Mi fan paura i comunisti ma certi cattolici di più
di ANTONIO SOCCI
«Non è laicità escludere i simboli religiosi». Così ha detto ieri il Papa. Ma è stato fin troppo mite e ottimista. Non si tratta solo dell’ «esclusione della religione dai vari ambiti della società» e del «suo confino nell’ambito della coscienza individuale». Non si nega solo il diritto della Chiesa di «intervenire su tematiche relative alla vita e al comportamento dei cittadini», non si tenta solo «l’esclusione dei simboli religiosi da uffici, scuole, tribunali, ospedali, carceri, ecc». Si è andati ben oltre. Si arriva ormai alla pretesa di cancellazione dei segni cristiani pure dalla vita privata delle persone: memorabile il caso di Nadia Eweida, la hostess della British Airways a cui un mese fa la compagnia di bandiera inglese ha imposto di togliere o nascondere il crocifisso che porta al collo. La “guerra culturale” al cristianesimo in Olanda è arrivata all’epurazione ortografica: le autorità competenti (si fa per dire) hanno decretato che dall’agosto 2006 “Cristo” si dovrà scrivere con la “c” minuscola. Ecco il titolo uscito sulla prima pagina della Repubblica di ieri: “Londra, il politically correct fa ‘scomparire’ il Natale“. Occhiello: “Niente simboli religiosi per non offendere i non cristiani”. In sostanza si arriva a questo assurdo: scuole, uffici e fabbriche attorno al 25 dicembre fanno una serie di giorni di festa, ma senza dire perché. Niente più “Christmas parties” nelle aziende, né francobolli della Royal Mail con riferimenti natalizi, niente recite o decorazioni natalizie a scuola per timore di «essere citate in tribunale per discriminazione religiosa». In compenso, l’emittente Channel Four il 25 dicembre farà trasmettere gli auguri di Happy Christmas da un’annunciatrice araba con il volto coperta dal niqab. A Cuba Fidel Castro abolì il Natale per l’ideologia comunista del regime. In Europa si riesce ad abolire il Natale (e il buon senso) per la sottile imposizione dell’ideologia “luogocomunista”, quella che in nome del “dialogo” e del “rispetto” ti strappa l’anima. È chiaro che si usa l’argomento dei musulmani per cercare una vendetta sulla Chiesa che, per la nostra Sinistra, ha la colpa di essere sopravvissuta al comunismo. Emblematico è il caso della moschea di Colle Val d’Elsa, alla quale giustamente Oriana Fallaci attribuiva un valore simbolico e politico fortissimo. Pur avversato dalla popolazione, il progetto della moschea è voluto dal potere rosso della zona. Perché? Magdi Allam nel libro “Io amo l’Italia” scrive: «Non si comprende la vera ragione per cui il sindaco si ostina a voler costruire un centro culturale islamico su un’area complessiva di 3.200 metri quadrati, con una superficie coperta pari a 576 metri quadrati (il progetto originario era ancora più maestoso), comprensiva della moschea con cupola e minareto stilizzati in cristallo, quando l’attuale sala di preghiera è più che sufficiente per le poche decine di fedeli praticanti che neppure il venerdì riescono a riempirla». In Toscana il potere rosso ha sempre manifestato la sua ideologica avversità alla religiosità, alla storia cristiana di quella terra e alla presenza cattolica. Perché mai d’improvviso i comunisti toscani (ex o post) sono stati tarantolati dal bisogno di far pregare gli islamici locali in una monumentale moschea ? Perché imporre quel colossale simbolo sulla terra di Santa Caterina, di Dante e di Giotto ha il sapore dell’agognata vendetta, della cancellazione di un’identità. Dell’identità italiana e di quella cristiana che in Toscana si mostrano inestricabili (lo gridano le pietre). Con un colpo solo si pensa così di cancellare un’anima bimillenaria. E i margheriti toscani? I cattolici eredi della Dc che in Toscana fanno da stampella al potere rosso? E i cattolici toscani? Non se ne sente la voce. Tanto meno si sente quella dei vescovi toscani impegnati perlopiù a imporre il biglietto a pagamento per entrare in cattedrali e basiliche. Sì, malgrado il divieto arrivato dal Vaticano la trasformazione in “musei” della più belle cattedrali toscane è ormai cosa fatta. E qui scopriamo che il problema non è solo l’attuale ventata di anticattolicesimo militante, ma anche e forse soprattutto il cattolicesimo che si dissolve, il sale evangelico che diventa scipito. Ieri il Papa ha giustamente denunciato «l’ostilità alla presenza di ogni simbolo religioso nelle istituzioni pubbliche», ma è ancor più drammatico che i più splendidi “simboli religiosi” della nostra terra, le nostre cattedrali, vengano trasformati dalle autorità ecclesiastiche in musei o, in altre parti d’Italia come Milano, in sale da conferenza laica, in “cattedre dei non credenti”, in spazi per discutibili manifesti pubblicitari. Ieri il Papa ha giustamente criticato chi nega «ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione». Ma in fondo i laicisti fanno il loro mestiere. Forse il problema sono i cattolici impegnati in politica e nella cultura che si annacquano nell’ideologia altrui e non hanno alcuna rilevanza politica o culturale. Ieri l’Unità titolava trionfante la prima pagina: “Pacs e diritti, Unione non ti fermare”. Che ne è dei cattolici dell’Unione? La Rosa nel Pugno di Pannella fa il suo mestiere, ma la Rosy Bindi nel pugno di Prodi? Il premier, sebbene classificato come cattolico, dà la sensazione di essere disposto a svendere tutto per mantenere la poltrona. Al referendum sulle legge 40 disse di sentirsi «cattolico adulto» per accodarsi alla Sinistra. Il grande Tommaso Moro che era cancelliere (più o meno come Prodi), per non svendere la sua coscienza si fece ammazzare dal re (oggi è santo patrono dei politici). Memorabile la sua battuta: «È già un pessimo affare perdere la propria anima per il mondo intero, figuriamoci per la Cornovaglia…». Giustamente il Papa afferma che «la Chiesa ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino». Aggiunge accoratamente: «Sta a noi cristiani mostrare che Dio è amore e vuole il bene e la felicità di tutti gli uomini… Si tratta di mostrare che senza Dio l’uomo è perduto e che l’esclusione della religione dalla vita sociale, in particolare la marginalizzazione del cristianesimo, mina le basi stesse della convivenza umana». Poi però uno scorre il “Discorso alla città” del cardinale Tettamanzi per la festa di S. Ambrogio e si chiede dove sia Gesù Cristo. La chiesa e l’arcivescovo di Milano, per secoli, sono stati fra i più importanti della cristianità. Quindi hanno un valore simbolico. Già è rimasto memorabile il tradizionale “Discorso alla città” del 2004, dove Tettamanzi in 26 pagine aveva usato 60 volte la parola “solidarietà” e mai il nome di Gesù (che compariva solo nella preghiera finale). Quest’anno il vescovo si è dedicato al tema delle periferie, ovviamente con richiami politically correct all’emarginazione e alla necessità del “dialogo”. Nel suo discorso compare per 32 volte la parola “periferie”, ma una sola – di sfuggita – il nome di Gesù Cristo. Eppure la fame di conoscere Gesù è grande. La gente va a cercarne notizia perfino in libri come quelli di Dan Brown. E per questo Ratzinger ha voluto dare alle stampe lui stesso un suo libro su Gesù. Ma i vescovi non hanno tempo per Gesù. Parlano delle periferie e dei problemi della città come fossero assessori. Del resto – è notizia dei giorni scorsi – proprio i grandi magazzini della città di Tettamanzi hanno annunciato che quest’anno non venderanno più presepi (nonostante sia cresciuta la domanda). Niente più presepi per favorire il “dialogo”. Il cardinale sarà contento.
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LIBERO 10 dicembre 06