sono geografiche, storiche e culturali”.

Dunque, se abbiamo capito bene, il futuro dell’Europa dipende dalla riforma del codice penale di un Paese asiatico. Il destino dell’Unione europea è appeso al filo di un emendamento che depenalizza l’adulterio. In questo caso la Commissione di Bruxelles il prossimo 6 ottobre potrà dare il via libera al negoziato per l’adesione della Turchia alla Ue (anche se la decisione formale verrà presa dal vertice europeo di dicembre).
C’è di che restare allibiti.
La riforma del codice penale in discussione al parlamento di Ankara può essere considerata l’ultimo atto del processo di modernizzazione voluto da Kemal Ataturk alla fine della Prima guerra mondiale. Ma cosa c’entra con l’ingresso in Europa?
Conosciamo il ritornello: la Turchia deve dimostrare di essere una compiuta democrazia, soltanto così potrà soddisfare i cosiddetti “criteri di Copenaghen” sul rispetto dei diritti umani e superare il test d’ingresso nell’Unione. Bene, che una nazione grande e popolosa, di tradizione islamica, faccia propri i valori liberal-democratici è ovviamente interesse non solo dei suoi cittadini ma di tutto il mondo. E va riconosciuto che su questa strada il governo di Ankara sta compiendo notevoli passi in avanti, soprattutto per quanto riguarda la minoranza curda. Ma dove sta scritto che i giudici inappellabili di tale processo debbano essere gli eurocrati di Bruxelles?
Non esiste democrazia senza il certificato dell’Unione europea?
Qui siamo davanti ad un colossale equivoco intellettuale, prima ancora che politico.
Un conto è dire che solo gli Stati democratici possono entrare nell’Unione. Un altro è affermare che basta essere una democrazia per avere il diritto di farne parte.
Se parliamo di Europa forse dovremmo ascoltare non solo i politici ma anche gli storici e gli uomini di cultura. Ad esempio Jacques Le Goff, secondo cui “la Turchia non fa assolutamente parte dell’Europa. Non per motivi religiosi (basti pensare ai bosniaci ed agli albanesi, in larga maggioranza musulmani, che son o europei e prima o poi entreranno nell’Europa unita). Le motivazioni del rifiuto sono geografiche, storiche e culturali”.
La Turchia è una nazione importante ma non è un Paese europeo. La sua capitale non è in Europa, il 98% del suo territorio ed il 95% della sua popolazione non si trovano sul Vecchio Continente. Fa parte di un’unità geografico-culturale che ha una sua coerenza e una sua storia. Come ha ricordato recentemente il cardinale Ratzinger “la Turchia ha sempre rappresentato un altro continente culturale rispetto all’Europa”. Ma anche il cardinale Ruini disse tempo fa: “Sarebbe meglio dare la precedenza a Paesi che desiderano entrare nella Ue e sono totalmente europei, come la Moldavia e l’Ucraina”. Qui passano i confini orientali dell’Europa. A meno di considerare l’Unione un organismo senza identità e quindi senza limiti ben definiti, una sorta di ectoplasma dilatabile a piacimento. Dopo la Turchia già si fanno avanti Marocco e Tunisia.
Qualcuno ha proposto l’adesione d’Israele ed anche della Federazione russa, un’entità bicontinentale che comprende mongoli e calmucchi.
E se entra la Turchia con quale diritto potremo tener fuori dalla porta l’Armenia e le altre nazioni caucasiche?
Una sola obiezione: per favore, non chiamiamola più Unione europea.
Torniano all’Efta, l’associazione di libero scambio voluta dai Paesi nordici nel 1960. Un grande spazio economico senza barriere doganali e aperto ad ogni flusso di migrazione interna.
Una casa di tutti, e quindi di nessuno. È questa la non-Europa che vogliamo?


di Luigi Geninazzi


Avvenire 22 settembre 2004