L’Onu non condanna gli aborti selettivi di bambine

Per l’Onu l’aborto selettivo delle femmine non va condannato


È bastato che alcune delegazioni occidentali manifestassero la preoccupazione che il divieto di aborto per la selezione del sesso potesse introdurre limiti nelle pratiche di fecondazione assistita e nell’interruzione volontaria di gravidanza…


E’ ufficiale: per la Commissione sullo status delle donne (Csw), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa dell’“uguaglianza di genere” e della situazione femminile nel mondo, l’aborto selettivo delle bambine, responsabile della sparizione di decine di milioni di femmine dalle statistiche demografiche cinesi, indiane e di altri paesi asiatici, non è cosa da meritare un’esplicita e inequivocabile condanna.
Riunita a New York per la propria sessione annuale dal 26 febbraio al 9 marzo, con all’ordine del giorno l’“eliminazione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro giovani donne e bambine”, la Commissione ha bocciato la richiesta avanzata dalla delegazione americana perché fosse inserito nel documento finale un chiaro divieto di infanticidio e di aborto finalizzato alla selezione del sesso del nascituro. Di quella bocciatura non sono responsabili soltanto i paesi chiamati direttamente in causa, e cioè Cina e India, che hanno naturalmente messo in campo tutto il loro potere di pressione perché la Commissione non assecondasse la richiesta dagli Stati Uniti (avallata però dalla Corea del sud, che già sperimenta lo squilibrio demografico causato dall’eliminazione delle femmine e da tempo ha lanciato una campagna contro l’aborto selettivo delle bambine). Anche il Canada, campione mondiale di correttezza politica, e tutti i paesi dell’Unione europea hanno dato il loro contributo all’affossamento della proposta: è bastato che alcune delegazioni occidentali manifestassero la preoccupazione che il divieto di aborto per la selezione del sesso potesse introdurre limiti nelle pratiche di fecondazione assistita e nell’interruzione volontaria di gravidanza. Tutto passa in secondo piano in casa Onu, se in ballo ci sono i famosi “diritti riproduttivi”, e alla fine la montagna, dopo molte discussioni, ha partorito un ridicolo topolino. La mattina del 9 marzo si è scoperto che il responsabile delle trattative sulle conclusioni condivise, l’inglese Tom Woodroffe, aveva cassato tutti i paragrafi proposti dalla delegazione americana. Sono sopravvissute soltanto tre-righe-tre, nelle quali, verso la fine di un documento di sedici pagine, si definiscono “non etiche” le pratiche di infanticidio delle bambine e di selezione prenatale del sesso (si fa molta attenzione a non usare l’espressione “aborto selettivo”, anche se è di questo che si tratta) e si auspica l’eliminazione delle discriminazioni che le determinano.
Tutta qua, la risposta della commissione Onu sullo status delle donne a una situazione terribile, sulla quale si moltiplicano gli allarmi almeno dal 1990. Da quando, cioè, il Nobel per l’economia Amartya Sen per primo parlò, in un famoso saggio sulla New York Review of Books, di cento milioni di “bambine sparite” in Asia. Ci sarebbe anche da chiedersi se tra i “diritti riproduttivi” ritenuti degni di tutela dalle pedanti e inutili burocrazie onusiane non siano da contemplare, per esempio, anche quelli dei cinesi che vorrebbero avere più di un figlio e che invece, costretti da un diktat totalitario al figlio unico, lo accettano solo se maschio, mentre sopprimono le femmine, prima o dopo la nascita. Per ora la risposta è no, a leggere il documento finale della 51a sessione della Csw. Invano sfidata da alcuni gruppi pro life a dimostrare di essere “davvero per le donne e di voler davvero tutelare le donne” invitando “i governi a proteggere le bambine (e i bambini) fin dalle prime fasi della loro vita”.


di Nicoletta Tiliacos
Il Foglio del 20 marzo 2007