TOSCANA: baluardo rosso…

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Toscana, il granducato rosso


Per capire quel groviglio di potere fatto di municipalismo campanilista, welfare & cooperative, circoli Arci e bocciofile, feste dell’Unità e antiberlusconismo antropologico che è la Toscana, bisogna cominciare il viaggio da queste parole di Vannino Chiti, capolista dell’Ulivo e per diversi anni presidente della Regione: L’unico difetto della Toscana è aver dato i natali a uno come Sandro Bondi”… Buon viaggio nel baluardo rossso.


 

L’unico difetto della Toscana è aver dato i natali a uno come Sandro Bondi”. Per capire quel groviglio di potere fatto di municipalismo campanilista, welfare & cooperative, circoli Arci e bocciofile, feste dell’Unità e antiberlusconismo antropologico che è la Toscana, bisogna cominciare il viaggio da queste parole di Vannino Chiti, capolista dell’Ulivo e per diversi anni presidente della Regione.
Un uomo di partito, la prefazione ideale alla storia bislacca di una terra dove da sessant’anni non esiste alternanza politica (quella che dal 1994, data della scesa in campo di Silvio Berlusconi, si è invece puntualmente verificata per il governo nazionale) alla guida dei Palazzi che contano.
Il racconto si apre con la fotografia dell’emittenza. E’ il 1997 quando il canale Teleregione, di proprietà dell’allora Partito democratico della sinistra, passa a Italia 7. La decisione della cessione viene presa dal presidente della società editrice Firenze Libera (azionista di maggioranza il Pds) mentre sono in corso una serie di incontri promossi dalla giunta regionale di centrosinistra presieduta proprio dal Chiti. Che va su tutte le furie: “Un vero e proprio scippo – sbotta il governatore – irresponsabile dal punto di vista del metodo e del merito. Chiedo di revocare il cda e il suo presidente e di vanificare, anche legalmente, questa svendita, rendendo possibili soluzioni che salvaguardano la vita dell’emittente. E’ stata fatta la scelta di vendere nonostante la volontà contraria del partito e del suo segretario regionale”. Agostino Fragai, segretario regionale del Pds, abbozza una timida replica: “Il cda ha piena autonomia gestionale e di scelta che ha rivendicato e utilizzato”. Il Pds non ha più la sua tv. Ma poco importa, ci sono sempre i telegiornali Rai regionali. Secondo i dati forniti dall’osservatorio di Pavia e relativi al periodo che va dal 12 febbraio al 6 marzo 2006, oltre il 60 per cento degli spazi dell’informazione politica risultano appannaggio dell’Unione e soltanto il 23,7 per cento alla Casa delle libertà. Un cannibalismo che investe anche i partiti interni alla coalizione di centrosinistra tanto che la protesta contro il Tg regionale parte dalla Rosa nel pugno e dai Comunisti italiani. Del resto un certo interesse per RaiTre lo ha mostrato, in passato, anche Chiara Boni, oggi candidata alle politiche per i Democratici di sinistra (in Veneto) e nel 2001 assessore alla comunicazione della regione. “Il progetto di nuova RaiTre – sono parole della Boni – dovrebbe puntare soprattutto su territorializzazione e decentramento, dando maggior ruolo alla regione”. Come esempio l’assessore citava l’accordo, siglato con l’intervento appunto della Regione, tra la Rai ed emittenti locali per la copertura degli avvenimenti quotidiani in ogni parte della Toscana.
Laddove non arriva l’informazione, poi, la giunta tenta di piazzare l’autopromozione. Autunno 2004, elezioni suppletive in Mugello e a Scandicci. Scampoli di politica, ma tutto fa brodo. La Regione decide di realizzare un programma, “Noi, Toscana”, per informare i cittadini sulle attività della giunta. Si tratta di sedici puntate da trasmettere su venti emittenti televisive locali con interventi in video degli amministratori regionali e locali di centrosinistra. Il 30 settembre va in onda la prima puntata. Sarà l’unica perché l’intervento dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni decide di sospendere la messa in onda del programma sino allo svolgimento delle elezioni suppletive. Motivazione: gli interventi degli amministratori regionali non presentano finalità informative “in quanto si concretizzano in un’attività di propaganda dell’operato dell’amministrazione”.
Che non disdegna, ad hoc, la politica dei sogni. Ne ha parlato proprio quest’anno, all’inizio di marzo, l’attuale presidente Claudio Martini, a Rosario, in Argentina, mentre era in visita alla casa natale di Ernesto Che Guevara. “In camera mia – ricorda Martini – avevo quattro manifesti appesi alle pareti: Mao, i Beatles, Che Guevara, e Mozart. Li ho tolti in quest’ordine, via via che avevo bisogno di mettere nuove librerie. Certo, oggi la situazione è diversa, eppure il bisogno di sognare, di avere un mito, o meglio, un punto di riferimento esiste ancora”. E siccome il fascino del Sudamerica è come la saudade, non se ne va mai, il governatore fiorentino ha ora un grande interesse per Hugo Chávez, il presidente del Venezuela, uomo di lotta e di governo. Martini lo ha incontrato poche settimane fa, un “incontro amichevole e disteso” dal quale è emersa la voglia di intessere un più stretto rapporto tra la Toscana e il Venezuela. “Chávez – sottolinea il presidente toscano – mi ha incoraggiato a costruire relazioni dirette tra la nostra regione e gli stati venezuelani. Su questo lavoreremo fin da subito, preparando al meglio l’incontro con la delegazione composta da rappresentanti del governo e degli imprenditori del Venezuela”. Business is business.
Gli affari sono affari e arriviamo al risiko bancario. Proprio in questi giorni è uscita la notizia dell’addio di Pier Luigi Fabrizi, presidente del Monte dei Paschi di Siena. “Mi sembra – spiega Fabrizi, dopo aver presentato i dati 2005 sugli utili boom della banca, oltre 709 milioni di euro – che la discussione in atto sugli organi collegiali abbia un sapore fortemente politico. Ne prendo atto con lo spirito di servizio che ha sempre caratterizzato la mia presenza alla guida della banca. Mi piace che Mps susciti desideri ma non vorrei che fosse oggetto di desideri. Io mi sono trovato a fare questa esperienza alla guida della banca in un momento in cui l’apertura verso i rappresentanti della società civile era forse maggiore di oggi ed egualmente maggiore era anche la disponibilità alla dialettica e al confronto delle idee su progetti strategici e industriali. Oggi – conclude Fabrizi – di questi progetti si discute molto poco. Non ho altro da aggiungere”. Ma quale sarà la ghiottoneria che ha fatto sbattere la porta a Fabrizi? A spiegarla sono due quotidiani, la Stampa e Repubblica. Scrive il primo: “A questo punto le ipotesi sul tappeto restano due: quella con Giuseppe Mussari, attuale presidente della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, alla presidenza della banca, e Gabriello Mancini, democristiano di lungo corso ora nella Margherita, al suo posto a capo della Fondazione, o viceversa. Per la prima soluzione ci sarebbe già un accordo a livello politico tra Ds e Margherita anche se a Siena non sono entusiasti. L’idea di lasciare alla Margherita la poltrona più alta della fondazione non piace infatti ad alcuni settori dei Democratici di sinistra che non si riconoscono nel binomio tra Mussari e il sindaco (di centrosinistra) di Siena Maurizio Cenni. La Fondazione è infatti l’ente che grazie ai dividendi di Mps distribuisce decine di milioni di euro sul territorio senese e non solo. Contributi che vanno dai progetti per la realizzazione di strade e iniziative culturali fino ai mille euro finiti l’anno scorso all’associazione senese Amici della bicicletta. In effetti, dando una scorsa ai finanziamenti erogati si va dall’Arci caccia, federazione provinciale di Siena, che ha ricevuto 65 mila euro per la realizzazione di un recinto per l’addestramento dei cani da cinghiale, all’Arci Nuova associazione Siena (associazione di pubblica assistenza) che ha avuto 400 mila euro per il sostegno alle marginalità sociali. In fondo, lo spiega anche Repubblica: “A Siena ‘politica’ è il centrosinistra, seduto su tutte le poltrone che contano”.
Tra queste c’è la grande distribuzione cooperativa. Per capire l’entità del fenomeno, la sua capillarità, basta citare alcuni numeri, cifre che narrano una supremazia schiacciante: 96 tra super e iper-coop Firenze, 79 cooperative Toscana-Lazio, diffuse soprattutto sulla costa tirrenica, 54 coop Centro-Italia, 376 punti vendita Conad- Margherita (nulla a che vedere col partito di Francesco Rutelli) e Leclerc che fanno parte della Legacooperative. Un sistema di distribuzione che va da Lamporecchio, paesino patria dei brigidini e uno dei comuni più a sinistra d’Italia (qui sommando i voti di Democratici di sinistra e Rifondazione si arriva a percentuali superiori al 60 per cento) a Viareggio. La concorrenza, basti pensare alla distribuzione Esselunga, si ferma appena a 28 supermercati. Del resto, lo dice anche la pubblicità: “La coop sei tu, chi può darti di più?”.
Ad andare oltre ci prova la Toscana zapatera. Da sempre, nelle pieghe del Granducato, tranne la parentesi di Giorgio La Pira a Firenze, si annida una voglia matta di “laicismo” come estrema risorsa del potere di “manipolare” concesso all’individuo da chi lo governa. In questo la regione guidata da Martini non s’è fatta mancare nulla. A cominciare dalla pillola abortiva, la celebre Ru486. L’ospedale di Pontedera è stato all’avanguardia nella volontà di sperimentare e somministrare la pillola alle donne che ne facessero richiesta. Pieraldo Ciucchi, segretario regionale dello Sdi, lo dice senza peli sulla lingua: “Grazie alle iniziative intraprese dalla Rosa nel pugno la Toscana ha assunto nei confronti della pillola abortiva una posizione avanzata rispetto ad altre realtà italiane. Di avanzamento in avanzamento, dalle parti di Firenze e dintorni sono arrivati a presentare una proposta di legge sulle droghe che prevede le narcosalas, le stanze per drogarsi. Il presidente della Commissione Sanità, Fabio Roggiolani (dei Verdi) racconta la genesi dell’iniziativa. “Escludo – avverte – il voto del provvedimento durante il periodo elettorale, al fine di non danneggiare la struttura della legge con un dibattito troppo polarizzato. Rimango comunque fortemente convinto della stanza per drogarsi, della sua utilità”. Franco Giordano, candidato alle politiche per Rifondazione comunista, ribadisce: “La legge presentata da un vasto schieramento di sinistra afferma giustamente l’orientamento della prevenzione, dell’informazione e della riduzione del danno, e la stanza per drogarsi (nda: gli esponenti della sinistra preferiscono utilizzare l’inglese ‘safe room’) è uno degli strumenti utili, come dimostrano esperienze concrete già realizzate in Olanda”.
Un coro, quello del centrosinistra al governo della Regione, che di stecche canore ne ha sempre accettate pochissime. Una, per la verità, ha dovuto digerirla di recente e agli occhi dei compagni, quelli che vanno nei circoli Arci a giocare a tressette e a leggersi l’Unità, è diventata subito “la maledizione del socialista fallaciano”. Spieghiamo meglio. A febbraio di quest’anno accade che Riccardo Nencini, dello Sdi, presidente del Consiglio regionale, decida di attribuire una medaglia d’oro, come riconoscimento al valore culturale, alla giornalista fiorentina Oriana Fallaci, quella della “rabbia e dell’orgoglio”. Nencini vola a New York, dove vive la giornalista e scrittrice, e gliela consegna. Apriti cielo! Il capogruppo dei Democratici di sinistra, Paolo Cocchi, il vicepresidente del consiglio regionale (anche lui Ds), Sandro Stagnini, dichiarano all’Ansa: “Il premio è una autonoma iniziativa del presidente Nencini. Il gruppo dei Democratici di sinistra, come altri gruppi, era e resta contrario a questo riconoscimento che non rappresenta i sentimenti della stragrande maggioranza dei toscani. Se non abbiamo assunto iniziative forti – prosegue la nota – è stato esclusivamente per senso di responsabilità istituzionale, specie nell’approssimarsi di una campagna elettorale che richiede la più ampia unità delle forze di centro-sinistra. Certamente adesso – conclude il comunicato – si pone la necessità di una riflessione sui criteri e sulle regole che riguardano l’adozione di riconoscimenti di questo tipo”. Tutto il contrario di quanto accadde nel 2003, allorché la regione decise di assegnare il Premio Pegaso d’oro a Roberto Benigni. Il riconoscimento venne consegnato ufficialmente e in grande stile dal presidente Claudio Martini con tanto di cerimonia al teatro comunale. Memorabili le motivazioni: il comico nato a Misericordia e cresciuto a Vergaio, nelle parole del governatore, diventa “un grande figlio della nostra terra, che ha contribuito come pochi altri a trasmettere un senso vivo, genuino e stimolante di toscanità: da Dante a Collodi, nel mondo creativo di Roberto c’è spazio per tutta la nostra storia e la nostra cultura”.
Una storia che, da almeno dodici anni, ha un desiderio chiuso nel cassetto: ghigliottinare le televisioni di Silvio Berlusconi. I toscani ci hanno provato nel giugno del 1995, l’anno del referendum, promosso da sinistra cattolica e Pds, per la cancellazione della legge Mammì che regolava l’assetto del sistema radiotelevisivo. I quesiti sulle tv private erano tre. Il primo: limitare a una le concessioni di reti ai privati, cancellando la parte della normativa che consentiva la possibilità di possedere tre reti nazionali. Il secondo: mettere un tetto alle interruzioni pubblicitarie. Il terzo: intervenire sulle modalità di raccolta pubblicitaria con delle forti limitazioni. Quella volta i toscani ci provarono ad abrogare il Cavaliere. I tre quesiti ottennero percentuali di sì (favorevoli alla abrogazione) superiori al 55 per cento, l’esatto contrario del voto nazionale: il 57 per cento degli italiani votò no, scelse cioè democraticamente di lasciare tre reti a un privato. In fondo, lo spiegava anche Max Weber, ci sono due modi di essere professionisti della politica: perché si vive per la politica oppure perché si vive di politica. Obbligare, per legge, chi ha scelto e pratica il primo a passare al secondo non è una bella cosa.
Sempre in quegli anni Vannino Chiti, presidente della Regione, esternava il suo appoggio “alla nascita di un terzo polo televisivo”. Scommettendo su Vittorio Cecchi Gori, allora patron della Fiorentina Calcio. “Vittorio – spiegava – dimostra con i fatti di essere un uomo che mantiene gli impegni. Con l’acquisto di Telemontecarlo rende possibile la nascita di un terzo polo televisivo nazionale. La regione Toscana sostiene la realizzazione del terzo polo con sede a Firenze e si augura che Cecchi Gori riesca a contribuire a fare della Toscana uno dei centri nazionali di produzione televisiva”. E’ passato del tempo dal sogno tv di Vannino Chiti. Alla Fiorentina Calcio Diego della Valle ha preso il posto di Cecchi Gori. Tutto il resto è uguale.


di Massimiliano Lenzi
Il Foglio 4 aprile 2006