Un Darwin poco conosciuto: l’eugenista

Il preludio all’eugenetica di Darwin,
scritto da se medesimo nel 1871


La lettura de “L’origine dell’uomo”, pubblicato nel 1871, ci presenta un Darwin relativista morale, convinto dell’esistenza di una gerarchia tra le razze umane e favorevole all’eugenetica…

E’ corretto addossare a Charles Darwin la responsabilità della diffusione negli Stati Uniti e in Europa, a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento, delle politiche eugenetiche miranti al miglioramento della razza attraverso il divieto dei matrimoni misti, le sterilizzazioni forzate, l’eutanasia per i disabili, fino allo sterminio delle popolazioni “inferiori”? Chi si permette di porre un simile interrogativo si sente ripetere un ritornello già sentito a proposito di un’altra disastrosa ideologia: non bisogna confondere le buone teorie con le sue cattive applicazioni. Gli interessi di Darwin, ci viene assicurato, erano esclusivamente naturalistici, e i darwinisti sociali che applicarono i meccanismi della selezione alle vicende umane non andrebbero considerati come suoi seguaci, ma come traditori della sua eredità. E’ lecito tuttavia sollevare qualche dubbio, soprattutto oggi che sui temi bioetici gli evoluzionisti più convinti riscoprono l’eugenetica sotto vesti più progressiste e umanitarie. La lettura de “L’origine dell’uomo” (ed. Studio Tesi, 1991), pubblicato nel 1871, ci presenta infatti un Darwin relativista morale, convinto dell’esistenza di una gerarchia tra le razze umane e favorevole all’eugenetica. In quest’opera Darwin nega l’esistenza della legge naturale su cui si fondava da quasi duemila anni la morale cristiana, e propone un nuovo relativismo morale fondato sull’evoluzione. Le facoltà morali dell’uomo non farebbero parte della sua natura, ma evolverebbero “attraverso la selezione naturale, affiancata dall’abitudine ereditata”. Gli uomini primitivi che avevano sviluppato istinti sociali più forti, come la generosità, la fedeltà e il coraggio, formarono tribù più forti e coese, che eliminarono nella lotta per l’esistenza le tribù con regole morali meno sviluppate: “Una tribù ricca delle qualità suddette doveva ampliarsi e riuscire vittoriosa sulle altre tribù: ma nel corso del tempo doveva, a giudicare dalla storia, essere sopraffatta da altre tribù ancora più dotate. Così le qualità sociali e morali tendevano a progredire lentamente e a diffondersi per il mondo” (pp. 169- 170). Questa spiegazione evoluzionistica della morale fornisce una base scientifica al relativismo morale, dato che la coscienza umana, sorgendo accidentalmente dalla selezione naturale, avrebbe potuto evolvere in qualsiasi forma: “Se per esempio, per prendere un caso estremo, gli uomini fossero allevati nelle stesse precise condizioni delle api, non v’è quasi alcun dubbio che le nostre femmine non maritate crederebbero, come le api operaie, loro sacro dovere uccidere i fratelli, e le madri tenterebbero di uccidere le figlie feconde; e nessuno penserebbe a opporsi” (p. 125). L’omicidio e l’infanticidio, sta dicendo Darwin, non possono essere condannati in sé, ma vanno valutati in base alla loro capacità di garantire la sopravvivenza del gruppo. La brutalità del processo di sopravvivenza  del più adatto e la sua mancanza direzione sembrano però in contraddizione con l’idea che l’evoluzione sia moralmente progressiva. Infatti secondo Darwin le nazioni dell’Europa occidentale, dal punto di vista morale, “superano smisuratamente i loro progenitori selvaggi e sono al vertice della civiltà”, ma questa superiorità dell’uomo civilizzato (che include la simpatia per i propri simili e “il disinteressato amore per tutte le creature… fino agli animali più bassi”) è il prodotto di millenni di lotta per la sopravvivenza, che è lungi dall’essere terminata. Per Darwin anche il progresso morale, paradossalmente, richiede la distruzione delle razze “meno adatte” da parte di quelle più avanzate: “L’uomo, come tutti gli altri animali, ha senza dubbio progredito fino alla sua condizione attuale a opera della lotta per l’esistenza, frutto del suo rapido moltiplicarsi; e, se egli deve progredire ed elevarsi ancora di più, deve rimanere soggetto a una dura lotta” (p. 270). Tra gli intellettuali che esaltavano la guerra come “igiene del mondo”, questo tema ebbe una grande popolarità negli anni che precedettero la Prima guerra mondiale. Nell’“Origine della specie” (1859) Darwin aveva spiegato che in natura la lotta per la sopravvivenza avviene tra le specie più simili; nell’“Origine” dell’uomo applica questa idea alla storia evolutiva dell’uomo, plaudendo alla necessaria e benefica estinzione delle razze  meno favorite: “In un tempo avvenire, non molto lontano se misurato in secoli, le razze umane civili stermineranno e si sostituiranno in tutto il mondo alle razze selvagge. Nello stesso tempo le scimmie antropomorfe saranno senza dubbio sterminate. La lacuna tra l’uomo e i suoi più prossimi affini sarà allora più larga, perché invece di essere interposta tra il negro dell’Australia e il gorilla, sarà tra l’uomo in uno stato, speriamo, ancora più civile degli europei, e le scimmie inferiori come il babbuino” (p. 207). Il senso è chiaro: grazie alla selezione naturale la razza europea emergerà come distinta specie di homo sapiens, mentre le forme intermedie (lo scimpanzé, il gorilla, l’aborigeno australiano e il negro africano) si estingueranno. La selezione naturale però non opera solo tra le razze, ma anche tra gli individui della stessa razza, e qui entra in scena l’eugenetica. Darwin osserva (una lamentela ripresa poi da eugenisti come Francis Galton ed Ernst Haeckel) che l’uomo civilizzato, malgrado la sua superiorità, ha uno svantaggio rispetto al selvaggio: “Fra i selvaggi i deboli di corpo e di mente vengono presto eliminati; e quelli che sopravvivono godono in genere di un ottimo stato di salute. D’altra parte, noi uomini civili cerchiamo con ogni mezzo di ostacolare il processo di eliminazione; costruiamo ricoveri per gli incapaci, per gli storpi e per i malati; facciamo leggi per i poveri; e i nostri  medici usano la loro massima abilità per salvare la vita di chiunque fino all’ultimo momento. Vi è ragione di credere che la vaccinazione abbia salvato migliaia di persone, che in passato sarebbero morte di vaiolo a causa della loro debole costituzione. Così i membri deboli della società civile si riproducono. Chiunque sia interessato dell’allevamento di animali domestici non dubiterà che questo fatto sia molto dannoso alla razza umana. E’ sorprendente come spesso la mancanza di cure o le cure mal dirette portano alla degenerazione di una razza domestica; ma, eccettuato il caso dell’uomo stesso, difficilmente qualcuno è tanto ignorante da far riprodurre i propri animali peggiori… Dobbiamo perciò sopportare gli effetti indubbiamente deleteri della sopravvivenza dei deboli e della propagazione della loro stirpe” (pp. 175-176). Tutto questo, per inciso, detto da un uomo che fu cagionevole di salute, e che ebbe figli tutti ugualmente fragili. Alla fine del libro Darwin espone apertamente le sue proposte di politica eugenetica: “Se i vari ostacoli di cui abbiamo parlato… non impediscono agli irrequieti, ai viziosi e agli altri elementi inferiori della società di accrescersi più rapidamente del gruppo di uomini migliori, la nazione regredirà, come è accaduto spesso nella storia del mondo” (p. 184). “L’uomo – continua Darwin – ricerca con cura il carattere e la genealogia dei suoi cavalli,  del suo bestiame e dei suoi cani, prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado, o quasi mai, si prende tutta questa briga… Eppure l’uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa non solo per la costituzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali… D’altra parte, se i prudenti si astengono dal matrimonio, mentre gli avventati si sposano, i membri inferiori della società tenderanno a soppiantare i migliori”. “I due sessi – conclude Darwin – dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente e di corpo; ma queste speranze sono utopie, e non si realizzeranno mai, neppure in parte, finché le leggi dell’ereditarietà non saranno completamente conosciute. Chiunque coopererà a questo intento, renderà un buon servigio all’umanità” (p. 269). Darwin propone la teoria, del tutto indimostrata, secondo cui i figli del “non adatto” sarebbero anch’essi “non adatti”, negando così ogni importanza ai fattori ambientali, culturali e alle scelte personali. Contrariamente a quanto sostiene la vulgata, perciò, ne “L’Origine dell’uomo” sono esposte tutte le tesi principali del darwinismo sociale e dell’eugenetica. Aderendo a questa nuova concezione materialista dell’uomo, ridotto a pura entità biologica, l’occidente ha preso una china rovinosa e ha generato quella cultura della morte con cui dobbiamo ancora oggi fare i conti.

di Guglielmo Piombini
Il Foglio 13 ottobre 2005