CRESCE LA COMUNITA\’ CATTOLICA AUSTRALIANA
«Riuniti dalla Croce»
La testimonianza di una fede vissuta oggi con una consapevolezza rinnovata, la nuova fiducia che ha contagiato i gruppi e le parrocchie locali, la riconciliazione con gli aborigeni. I protagonisti della Giornata mondiale della gioventù spiegano come l’incontro col Papa sta cambiando il volto di un intero Paese.
A sei mesi di distanza, si moltiplicano i momenti di preghiera, riflessione e unità.
«Credevamo di essere minoranza, adesso sappiamo di vivere in una realtà più grande»
Quando il ragazzo aborigeno, sul ponte del vascello che accompagnava il Papa, cominciò a svelare a Benedetto XVI i segreti delle baie più nascoste di Sydney, in mondovisione tutti capirono che il 2008 per l’Australia sarebbe stato da ricordare.
Solo qualche settimana prima il nuovo premier Kevin Rudd aveva chiesto perdono alla comunità indigena per i soprusi inflitti dai bianchi. E a luglio, per la prima volta, bianchi e aborigeni insieme, a dare il benvenuto alla gioventù del mondo.
Sono trascorsi cinque mesi da quelle invernali ma memorabili giornate.
Adesso che è estate, nel continente più lontano il seme della riconciliazione già germoglia.
«Non mi era mai capitato di dormire a casa di un bianco. Ma a Sydney sono stato ospitato da una famiglia di origine scozzese».
Matthew Shields, aborigeno del Victoria, lo stato più a Sud, è rimasto in contatto con gli ’O Brien. «Comunichiamo con la webcam, forse verranno loro a trovarmi qui a Wagga Wagga, naturalmente saranno ospiti della mia famiglia». Gli ’O Brien sono protestanti, «però a luglio mi hanno accolto lo stesso e sono venuti con il nostro gruppo alla Messa del Papa nell’ippodromo di Randwick».
Gli australiani sono fatti così. Pignoli sulle regole del vivere comune, ma di manica molto larga nei rapporti umani. E la storia a vol te la fanno le strette di mano. Se c’è qualcuno che dal 20 luglio passa le giornate a ricambiare sorrisi, pacche sulle spalle e a sentirsi dire \’great Jesus\’ è Alfio Stuto, italiano solo nel nome. «In effetti la Gmg mi ha fatto venir voglia di imparare la lingua dei miei nonni», racconta il venticinquenne un po’ preoccupato da quel sentirsi ripetere «grande Gesù». Perché Alfio fu l’interprete del Nazareno durante la più spettacolare Via Crucis vivente che sia mai stata mandata in onda. Con lui, tra i grattacieli e le spiagge, c’era anche Marina Dixon, «per tutti qui ormai sono la Madonna, e credetemi, è una responsabilità uscire di casa ed essere riconosciuta per Maria». Marina ci scherza su: «Ormai non dico più parolacce, guido piano e non mando più a quel Paese quelli che corrono in auto come pazzi. Che ne direbbe la gente se la ragazza che faceva Maria si comportasse in modo sgradevole?».
I volti di Alfio e Marina sono il segno di una Chiesa che ha saputo spiazzare. «Adesso molta gente qui in Australia – osserva Stuto – va facendosi l’idea che essere cristiano, e cattolico, significa saper perdonare e saper chiedere perdono, essere generosi ma soprattutto pieni di voglia di vivere». L’esatto opposto del cliché che vuole i giovani credenti cupi e un po’ fuori moda.
Anche a motivo delle colossali distanze, i meeting nazionali erano una rarità. «Così abbiamo finito per credere che siamo in pochi – osserva Daniel Hooper, della diocesi di Wollongong, a sud di Sydney – e ci eravamo rassegnati al nostro ruolo di minoranza». Non è più così. Al corso per \’giovani leader cattolici\’ che tra un mese comincerà a Sydney sono arrivate iscrizioni da tutti gli Stati, e difficilmente ci sarà posto per tutti.
Matt, uno spilungone ossuto che per i riccioli rossi si fa chiamare \’the carrot\’, ha passato un anno a portare in giro per l’Australia la Croce e l’Icona delle Gmg accompagnate dal porta messaggi aborigeno. «Qualche volta – racconta \’il carota\’ – i ragazzi delle parrocchie più lontane mi sembravano sperduti, come abitanti di un mondo lontanissimo. Poi li ho rivisti tutti insieme a Sydney, ed è lì che ho capito che finalmente sotto la Croce e l’Icona mariana per la prima volta i cattolici australiani hanno preso coscienza di essere parte di una comunità più grande». Se n’è accorto anche padre John Fowles, il cowboy dei cieli. Prima della Gmg ha messo su una squadriglia di quattro ultraleggeri che parcheggia nel retro della sagrestia. «Adesso non abbiamo mai tempo per accontentare tutti, voliamo da una parte all’altra del Paese per partecipare a incontri di preghiera, feste diocesane, raduni di ogni genere. Anche questo è un modo per tenere insieme luoghi e persone così distanti».
Da luglio in molte città c’è un appuntamento fisso che fa il tutto esaurito. Una volta la settimana si celebra \’l’Ora Santa\’. «Adesso che ho partecipato a un’adorazione eucaristica – confida Joseph – la Messa mi appare diversa». Poche settimane fa anche Sarah, che vive a Sydney, ha messo piede in una chiesa: «Abbiamo acceso delle candele pregando per un’intenzione particolare». Ogni candela un nome, ogni nome una promessa. «Attorno al Santissimo Sacramento si è creata una vasta distesa di luce». I detrattori della Gmg alla vigilia parlavano di «gregge timido e sperduto». Devono ricredersi.
Nello Scavo, Avvenire, 31 dicembre 2008
«PRIMAVERA CHE CONTINUA»
Il professor Kinder insegna italiano a Perth: «Da quei giorni si è innescato un cambiamento che ha lasciato il segno»
«Non parliamo di un piacevole ricordo, è qualcosa che continua. In quei giorni si è acceso un fuoco che non si è più spento, per molti giovani è cominciata una nuova primavera ». Il professor John Kinder, che in segna storia della lingua italiana alla University of Western Australia di Perth, ha partecipato alle indimenticabili giornate di Sydney e conserva negli occhi e nel cuore il contraccolpo che esse hanno generato e continuano a generare nella società australiana.
«Quei sei giorni hanno lasciato il segno. Non tanto a livello ’macro’, quanto perché hanno provocato un cambiamento del cuore, hanno messo in movimento tanti giovani, che ora vivono con più consapevolezza e con orgoglio la loro fede, e non temono di giocarla nelle circostanze ordinarie». Kinder sottolinea che, in un Paese in cui essere cattolico equivale a una serie di stereotipi – l’irlandese dell’800, l’italiano del 900, il vietnamita del ventunesimo secolo – l’arrivo di 250mila giovani da tutto il mondo ha fatto scoprire che «la Chiesa non ha confini, abbraccia tutte le culture e nello stesso tempo ha il volto normale, unico e irripetibile di ciascuno di noi».
L’arrivo del Papa in terra australiana era stato mediaticamente preceduto da articoli ostili o diffidenti focalizzati su argomenti come la pedofilia nel clero, gli scandali o i cosiddetti \’temi etici\’: le nozze gay, l’uso del profilattico, eccetera. «Ma il Papa ha spiazzato i media e lo scetticismo di molti australiani: quando lo hanno sentito parlare dell’aspirazione di ogni uomo alla felicità e quando hanno visto il modo composto e insieme festoso con cui i giovani lo ascoltavano, hanno dovuto ricredersi. Hanno cominciato a capire che il cristianesimo non è un insieme di regole ma un fatto che affascina e che stava ’avvenendo’ in quei giorni, sotto i loro occhi. Un fatto, capisce? Non una ideologia, magari l’ideologia della Gmg, ma qualcosa che si può vedere e toccare».
Kinder racconta il cambiamento che ha visto accadere in alcuni dei suoi studenti che hanno partecipato alle giornate di Sydney. «Chris, ad esempio, un ragazzo di vent’anni che proviene da una famiglia ostile al cattolicesimo, è rimasto colpito dall’incontro con tanti coetanei che testimoniavano, ognuno con la sensibilità propria della sua cultura e del suo Paese di origine, cosa significa appartenere a una stessa realtà universale. E che la Chiesa è una grande amicizia». Adesso non manca mai alla scuola di comunità, il raduno settimanale della giovane e dinamica comunità di Comunione e liberazione che sta a Perth. Anche Emily, un’altra allieva di Kinder, fa parte di quella comunità e dice che «condividendo la vita con i miei amici mi rendo conto che la fede è un’esperienza che c’entra con tutto. È un’avventura per me, nella quale non mi ritrovo sola. Gli amici mi sono necessari come l’aria che respiro, e dopo Sydney questo è ancora più evidente. Prima mi vergognavo un po’ della mia fede, anche perché qui in Australia il cattolicesimo conta poco nel mondo della cultura e tra la gente comune. Ora ne vado fiera». Ne va fiera anche Christine, che qualche settimana fa ha deciso di mandare una lettera al principale quotidiano di Perth per intervenire nel dibattito sull’eutanasia. «Ho scritto che le opinioni di chi crede sono ragionevoli come quelle di chi non crede. Fede e ragione sono due facce della stessa medaglia. Non me l’aspettavo, ma me l’hanno pubblicata. Prima della Gmg non avrei mai avuto il coraggio di fare una cosa del genere». La ragionevolezza della fede, l’orgoglio di appartenere alla Chiesa, l’attaccamento a una compagnia di amici: sono gli ingredienti che hanno generato la «primavera» sbocciata dopo Sydney. Il cristianesimo, un’avventura per sé.
Giorgio Paolucci, Avvenire, 31 dicembre 2008