In Belgio puoi vivere con tua sorella, solo se è la tua concubina
Teatro di questa storia è la civilissima Bruxelles e le protagoniste sono due sorelle italiane in lotta con l’amministrazione municipale della città in quanto ritenute concubine…
Poi qualcuno si scandalizza se sempre più gente comincia a pensare che il mondo vada al contrario, ovvero che il sovvertimento dell’ordine naturale delle cose non solo sia già in atto ma abbia anche compiuto passi da gigante negli ultimi tempi. Teatro di questa storia, vera in ogni suo particolare, è la civilissima Bruxelles e le protagoniste sono due sorelle italiane in lotta con l’amministrazione municipale della città belga in quanto ritenute concubine. Il tollerante Belgio discrimina sessualmente? No, il contrario, non accetta che due sorelle vivano insieme senza dichiararsi conviventi, senza di fatto dover dimostrare davanti al pubblico ufficiale e a colpi di carta bollata il loro status “peccaminoso” di sorelle.
Maria e Carla, le chiameremo così con due nomi di fantasia per obblighi di privacy, vivono in un appartamento di loro proprietà a Bruxelles. Lo hanno comprato insieme, come dimostrano gli atti notarili, ci vivono come centinaia di sorelle che decidono di condividere spese e affetti di una vita in famiglia nonostante la lontananza da casa. Sembrava tutto tranquillo, almeno fino a quando le due protagoniste non ricevono una lettera dove il Comune le definisce «chef de menage isolée», ovvero capofamiglia isolato, quindi due entità distinte che, non si sa per quale motivo, vivano sotto lo stesso tetto. Sulle prime la questione sembrava risolvibile con un minimo di buon senso, chiamando gli uffici dell’anagrafe comunale facendo notare loro che le due “concubine” – come sono state definite da un solerte funzionario del comune di Bruxelles – sono due sorelle, quindi il fatto che vivano assieme non dovrebbe destare sorprese e, soprattutto, non dovrebbe contemplare l’obbligo di certificazione dei propri legami familiari. Sembrava facile, ma non lo è. Dopo un centinaio tra telefonate, lettere e fax il Comune della capitale belga chiama una delle due sorelle e le chiede di redigere una dichiarazione di convivenza, poichè per loro – ci dice Maria – «non è normale che io e mia sorella stiamo insieme nella stessa casa». Già, è normale che due omosessuali si sposino, che esistano i Pacs, che si possa parlare di adozione per coppie gay, ma non sia mai che due sorelle condividano lo stesso tetto, lo stesso tavolo, lo stesso bagno senza essere “concubine”, meglio se amanti per la sagace amministrazione comunale belga.
E ora, come è andata a finire questa storia? Con il cotè più ovvio per una società falsamente liberale ma realmente parossistica: quello poliziesco. Pochi giorni fa, infatti, su segnalazione del Comune, Maria è stata contattata dalla polizia e convocata dopo Pasqua «per dimostrare, con gli atti di nascita, che siamo sorelle e non concubine». Già, tocca anche questo nel civile Belgio.
di Bottarelli Mauro
Tempi num.15 del 06/04/2006