Via la croce dal cimitero per rispetto ad Allah

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Anche una croce su una tomba può dare fastidio


Un cimitero senza croci, un cimitero islamico contestato e una moschea bloccata sul nascere: ecco tre storie di ormai ordinaria «disgregazione» che oggi rimbalzano dalla Lombardia. Anzi per essere precisi da Bergamo e dalla sua provincia

Anche una croce su una tomba può dare fastidio a chi vive di falsa tolleranza. C’è un paese dalle parti di Bergamo dove un sindaco di sinistra ha deciso di costruire un nuovo cimitero. Nulla di male. Ma in questa città di eterno riposo lui non vuole simboli religiosi.
Non vuole offendere chi professa una fede diversa. Non vuole che la croce dei morti offuschi la mezzaluna dei vivi. Meglio metterne un altro, simboli laici e astratti. Questa è la fotografia di un’Italia che non riconosce se stessa e dimentica i suoi morti.
Eccola. Un cimitero senza croci, un cimitero islamico contestato e una moschea bloccata sul nascere: ecco tre storie di ormai ordinaria «disgregazione» che oggi rimbalzano dalla Lombardia. Anzi per essere precisi da Bergamo e dalla sua provincia.
Il camposanto cristiano (ma ancora per poco), è quello di Arcene, paesello di poco più di quattromila abitanti nella Bassa Bergamasca. Qui la giunta di centrosinistra ha avuto la (brillante?) idea di realizzare un famedio (cioè la struttura dove viene deposta la bara prima della tumulazione) senza nessuna croce. Al posto del simbolo di Gesù Cristo, invece, segni astratti come il cerchio, il quadrato e il triangolo. Un gesto di «rispetto ai defunti non cristiani», spiegano gli ineffabili politici locali, immemori forse del rispetto che si dovrebbe al buon senso ma soprattutto alla stragrande maggioranza dei credenti.
Dopo le croci che si vogliono togliere dalle aule scolastiche e gli auguri di «Buon Natale» cancellati in nome di un ipocrita senso dell’uguaglianza ecco così spuntare nel luogo dell’ultima memoria una geometrica simbologia religiosa. Manco fossimo su un altro pianeta.
Inevitabile che si scatenassero le proteste. A cominciare da quelle del parroco per continuare con la minoranza di centro destra che ha fatto votare una mozione per ripristinare la croce. Inutilmente: bocciata. I simboli cristiani, per il consiglio comunale (guidato dalla lista civica «Insieme per Arcene») devono proprio sparire.
Da un cimitero all’altro, almeno in fatto di polemiche. Sì perché, contemporaneamente, a Bergamo il Comune ha deciso di realizzare un sepolcreto islamico nel quartiere di Colognola, proprio a fianco di quello cristiano. Sembra una beffa, almeno se la si guarda da Arcene. Ma soprattutto una «provocazione» perfetta per gettare nuova benzina sulle braci ardenti dello scontro interreligioso. Contro questo progetto sono state per ora raccolte 631 firme di protesta da parte di residenti del quartiere, una petizione che nei prossimi giorni verrà consegnata «brevi manu» al sindaco.
«La nostra opposizione – spiegano i promotori della protesta – è motivata dal fatto che riteniamo più giusto che agli islamici sia riservata sepoltura (pur se in campi distinti, se proprio lo desiderano), nei normali cimiteri, con un solo ingresso per tutti». Viene quindi chiesto di non realizzare il nuovo cimitero ma di limitarsi a creare un’area apposita nel cimitero monumentale di Bergamo. Buona idea se non fosse che si corre il rischio che a qualcuno venga in mente poi di seguire l’esempio di Arcene.
La moschea della discordia, infine, sarebbe dovuta sorgere a Tagliuno, frazione di Castelli Calepio. Una palazzina era stata acquistato (per 500mila euro) dall’Associazione di cultura araba che raccoglie i musulmani del Sebino, e che ha annunciato la sua intenzione di realizzare un centro di preghiera. Nei giorni scorsi però l’amministrazione comunale leghista ha modificato il regolamento edilizio vietando l’apertura in quel quartiere di «sedi di associazioni». I musulmani hanno prima annunciato la volontà di rivolgersi all’avvocato ma oggi hanno fatto sapere che rinunceranno al progetto, mettendo in vendita l’edificio e cercando di aprire una moschea altrove. Il sindaco li ha ringraziati per il loro «rispetto dei regolamenti comunali».
Queste storie raccontano come sia difficile vivere in un’Italia multiculturale e multietnica, soprattutto quando se ne va via il buon senso.


Il Giornale  del 5 gennaio 2007