“Abbracciando il relativismo non sarai mai un leader credibile”


Le obiezioni di Mantovano a Fini


Alfredo Mantovano


Il Foglio 13 maggio 2005

Al direttore



L’intenzione espressa dal presidente di Alleanza nazionale di votare tre sì e un no per i referendum sulla fecondazione artificiale impone almeno tre considerazioni.



La prima: è stata presentata come una posizione personale, nel quadro di una scelta generale di “libertà di co-scienza”; ma, per il legame stretto che la destra italiana ha sempre avuto col suo leader, è davvero arduo metterla sullo stesso piano dell’opinione di un iscritto qualsiasi, o anche di qualsiasi dirigente, per il peso esemplare che il leader ha sull’intera comunità politica di An.


Una comunità che peraltro già non digeriva la stessa “libertà di coscienza”: in tante assemblee a cui ho partecipato gran parte dei militanti contestava nei giorni scorsi che un partito rinunci alla responsabilità di confermare pubblicamente scelte che ha già adottato.



La seconda considerazione riguarda il merito della scelta: votare tre sì permette di raggiungere gli scopi indicati dall’on. Fini nella sua dichiarazione, e cioè la tutela della salute della donna e la salvaguardia della ricerca scientifica?


Quanto da anni viene pubblicato su questo giornale e le centinaia di approfondimenti scientifici sull’identità del concepito, sulle staminali e sulla selezione eugenetica forniscono le risposte più esaurienti.


Viene solo da domandarsi, a proposito del referendum che vuol abrogare l’articolo 1 della legge 40, che riconosce i diritti del concepito, se e quali studi hanno dimostrato, nel periodo che intercorre fra l’approvazione della legge e l’avvio della campagna referendaria, che l’embrione è diventato un grumo di cellule.



La terza considerazione riguarda l’aspetto politico, e su questo vorrei soffermarmi un po’ di più.


Alcuni commentatori hanno letto nella presa di posizione del ministro degli Esteri un disegno lucido: Fini avrebbe realizzato un investimento per accreditarsi come leader del futuro rassemblement, o alleanza, o contenitore, rappresentativo in particolare dell’area laica, lasciando a Casini il presidio di quella cattolica (ritenendo quest’ultima minoritaria rispetto alla prima).



In assenza dell’interpretazione autentica (che può fornire solo l’interessato), prendo per ipotesi fondata questa analisi, essendo l’unica – fra quelle circolate – che abbia dignità politica.


Ma tale posizione è utile per raggiungere l’obiettivo?


In passato il vicepresidente del Consiglio ha adottato due decisioni qualificate come “strappi”: condannare il fascismo in occasione del viaggio in Israele, rendendo omaggio alla Shoah, e riconoscere il voto amministrativo agli immigrati.


Questi”strappi”, pur turbando la sensibilità di una parte dell’elettorato di An, erano giusti in sé, e hanno spiazzato in modo efficace la sinistra.



Lo “strappo” sulla fecondazione artificiale non è giusto in sé, ma soprattutto – è ciò che vorrei sottolineare – non spiazza la sinistra, che, lungi dall’essere depotenziata, ne esce visibilmente rafforzata.


Sul voto agli extracomunitari la sinistra aveva difficoltà ad applaudire, anche perché si trovava superata da una proposta innovativa che la stessa sinistra non aveva avuto il coraggio di realizzare negli anni in cui governava; oggi nessuno può escludere che i referendari tappezzino i muri di manifesti con l’immagine di un leader rispettato e stimato, con lo slogan “anche lui vota sì”.



In realtà, questa posizione




  1. non intercetta un tipo di consenso presente nell’area laica di destra, in settori che, pur non essendo cattolici, sono bene orientati sui principi della vita, della famiglia, della patria; costoro votano già per il centrodestra, e manifesteranno disaffezione per opzioni libertarie;



  2. non guadagna consensi a sinistra: per l’elementare principio secondo cui l’originale è sempre meglio della fotocopia, i laici di sinistra voteranno mai per un ipotetico “rassemblement” capitanato da Gianfranco Fini?



Vi è un’ulteriore perplessità.


Ammesso e non concesso che l’area laica (rectius laicista) sia maggioritaria, non c’è niente di più controproducente che assumere una posizione relativista in vista della guida di un grande contenitore politico.


Quest’ultimo infatti sarebbe rappresentativo di una pluralità di culture, spesso configgenti fra di loro, proiezione di un panorama elettorale caratterizzato da umori ondivaghi e mutevoli.


Il leader di questo contenitore dovrebbe fronteggiare una serie di problemi politici scottanti, frutto del magma politico-culturale post 1989 e post 2001.


Abbracciare una posizione relativista rende concretamente impossibile assumere qualsiasi posizione politica, perché condanna a mutare continuamente posizione; e ciò svuota ogni programma politico di coerenza operativa, prima che valoriale.



Per essere leader di un grande contenitore, rappresentativo di elettorati culturalmente frammentati, è necessario innervare l’azione politica di quella “grammatica universale” che si chiama diritto naturale.


Che non è un principio astratto bello da declamare ma inutile per la politica concreta (quella che a Roma si chiama “la ciccia”); al contrario, rappresenta l’unica àncora cui aggrapparsi quando si è costretti a parlare con tanti interlocutori che la pensano ognuno in modo diverso, dovendo assumere decisioni spesso drammatiche.


Solo adoperando questa “grammatica universale” si possono “tenere insieme” (sono costretto a esprimermi rozzamente) i contenuti di questa grande alleanza.



Il relativismo rende schiavi e politicamente paralizzati i suoi seguaci, e una posizione relativista oltre a essere ingiusta non è pagante nemmeno in termini tattici, politici ed elettorali.


E’ tempo di impostare un percorso nuovo.


http://www.ilfoglio.it/downloadpdf.php?id=40654&pass=