Un bestseller di anticattolicesimo: Il Codice Da Vinci

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Smantellare Il Codice Da Vinci. di Sandra Miesel
“Il Graal” riprese Langdon “simboleggia la dea perduta. Quando è giunto il cristianesimo, le vecchie religioni pagane non si sono lasciate uccidere facilmente. Le leggende dei cavalieri alla ricerca del Graal perduto erano in realtà storie di ricerche proibite per ritrovare il femminino sacro perduto.


I cavalieri che affermavano di “cercare il calice” parlavano in
codice per proteggersi da una Chiesa che aveva soggiogato le donne, bandito
la dea, bruciato i non credenti e proibito il rispetto pagano per il
femminino sacro”. (Il Codice Da Vinci, trad. it., p. 280)


Il Santo Graal è la metafora preferita per indicare un obiettivo
desiderabile ma difficile da conseguire, dalla mappa del genoma umano alla
Stanley’s Cup. Sebbene il Graal originale – la coppa che si dice utilizzata
da Gesù durante l’Ultima Cena – normalmente occupi le pagine del romanzo
arturiano, il recente mega-best seller di Dan Brown, Il Codice Da Vinci, lo
strappa dal reame della storia esoterica.

Tuttavia il suo libro è ben più che la storia di una ricerca del Graal.
Brown reinterpreta totalmente la leggenda del Graal. Nel fare questo, Brown
capovolge l’intuizione che il corpo della donna sia simbolicamente un
contenitore e rende un contenitore simbolicamente un corpo di donna. E quel
contenitore ha un nome che ogni cristiano riconoscerà, perché Brown afferma
che il Sacro Graal era in realtà Maria Maddalena. Essa era il recipiente che
conteneva il sangue di Gesù Cristo nell’utero, partorendone il figlio.

Nel corso dei secoli, i custodi del Graal hanno vigilato sulla vera (e
continua) discendenza di Cristo e i sui resti della Maddalena, non su un
recipiente materiale. Perciò Brown sostiene che “la ricerca del Santo Graal
è [.] la ricerca del luogo dove inginocchiarsi davanti alle ossa di Maria
Maddalena”, una conclusione che avrebbe sicuramente sorpreso Sir Galahad e
gli altri cavalieri del Graal che pensavano di cercare il calice dell’Ultima
Cena.

Il Codice Da Vinci si apre con il macabro omicidio del curatore del Louvre
all’interno del museo. Il crimine coinvolge l’eroe Robert Langdon, uno
sportivo professore di simbologia proveniente da Harvard, e la nipote della
vittima, Sophie Nevue, crittologa dai capelli rossi. Insieme allo storico
milionario zoppo Leigh Teabing fuggono da Parigi a Londra un passo in
anticipo sulla polizia e su un pazzo “monaco” albino dell’Opus Dei di nome
Silas, che non si fermerà di fronte a nulla per impedire loro di trovare il
“Graal”.

Ma nonostante il ritmo frenetico, in nessun punto all’azione viene permesso
di interferire con una buona lezione. Prima che la storia si ritrovi al
punto di partenza al Louvre, i lettori affrontano un fuoco di fila di
codici, enigmi, misteri, e cospirazioni.

Con il suo principio affermato due volte, “a tutti piacciono i complotti”,
Brown rievoca la famosa autrice che creava il suo prodotto studiando le
caratteristiche dei dieci best-seller precedenti. Sarebbe troppo facile
criticarlo per i personaggi sottili come una copertina di plastica, per la
prosa indistinta e per l’azione improbabile. Ma Brown non sta tanto
scrivendo malamente quanto scrivendo in un modo particolare, calcolato al
meglio per attirare il pubblico femminile (le donne, dopo tutto, comprano la
maggior parte dei libri della nazione). Ha coniugato una trama da thriller a
una tecnica romanzesca. Notate come ogni personaggio sia un tipo estremo.
brillante senza sforzo, untuoso, sinistro, o psicotico quando necessario,
che si muove su sfondi lussuosi ma curiosamente piatti. Evitando la violenza
e la ginnastica da camera da letto, mostra solo un breve bacio e un rito
sessuale eseguito da una coppia sposata. Le allusioni spinte sono sfuggenti
benché il testo indugi su qualche sanguinosa mortificazione dell’Opus Dei.
In breve, Brown ha costruito un romanzo perfetto per un club di libri per
signore.

La mancanza di serietà di Brown si rivela nei giochi (1) che fa con i nomi
dei suoi personaggi – Robert Langdon, “professore alto di chiara fama”
(distinto e virile); Sophie Nevue, “Nuova Eva della sapienza”; l’irascibile
e taurino detective Bezu Fache, “collera di zebù”. Il servo che guida verso
di loro la polizia è Legaludec, “duce legale”. Il curatore assassinato trae
il cognome, Saunière, da un vero prete cattolico le cui buffonerie
esoteriche diffusero l’interesse verso il segreto del Graal. Come scherzo
nascosto, Brown inserisce perfino il suo editore nella vita reale (Faukman è
Kaufman).

Mentre l’ampio uso delle formule romanzesche può essere il segreto della
celebrità di Brown, il suo messaggio anti-cristiano non può avergli fatto
male nei circoli editoriali: Il Codice Da Vinci ha debuttato in cima alla
lista dei best-seller del New York Times. Manipolando il suo pubblico
mediante le convenzioni della scrittura romanzesca, Brown invita i lettori a
identificarsi con i suoi personaggi eleganti e fascinosi che hanno visto
oltre le imposture dei chierici che nascondono la “verità” su Gesù e sua
moglie. La bestemmia viene pronunciata con voce pacata e ridendo
sommessamente: “Tutte le religioni del mondo sono basate su falsificazioni”.

Ma anche Brown ha i suoi limiti. Per schivare le accuse di fanatismo,
include un crescendo di trucchi che assolve la Chiesa dall’assassinio. E
benché presenti il cristianesimo come falso in radice, è disposto a
tollerarlo per la sua opera caritativa.

(Naturalmente, il cristianesimo cattolico diventerà anche più tollerabile
una volta che il nuovo papa liberale eletto nel precedente romanzo di Brown
con protagonista Langdon, Angeli & Demoni, abbandonerà gli insegnamenti
fuori moda. “Le leggi del terzo secolo non si possono più applicare ai
moderni seguaci di Cristo”, dice uno dei cardinali progressisti del libro)

Da dove tra tutto questo?

In realtà Brown cita le sue fonti principali all’interno del testo del suo
romanzo. Uno è un classico della cultura femminista accademica: I vangeli
gnostici di Elaine Pagels. Le altre sono storie esoteriche popolari: La
Rivelazione dei templari. Guardiani segreti della vera identità di Cristo di
Lynn Picknett e Clive Prince; Il Santo Graal di Michael Baigent, Richard
Leigh, e Henry Lincoln; La Dea nei Vangeli. La rivendicazione del femminino
sacro e La Donna dalla giara di alabastro. Maria Maddalena e il Santo Graal,
entrambi di Margaret Starbird. (i libri della Starbird, che si dice
cattolica, sono stati pubblicati da Matthew Fox’s outfit, Bear & Co.). Un’
altra influenza, almeno in seconda battuta, è L’Enciclopedia Femminile dei
Miti e dei Segreti di Barbara G. Walker.

L’uso di fonti talmente inaffidabili pregiudica le pretese intellettuali di
Brown. Ma la cosa ha apparentemente ingannato almeno alcuni dei suoi
lettori: il revisore dei libri dei New York Daily News ha strombazzato: “La
sua ricerca è impeccabile”.

Tuttavia, nonostante le arie da studioso di Brown, uno scrittore che pensa
che i Merovingi abbiano fondato Parigi e dimentica che i papi un tempo
vivevano ad Avignone, è difficile sia un ricercatore modello. E che affermi
che la Chiesa abbia bruciato cinque milioni di donne in quanto streghe
mostra un’ignoranza intenzionale – e in malafede – del dato storico. Le
ultime cifre delle morti durante la caccia alle streghe in Europa vanno da
30.000 a 50.000 vittime. Non tutte furono eseguite dalla Chiesa, non tutte
erano donne, e non tutte furono bruciate. L’affermazione di Brown secondo
cui dai cacciatori di streghe venivano scelte le donne istruite, le
sacerdotesse e le levatrici non solo è falsa, ma tradisce le sue fonti
bendisposte nei confronti della dea.

Una moltitudine di errori

Il Codice Da Vinci è talmente pieno di errori che il lettore istruito
applaude in realtà quelle rare occasioni dove Brown (suo malgrado) incespica
nella verità. Qualche esempio della sua “impeccabile” ricerca: Brown
sostiene che i movimenti del pianeta Venere tracciano un pentacolo (il
cosiddetto pentagramma di Ishtar) che simboleggia la dea. Tuttavia esso non
è una figura perfetta e nulla ha a che fare con la durata dell’Olimpiade.
Gli antichi Giochi Olimpici venivano celebrati in onore di Zeus olimpico,
non di Afrodite, e si svolgevano ogni quattro anni.

Erronea è anche l’affermazione di Brown secondo la quale i cinque anelli
congiunti dei moderni Giochi Olimpici sono un segreto tributo alla Dea: ad
ogni serie dei giochi si supponeva di aggiungere un anello al disegno ma gli
organizzatori si fermarono a cinque. E sono semplicemente ridicoli i suoi
sforzi di leggere la propaganda in favore della Dea nell’arte, nella
letteratura, e anche nei cartoni animati Disney.

Nessun dato è troppo dubbio per essere incluso, e la realtà viene
accantonata velocemente. Per esempio, il vescovo dell’Opus Dei incoraggia il
suo albino assassino raccontandogli che anche Noè era un albino (una nozione
tratta dal non-canonico 1 Enoch 106:2). Tuttavia l’albinismo in qualche modo
non interferisce con la vista dell’uomo come dovrebbe fisiologicamente.

Ma un esempio molto più importante è il trattamento di Brown
dell’architettura gotica come uno stile pieno di simboli di culto verso la
Dea e di messaggi in codice per confondere i non iniziati. Basandosi sull’
affermazione di Barbara Walzer che “come un tempio pagano, la cattedrale
gotica rappresenta il corpo della Dea”, La rivelazione dei Templari afferma:
“Il simbolismo sessuale è presente anche nelle grandi cattedrali gotiche, la
cui costruzione fu promossa dai Templari. Elementi caratteristici […]
rappresentano elementi anatomici femminili: l’arco, che introduce i
visitatori nel corpo della Chiesa Madre, evoca la vulva”. Nel Codice Da
Vinci, questi sentimenti sono trasformati nella spiegazione da parte di un
personaggio di come la “lunga navata vuota della cattedrale fosse un segreto
tributo pagano all’utero femminile [.] completa di escrescenze labiali
incassate e di un clitoride floreale a cinque petali al di sopra del
portale”.

Queste osservazioni non possono essere accantonate come opinioni del
“cattivo”; Langdon, l’eroe del libro, si riferisce alle sue conferenze a
Chartres sul simbolismo della Dea.

Questa bizzarra interpretazione tradisce la non conoscenza del reale
sviluppo o della costruzione dell’architettura gotica, e correggere gli
innumerevoli errori diventa un noioso esercizio: I Templari nulla avevano a
che fare con le cattedrali del loro tempo, che furono commissionate dai
vescovi e dai loro canonici in tutta Europa. Essi erano uomini illetterati
senza alcuna arcana conoscenza della “geometria sacra” tramandata dai
costruttori di piramidi. Non dominavano gli stessi strumenti sui loro
progetti, né fondarono corporazioni di massoni per costruirne per altri. Non
tutte le loro chiese erano rotonde, né la rotondità era un insulto di sfida
alla Chiesa. Piuttosto che essere un tributo al divino feminino, le loro
chiese circolari onoravano la Chiesa del Santo Sepolcro.

In realtà guardando le chiese gotiche e quelle che le precedettero l’idea
del simbolismo femminile si sgonfia. Le grandi chiese medievali tipicamente
avevano tre porte frontali a ovest più triple entrate ai loro transetti a
nord e a sud (quale parte dell’anatomia femminile rappresenta il transetto?
o la volta della navata centrale di Chartres?). Le chiese romaniche –
incluse quelle che precedono la fondazione dei Templari – hanno bande
decorative simili che si inarcano sopra le entrate. Sia le chiese gotiche
che quelle romaniche hanno ereditato dalle basiliche tardoantiche la navata
lunga e rettangolare, derivata fondamentalmente dagli edifici pubblici
romani. Né Brown né tantomeno le sue fonti considerano quale simbolismo
coglievano nello schema di una chiesa ecclesiastici medievali come Suger di
St.-Denis o Guillaume Durand. Certamente non culto nei confronti della Dea.

Affermazioni false

Se quanto sopra sembra uno schiacciatesta inflitto a un moscerino, i colpi
sono necessari per dimostrare la totale falsità del materiale di Brown

Le sue volontarie distorsioni della storia documentata si accoppiano più che
bene con le sue strambe affermazioni su argomenti controversi. Ma per un
postmodernista una costruzione della realtà vale l’altra.

L’approccio di Brown sembra consistere nel raccogliere ampie sezioni delle
sue fonti e scuoterle insieme in una insalata di storia. Da Il Santo Graal
Brown prende il concetto del Graal come metafora del lignaggio sacro
spezzando arbitrariamente un termine francese medievale, Sangraal (Santo
Graal), in sang (sangue) e raal (reale). Questo santo sangue, secondo Brown,
discendeva direttamente da Gesù e da sua moglie, Maria Maddalena, alla
dinastia Merovingia nei tempi bui della Francia, sopravvivendo alla sua
caduta per persistere in diverse famiglie francesi moderne, inclusa quella
di Pierre Plantard, uno dei capi del misterioso Priorato di Sion. Il
Priorato – un’organizzazione reale registrata ufficialmente dal governo
francese nel 1956 – fa affermazioni straordinarie riguardo la propria
antichità come il “vero” potere dietro i Cavalieri Templari. Con ogni
probabilità sorse dopo la seconda guerra mondiale e fu portato per la prima
volta a pubblica conoscenza nel 1962. Ad eccezione del regista Jean Cocteau,
la sua illustre lista di Gran Maestri – che include Leonardo da Vinci, Isaac
Newton, e Victor Hugo – non è credibile, benché presentata come vera da
Brown.

Brown non accetta una motivazione politica per le attività del Priorato. Al
contrario, accoglie l’idea della Rivelazione dei templari dell’
organizzazione come un culto di adoratori segreti della Dea che hanno
conservato l’antica saggezza gnostica e i ricordi dell’autentica missione di
Cristo, che se resi pubblici rovescerebbero completamente il cristianesimo.
In maniera significativa, Brown omette il resto delle tesi del libro che
vedono Cristo e Maria Maddalena, partner sessuali senza essere sposati, che
eseguono i misteri erotici di Iside. Forse anche un pubblico di massa
credulone ha i suoi limiti.

Da Il Santo Graal e dalla Rivelazione dei templari, Brown trae una visione
negativa della Bibbia e un’immagine fortemente distorta di Gesù, che non è
né il Messia né un umile carpentiere ma un ricco, istruito maestro religioso
deciso a riconquistare il trono di Davide. Le sue credenziali sono
amplificate dalla sua relazione con la ricca Maddalena che porta il sangue
reale di Beniamino: “Quasi tutto ciò che i nostri padri ci hanno insegnato a
proposito di Cristo è falso”, si lamenta uno dei personaggi di Brown.

Tuttavia è la cristologia di Brown a essere falsa, e lo è ciecamente. Brown
pretende che l’attuale Nuovo Testamento sia una falsificazione
post-costantiniana che ha soppiantato le vere narrazioni ora rappresentate
solo dai sopravviventi testi gnostici. Afferma che Cristo non fu considerato
divino fino al Consiglio di Nicea che lo votò in questo modo nel 325 agli
ordini dell’imperatore. Poi Costantino – adoratore del sole per tutta una
vita – ordinò che tutti i testi scritturistici più antichi fossero
distrutti, ed è per questo che nessuna serie completa di Vangeli è anteriore
al quarto secolo. I cristiani in qualche modo non riuscirono ad accorgersi
dell’improvviso e drastico cambiamento nella loro dottrina.

Ma secondo lo specioso ragionamento di Brown, neanche il vecchio Testamento
può essere autentico perché le Scritture ebraiche complete non sono più
vecchie di un migliaio di anni. E i testi tuttavia furono trasmessi così
accuratamente che si adattano bene ai rotoli del mar Morto anteriori di
mille anni. L’analisi delle famiglie testuali, comparazioni di frammenti e
citazioni più le correlazioni storiche datano sicuramente i Vangeli
ortodossi al primo secolo e indicano come essi siano anteriori rispetto alle
contraffazioni gnostiche. (Le Epistole di S. Paolo naturalmente precedono
anche i Vangeli).

I documenti della Chiesa Primitiva e la testimonianza dei Padri anteniceani
confermano che i cristiani hanno sempre creduto che Gesù fosse il Signore,
Dio, e Salvatore, anche quando quella fede significava la morte. I primi
canoni parziali delle Scritture risalgono alla fine del secondo secolo e
ripudiano già gli scritti gnostici. Per Brown, non è sufficiente attribuire
a Costantino la divinizzazione di Gesù. La vecchia adesione dell’imperatore
al culto del Sol Invictus si proponeva quindi di riciclare l’adorazione del
sole come la nuova fede. Brown ripropone vecchie (e screditate da lungo
tempo) accuse da parte di virulenti anticattolici come Alexander Hislop che
accusava la Chiesa di perpetuare i misteri babilonesi, e come i razionalisti
del XIX secolo che consideravano Cristo solo come un altro dio salvatore
morente.

Non sorprende che Brown non perda l’opportunità di criticare il
cristianesimo e i suoi patetici seguaci. (La chiesa in questione è sempre la
chiesa cattolica, benché il suo “cattivo” in un’occasione si faccia
apertamente beffe degli anglicani; di tutte le cose, per il loro aspetto
arcigno). Si riferisce in maniera continua e anacronistica alla Chiesa come
al “Vaticano”, anche quando i papi non vi risiedevano. Rappresenta
sistematicamente la Chiesa nel corso della storia come infida, smaniosa di
potere, astuta, e omicida: “La Chiesa non può più servirsi dei crociati per
ammazzare i non credenti, ma la sua influenza è altrettanto efficace. E
altrettanto insidiosa”.

Il Culto della Dea e la Maddalena

La cosa peggiore agli occhi di Brown è che l’ostilità della Chiesa nei
confronti del piacere, del sesso e della donna abbia soppresso il culto
della Dea ed eliminato il femminino sacro. Sostiene che il culto della Dea
dominasse universalmente il paganesimo precristiano con lo hieros gamos
(matrimonio sacro) come rito centrale. Il suo entusiasmo per i riti di
fertilità è l’entusiasmo per la sessualità, non per la procreazione. Cos’
altro ci si aspetterebbe da un simpatizzante del catarismo?

In maniera stupefacente, Brown afferma che gli ebrei nel Tempio di Salomone
adoravano Yahweh e la sua controparte femminile, la Shekinah, tramite i
servigi delle prostitute sacre – probabilmente una versione distorta della
corruzione del Tempio dopo Salomone (1 Re 14:24 e 2 Re 23:4-15). Inoltre,
egli dice che il tetragramma YHWH deriva da “Jehovah, androgina unione
fisica tra il maschile Jah e il nome preebraico di Eva, Havah”.

Ma come potrebbe dirvi qualunque studente del primo anno del corso di
Scrittura, Jehovah è in realtà una interpretazione del XVI secolo di Yahweh
usando le vocali di Adonai (“Signore”). Infatti, la Dea non dominava il
mondo precristiano: non le religioni di Roma, i suoi sottoposti barbari, l’
Egitto, o anche i territori semitici dove lo hieros gamos era un’antica
pratica. Nemmeno il culto ellenizzato di Iside pare aver mai incluso il
sesso nei suoi riti segreti.

Contrariamente alle affermazioni di Brown, le carte dei Tarocchi non
insegnano la dottrina della Dea. Furono inventate per innocenti scopi di
gioco nel XV secolo e non acquisirono associazioni occultistiche fino alla
fine del XIX secolo. I pacchi di carte da gioco non hanno alcun simbolismo
del Graal. L’idea che i diamanti simboleggino i pentacoli è un deliberato
stravolgimento dell’occultista britannico A. E. Waite. E il numero cinque –
tanto cruciale per gli enigmi di Brown – ha qualche collegamento con la Dea
protettrice ma anche con miriadi di altre cose, inclusa la vita umana, i
cinque sensi, e le cinque piaghe di Cristo.

Il trattamento di Maria Maddalena da parte di Brown è veramente deludente.
Nel Codice Da Vinci, non è una prostituta pentita ma la consorte reale di
Cristo e colei che è destinata ad essere il capo della Sua Chiesa,
soppiantata da Pietro e diffamata dagli ecclesiastici. Fugge con la sua
prole ad ovest verso la Provenza, dove i catari medievali conserverebbero
gli insegnamenti originali di Gesù da vivo. Il Priorato di Sion veglia
ancora sui suoi resti e sulle sue memorie, portati alla luce dal sotterraneo
Santo dei Santi ad opera dei Templari. Il Priorato protegge anche i
discendenti di lei, inclusa l’eroina di Brown.

Sebbene molti ancora raffigurino la Maddalena come la peccatrice che unse
Gesù e la considerino uguale a Maria di Betania, tale confusione è in realtà
opera successiva del Papa S. Gregorio Magno. L’Oriente le ha sempre
mantenute separate e ha sempre affermato che la Maddalena, “apostola degli
apostoli”, morì a Efeso. La leggenda del suo viaggio in Provenza non è
anteriore al IX secolo, e i suoi resti non vi furono riportati fino al XIII
secolo. I critici cattolici, inclusi i Bollandisti, hanno sfatato la
leggenda e distinto le tre donne fin dal XVII secolo.

Brown usa due documenti gnostici, il Vangelo di Filippo e il Vangelo di
Maria, per provare che la Maddalena era la “compagna” di Cristo, intendendo
la partner sessuale. Gli apostoli erano gelosi che Gesù fosse solito
“baciarla sulla bocca” e la favorisse nei loro confronti. Brown cita
esattamente gli stessi passaggi citati nel Santo Graal e nella Rivelazione
dei Templari e raccoglie persino il secondo riferimento dall’Ultima
Tentazione di Cristo. Ciò che questi libri tralasciano di menzionare è l’
infamante versetto finale del Vangelo di Tommaso. Quando Pietro sogghigna
che le “femmine non sono degne della vita”, Gesù risponde: “Ecco io la
guiderò in modo da farne un maschio…. Perché ogni femmina che si fa
maschio entrerà nel Regno dei cieli”. (traduzione tratta da L. Moraldi,
Vangeli apocrifi, Piemme, Casale Monferrato 1996; ndr)

Questo è certamente uno strano modo di “onorare” la propria sposa o di
esaltare lo status delle donne.

I Cavalieri Templari

Brown allo stesso modo travisa la storia dei Cavalieri del Tempio. Il più
vecchio degli ordini religiosi militari, i Cavalieri furono fondati nel 1118
per proteggere i pellegrini in Terra Santa. La loro regola, attribuita a S.
Bernardo di Chiaravalle, venne approvata nel 1128 e generose donazioni
garantirono a loro supporto numerose proprietà in Europa. Resi ridondanti
dopo la caduta nel 1291 dell’ultima fortezza crociata, l’orgoglio e la
ricchezza dei Templari – erano anche banchieri – attirò loro profonda
ostilità.

Brown attribuisce maliziosamente la soppressione dei Templari al
“machiavellico” papa Clemente V, che essi stavano ricattando con il segreto
del Graal. La sua “ingegnosa operazione lampo” fece sì che i suoi soldati
arrestassero improvvisamente tutti i Templari. Accusati di satanismo,
sodomia, e blasfemia, essi furono torturati fino alla confessione e bruciati
come eretici, i loro resti “gettati nel Tevere senza tante preoccupazioni”.

Ma in realtà, l’iniziativa per distruggere i Templari partì da Re Filippo il
Bello, i cui ufficiali reali eseguirono gli arresti nel 1307. Circa 120
Templari furono bruciati dalle corti inquisitoriali locali della Francia per
non aver confessato o aver ritrattato la confessione, come avvenne con il
Gran Maestro Jacques de Molay. Alcuni Templari patirono la morte altrove
sebbene il loro ordine venisse abolito nel 1312. Clemente, un francese
debole e malaticcio manipolato dal suo Re, non bruciò nessuno a Roma, in
quanto era il primo papa a regnare da Avignone (e tanto basta per le ceneri
nel Tevere).

Inoltre, il misterioso idolo di pietra che i Templari furono accusati di
adorare è associato alla fertilità solo in una delle oltre cento
confessioni. Fu la sodomia la scandalosa – e forse vera – accusa verso l’
Ordine, non la fornicazione rituale. I Templari sono stati prediletti dall’
occultismo da quando il loro mito di maestri della segreta saggezza e di
favolosi tesori cominciò a formarsi verso la fine del XVIII secolo. I
frammassoni e perfino i nazisti li hanno acclamati come fratelli. Ora è il
turno dei neo-gnostici.

Da Vinci travisato

Le interpretazioni revisioniste di Brown riguardo Leonardo da Vinci sono
distorte quanto il resto del suo libro. Sostiene di essersi per la prima
volta imbattuto in queste visioni “mentre studiavo storia dell’arte a
Siviglia”, ma queste corrispondono punto per punto al materiale nella
Rivelazione dei Templari. Uno scrittore che vede in un dito puntato un gesto
di tagliare la gola, che afferma che la Vergine delle Rocce è stata dipinta
per delle suore e non per una confraternita laica maschile, che sostiene che
Da Vinci ha ricevuto “centinaia di ricche commissioni da parte della Chiesa”
(in realtà solo una. e non fu mai eseguita) è semplicemente inaffidabile.

L’analisi di Brown dell’opera di Leonardo Da Vinci è altrettanto ridicola.
Presenta la Monna Lisa come un autoritratto androgino quando è ampiamente
noto ritragga una donna reale, Madonna Lisa, moglie di Francesco di
Bartolomeo del Giocondo. Il nome non è certamente – come sostiene Brown – un
derisorio anagramma delle due divinità egizie della fertilità Amon e L’Isa
(in italiano per Isis). Chissà come mai si è lasciato sfuggire la teoria,
propugnata dagli autori della Rivelazione dei Templari, che la Sindone di
Torino sia un autoritratto fotografato di Leonardo Da Vinci!

Molte delle argomentazioni di Brown sono incentrate intorno all’Ultima Cena
di da Vinci, un dipinto che l’autore considera un messaggio in codice che
rivela la verità su Gesù e il Graal. Brown sottolinea la mancanza del calice
centrale sulla tavola come prova che il Graal non è un recipiente materiale.
Ma il dipinto di Leonardo da Vinci mette in scena specificamente il momento
in cui Gesù avverte: “Uno di voi mi tradirà” (Giovanni 13:21). Non c’è
alcuna narrazione nel Vangelo di S. Giovanni. In esso l’Eucaristia non viene
mostrata e la persona seduta accanto a Gesù non è Maria Maddalena (come
sostiene Brown) ma S. Giovanni, ritratto come al solito come un giovane
effeminato da Leonardo da Vinci, paragonabile al suo S. Giovanni Battista.
Gesù si trova esattamente al centro del dipinto, con due gruppi piramidali
di tre apostoli su ciascun lato. Sebbene Leonardo da Vinci fosse un
omosessuale spiritualmente problematico, è insostenibile l’affermazione di
Brown secondo cui egli codificò i suoi dipinti con messaggi anti-cristiani.

Il caos di Brown

Insomma, Dan Brown ha composto uno scritto miserevole, un pasticcio
ricercato atrocemente. Perciò, perché prendersi la briga di fare una lettura
così ravvicinata di un romanzo senza valore? La risposta è semplice: Il
Codice Da Vinci segue la corrente esoterica. Può ben darsi faccia per lo
Gnosticismo quello che fece I Misteri di Avalon per il paganesimo:
ottenergli l’approvazione popolare. Dopo tutto, quanti lettori inesperti
scorgeranno le inesattezze e le menzogne propalate come verità nascoste?

In più, facendo false affermazioni di erudizione, il libro di Brown infetta
i lettori con una virulenta ostilità nei confronti del cattolicesimo.
Dozzine di libri di storie occultistiche, accuratamente collegate da
Amazon.com, seguono la sua scia. E gli scaffali dei librai ora sono zeppi di
falsità. Se ne venderebbero pochi senza il collegamento con Il Codice Da
Vinci. Se pure l’assalto di Brown alla Chiesa cattolica può essere un
complimento ambiguo, ne avremmo fatto volentieri a meno.

(1) I giochi di parole di Brown sono spesso difficoltosi da tradurre in
lingua italiana. Robert Langdon nell’articolo originale viene reso con
“bright fame long don”; in “Sophie Nevue” Sandra Miesel vede “wisdom New
 Eve” (probabilmente un gioco di parole in francese, così come  Bezu Fache).
Tuttavia “Langdon” potrebbe essere anche un riferimento a John Langdon,
specialista di ambigrammi, cioè parole scritte in modo da essere leggibili
allo stesso modo sia dall’alto verso il basso che viceversa. Il sito di
Langdon è indicato tra i collegamenti del sito ufficiale di Dan Brown. Anche
il nome di uno dei protagonisti, Leigh Teabing, è l’anagramma di Leigh
Baigent, cioè i cognomi degli autori de Il Santo Graal, Michael Baigent e
Richard Leigh.

Sandra Miesel è una giornalista cattolica veterana.

© 2003 Morley Editoriali Group, Inc., the publisher of Crisis Magazine

(Traduzione di Giuseppe Tria)

Articolo originale comparso sul numero 8 di «Crisis», settembre 2003, col
titolo Dismantling The Da Vinci Code. Le citazioni letterali del libro di
Brown sono tratte dalla traduzione italiana: Dan Brown, Il Codice Da Vinci,
Mondadori 2003