Sempre più difficile la sopravvivenza per i cristiani dell’Iraq
Riportiamo il testo di un’intervista rilasciata da Mons. Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk, ad AsiaNews, ed alcuni articoli che testimoniano la durissima situazione che i cristiani in Iraq stanno vivendo in questi ultimi tempi…
Sempre più difficile la sopravvivenza per i cristiani dell’Iraq
di Mons. Louis Sako, Arcivescovo di Kirkuk
Kirkuk (AsiaNews) – È dalla guerra iraniana-irachena che l’emigrazione ha cominciato a corrodere la comunità ecclesiale ed è aumentata durante gli anni dell’embargo. Con la caduta del regime, abbiamo auspicato tempi nuovi, sperando nell’instaurazione di uno Stato fatto di leggi e di istituzioni, di rispetto della libertà e del pluralismo, che incoraggiasse così molti emigrati a fare ritorno per cooperare alla ricostruzione e al benessere. Ma la realtà è stata differente: la sicurezza si è deteriorata, con il sorgere di cerchi infernali di morte, rapimenti e minacce, che hanno dato luogo a uno stato di apprensione e di inquietudine. L’esodo tra la nostra gente è aumentato ancora, gettando un’ombra sulla presenza cristiana in Iraq. L’emigrazione ha disperso l’unica famiglia e ha raffreddato la determinazione di chi è rimasto.
I nostri partiti nazionali e religiosi non hanno cooperato per tranquillizzare la gente, esortandola a rimanere. La causa è nell’insieme dei nostri partiti e nella loro chiusura in un orizzonte ristretto; sta nella mancanza di una prospettiva futura nel clero, con la perdita di un piano pastorale aggiornato e attivo anche nelle zone sicure.
La situazione oggi è peggiore. A Bagdad e Mosul i cristiani vivono nella paura. Le famiglie non sanno dove andare: sono isolate, senza nessun protezione.
Nonostante questa situazione, esorto i cristiani, e specialmente i giovani, ad avere pazienza e a rimanere, senza farsi scoraggiare; ad avere responsabilità patriottica ed ecclesiale, partecipando all’opera politica per ricostruire il Paese, a rafforzare la vita comune, promuovere la civiltà della vita, della pace e della sicurezza degna dell’essere umano.
Per salvare il nostro popolo serve: una riunione generale di capi religiosi, politici cristiani ed intellettuali per studiare l’avvenire della nostra comunità; presentare un piano ai responsabili; un discorso politico equilibrato e compiere gesti di riconciliazione. Il 9 ottobre ho offerto una cena per i capi musulmani in occasione del Ramadan. Erano presenti oltre al sindaco, i membri del consiglio municipale, tanti imam e mullah, sunniti e sciiti, curdi, arabi, turcomanni ed il clero cristiano locale: in tutto, 100 invitati. A loro ho rivolto queste parole: ‘Vi saluto cordialmente questa sera di Ramadan con un saluto distinto che esce della stessa fede in Dio creatore e padre. Noi, cristiani e musulmani, ci confrontiamo con grandi sfide come quelle poste dalla confusione dei valori religiosi e morali, con conflitti e guerre. Non basta condannare, bisogna reagire insieme, in maniera positiva per costruire una società migliore in cui domini la giustizia e il rispetto reciproco per la dignità umana, altrimenti perderemo tutto. Bisogna collaborare insieme per riformare il cuore dell’uomo e seminarvi i valori dell’autenticità, fedeltà, onestà e il bene comune. Una reazione di vendetta e posizioni estremiste rovinano tutto e seminano la cultura della morte. Il dialogo e la buona volontà, un cuore aperto e tollerante, una mano aperta per l’amicizia e la solidarietà sono capaci di cambiare il mondo, perciò bisogna stare attenti a coloro che vogliono sfruttare la religione per bassa politica e far uscire la religione della sua nobile missione! I nostri rapporti non sono nati oggi, ma 14 secoli fa. È una relazione basata sulla fede in un solo Dio, ma anche nella stessa madre umanità, in cui siamo fratelli e abbiamo lo stesso destino. Questa cena fraterna di Ramadan è una agape in termini cristiani e traduce la solidarietà, l’armonia, la tolleranza e il pluralismo in Kirkuk. Spero che ormai diventerà una tradizione annuale, seguita anche da altre città.
AsiaNews 12 Ottobre 2006
Iraq: giovani cristiane rapite, stuprate e portate al suicidio
L’industria irachena dei sequestri non risparmia le ragazze: alcune, rilasciate dietro riscatto, non reggono le violenze subite e si tolgono la vita. A Mosul rapito un sacerdote siro-ortodosso.
Baghdad (AsiaNews) – Ragazze cristiane rapite, rilasciate dietro pagamento e poi suicide per l’incapacità di superare lo shock e la vergogna delle violenze subite. Succede a Baghdad, dove l’industria dei sequestri continua a mietere vittime, a gonfiare le tasche di bande criminali e a spingere la popolazione fuori dall’Iraq.
Tra gli obiettivi preferiti nella capitale, come nelle altre province, vi sono i cristiani di tutte le comunità, laici e religiosi indistintamente. Il 9 ottobre scorso a Mosul si è verificato l’ennesimo rapimento di un sacerdote. Questa volta si tratta di un siro-ortodosso, p. Paulos Eskandar, per il quale è già stato chiesto un ingente riscatto.
Fonti tra le suore di Baghdad riferiscono delle ultime vicende di cui sono state testimoni. L’8 ottobre due giovani cristiane sono state rapite in differenti situazioni: una mentre era nella sua abitazione, sotto gli occhi dei familiari inermi, impossibilitati ad opporsi; l’altra, invece, si trovava al mercato con sua madre quando una macchina si è fermata e 4 uomini armati l’hanno portata via.
Spesso la tragedia non si risolve con la liberazione. Una ragazza sempre nella capitale è stata rilasciata su pagamento, ma subito dopo si è suicidata a causa delle torture e delle violenze sessuali subite. Un’altra giovane non è neppure riuscita a fare ritorno a casa: durante una telefonata alla famiglia, concessale dai rapitori, la ragazza invece di assicurare i parenti sulla sua salute ha detto ‘sono morta’, riferendosi agli stupri a cui era sottoposta. Si è poi tolta la vita mentre era ancora nelle mani dei suoi aguzzini. Secondo stime non ufficiali solo nelle ultime due settimane sono almeno 12 le giovani rapite.
Intanto sale l’apprensione tra i membri della comunità cristiana irachena; fonti di AsiaNews nel nord dell’Iraq parlano di un “centinaia di famiglie in fuga verso la Siria”.
AsiaNews 11 Ottobre 2006
Oggi le esequie. I rapitori avrebbero chiesto le pubbliche scuse per il discorso di Benedetto XVI a Regensburg e una cifra intorno ai 300 mila dollari. Ancora atroci violenze sui cristiani: a Bassora crocefisso un 14enne.
Mosul (AsiaNews) – Si sono svolti oggi a Mosul i funerali di padre Paulos Eskandar, il sacerdote di rito siro-ortodosso trovato decapitato ieri in un distretto orientale della città irachena.
L’uomo era stato rapito il 9 ottobre scorso da un non ben definito gruppo islamico. In cambio della sua vita i sequestratori avevano chiesto un riscatto enorme; secondo l’agenzia di stampa Assyrian International (Aina), la cifra si aggirava tra i 250 mila e i 350 mila dollari. Sempre l’Aina riporta che come condizione per dare avvio alle trattative sul rilascio, i rapitori avevano chiesto che la chiesa di p. Paulos affiggesse all’esterno le scuse per le parole del Papa all’Università di Regensburg.
L’agenzia di stampa pubblica la lettera di un sacerdote iracheno rifugiatosi in Svezia, che parla di una vera e propria “campagna di terrore contro i cristiani in Iraq”. Basandosi sui racconti che riceve dai connazionali in patria, p. Adris Hanna, avverte che “a Mosul e a Baghdad i cristiani sono terrorizzati: i preti vengono rapiti, le donne violentate, a Bassora pochi giorni fa un ragazzo di 14 anni è stato crocefisso”.
P. Hanna riferisce inoltre di aver parlato con “un gruppo di suore derubate e brutalmente picchiate mentre viaggiavano da Baghdad ad Amman, in Giordania”. “Dobbiamo fare qualcosa per fermare questo massacro”, conclude la lettera.
AsiaNews 12 Ottobre 2006