Autonomia, finanziaria e… Intervista a Roberto Formigoni

Formigoni: «Autonomia entro Natale»


Il governatore della Lombardia replica al ministro Chiti e accelera sul processo riformista: l’iter è partito. Attorno a noi un consenso larghissimo…
 

«La Lombardia indietro? Ma scherziamo?»
Non gli è proprio piaciuta, a Roberto Formigoni, l’intervista che il ministro delle riforme, Vannino Chiti, ha rilasciato l’altro giorno alla Padania. Al presidente della Regione Lombardia non va giù soprattutto quello che sembra un verdetto di condanna a favore di altri regioni.
«Le confesso che sono rimasto sbalordito. Anche perché conosco il ministro Chiti e la cosa mi ha davvero stupito. Quel passaggio dove si dice che la Lombardia e il Veneto sono in ritardo non ha senso né tecnicamente né politicamente».
Presidente Formigoni, la voce del governo addebita il ritardo al fatto che la Lombardia e il Veneto siano prive di statuto e quindi non possono attivare l’iter per ottenere quanto prevedono alcuni degli articoli del titolo quinto.
«È una tesi che non ha fondamento. Dove l’ha inventata? Mi sembra una tesi quanto mai azzardata: mi sono letto molte Costituzioni di paesi esteri e non c’è niente che possa consentire a Chiti una interpretazione come quella che ha citato alla Padania. Non vorrei che si trattasse di un abbaglio tecnico (il che mi sembra improbabile e clamoroso) o, peggio, una manifestazione di ostilità al disegno lombardo da parte di alcuni rappresentanti di questo governo».
Ha elementi per dirlo?
«La cosa, come le dicevo, mi ha sbalordito perché finora i colloqui con il governo di centrosinistra sono stati positivi. Le confesso che non ho mai ricevuto obiezioni politiche, ecco perché quel passaggio dell’intervista mi ha spiazzato».
Mi scusi, faccio l’avvocato del diavolo: Chiti sostiene che siamo penalizzati rispetto al Piemonte, all’Emilia o alla Toscana perché non abbiamo lo statuto regionale. È così o no?
«Ma intanto questa condizione non è scritta nella nostra Costituzione. Ma se anche ciò fosse un requisito, la Regione Lombardia uno statuto ce l’ha; non l’abbiamo rinnovato. E lo faremo presto».
Perché non è stato ancora rinnovato?
«Perché, come giustamente ha sostenuto l’amico Roberto Calderoli, durante la scorsa legislatura l’allora maggioranza di centrodestra era impegnata nella revisione della Carta costituzionale e quindi come potevamo decidere su quali binari impostare lo statuto? Era doveroso che aspettassimo il compimento dell’iter della riforma costituzionale (che prevedeva tra l’altro la devoluzione alle Regioni di poteri ben stabiliti) prima di approvare un nuovo statuto che ne recepisse le modifiche. Ora che questa chiarezza c’è, chiederemo nuovi poteri e correremo spediti come sempre ha fatto la Lombardia»
Che tempi stima?
«Io vorrei prima di Natale».
Intanto cosa state facendo?
«L’iter è partito a luglio con un ordine del giorno su cui c’è stata la convergenza persino di una parte del centrosinistra. Quindici giorni fa la giunta ha invece approvato una delibera con cui si chiede l’applicazione degli articoli 116, 117 e 119, i quali rispettivamente riguardano le modalità degli spazi di autonomia, l’elenco delle materie concorrenti e il cosiddetto federalismo fiscale».
Diceva che c’è stato anche il voto positivo di una parte del centrosinistra.
«Sì, credo che il metodo corretto sia proprio quello di dimostrare al governo che in Lombardia si registra un consenso assolutamente largo, che va oltre la maggioranza consigliare e che comprende la società civile. In questi mesi ho incassato il sostegno pieno della Confindustria e della Cisl, per esempio. Voglio andare oltre proprio perché il progetto è ambizioso e necessita di una spinta energica».
Subito dopo la Finanziaria, alcuni suoi colleghi di centrosinistra, come la Bresso e Illy e molti altri amministratori sempre ulivisti, hanno duramente criticato la manovra del “loro” governo. Si può dire che sotto il campanile sta maturando una sinistra diversa?
«In un certo sì, ed è un fatto positivo. Però aggiungo un commento politico: questa Finanziaria è così brutta e punitiva che sarebbe stato difficile restare zitti. Io ricordo lo scorso anno quando il sindaco di Roma, Walter Veltroni, criticando la Finanziaria di Tremonti disse che sarebbe stato obbligato a spegnere i lampioni. Come poteva restare in silenzio stavolta?».
Quindi la ritiene una protesta obbligata?
«No, la considero un indice di maturità politica. Ci aggiungo un però… Stavolta non potevano proprio rimanere zitti. Le ricordo alcune cifre. Tre miliardi di tagli solo sulla sanità; un miliardo e 800 milioni di tagli al patto di stabilità interno, il che significa fermarsi con gli investimenti e lei sa bene quanto in questi anni la nostra giunta abbia accompagnato l’economia e la crescita sociale puntando su una politica innovativa. E poi c’è un taglio di non si sa ancora quanto per il personale. Insomma, cinque miliardi e mezzo di tagli. A questa cifra vanno aggiunti i soldi che il governo toglie agli altri enti locali».
Col passare delle ore la Finanziaria si presenta per quella che è: una manovra demagogica per alcuni versi e sterile ai fini dello sviluppo. Altro che Robin Hood…
«Hanno tentato di farsi belli con le piume di pavone degli altri. Dicono che ridistribuiscono ai ceti più deboli (e anche su questo avrei molto da ridire) e poi costringono le Regioni, le Province e i Comuni ad alzare le tasse».
Lei le aumenterà?
«Beh, o riusciamo a cambiare la Finanziaria oppure è inevitabile che dovremo un po’ tutti rivedere le tasse. Altrimenti si penalizzerebbe il processo di sviluppo e di crescita che in Lombardia credo sia sotto gli occhi di tutti».
Immagino che le sia piaciuto l’articolo che l’altro giorno ha scritto Sergio Romano sul Corriere della Sera, dove si sottolineava l’urgenza della questione settentrionale.
«Come non essere d’accordo? È l’esatta fotografia della realtà. Lo dimostra il mal di pancia nella sinistra lombarda, piemontese, veneta, friulana. Al Nord c’è un modello di crescita che è unico, un modello che permette all’operaio di diventare piccolo artigiano o imprenditore. Ecco perché sono loro i primi penalizzati da questa Finanziaria».
Lei ci sarà in piazza?
«Se si arriverà alla manifestazione di piazza, certo che ci sarò. La piazza non mi mette soggezione, ci mancherebbe: non soffriamo complessi d’inferiorità; scendere in piazza è un gesto normale. Però, io credo che prima occorra lavorare in Parlamento per cambiare questa manovra: al Senato ci sono i margini di manovra, ci sono la loro debolezza e le loro contraddizioni di coalizione. Quindi io lavorerei in aula».
Bossi dice che è la gente che chiede una manifestazione.
«Sono d’accordo. Ho sentito che ci sono le categorie già pronte a scendere in piazza. Bene, noi saremo al loro fianco per dimostrare che non ci sono ricchi da far piangere né che i nostri lavoratori sono evasori a prescindere: la sinistra sta appiccicando delle etichette false. Ma è giusto che sia la loro manifestazione con le loro bandiere e i loro slogan. Se poi i nostri elettori chiedessero una manifestazione politica, allora è giusto che la Casa delle Libertà si impegni con tutte le proprie forze per dimostrare che c’è una larga parte del Paese contraria alla Finanziaria.»


di Gianluigi Paragone
La Padania [Data pubblicazione: 08/10/2006]