Anche i politici mangiapreti
hanno paura dell’inferno
Da Cavour a Mussolini, da Spadolini a Craxi e forse Diliberto: sono tanti i laici che cambiano idea per timore della dannazione eterna…
di ANTONIO SOCCI
Se ne parla poco, come ha detto il Papa domenica scorsa, tuttavia l’Inferno fa egualmente paura. E di fronte alla possibilità di un destino di sofferenza eterna tremano tutti, perfino i politici nostrani. Nei giorni scorsi era stata la cattolica Rosy Bindi ad ammettere di averne sentito l’agghiacciante brivido dopo aver varato la legge sui Dico, condannata dalla Chiesa. Ha confidato a un giornalista del Corriere: «Ho avuto paura di dannarmi l’anima…». Il pensiero di una sofferenza orrenda ed eterna non fa dormire sonni tranquilli nemmeno a chi si proclama ateo. Come il super comunista Oliviero Diliberto che con onestà intellettuale ha ammesso in una intervista all’Espresso: «No, non sono credente come Fassino e non sono nemmeno “alla ricerca” come Bertinotti e Ingrao. Però…non sono neanche ipocrita e non posso giurare di non cambiare idea sul letto di morte. Che ne so che effetto fa la fine. Spero soltanto che arrivi tra un bel po’ di tempo». Questa intervista – riportata nel sito internet del suo Partito – è citata (negativamente) anche nel sito della Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti). In quel sito abbondano i commenti negativi. Una certa Maria scrive: «Bah, Diliberto ha paura di finire all’inferno! Questa propria non me la sarei mai immaginata!». In realtà faccia a faccia con la morte capita molto spesso che personaggi pubblici i quali nella vita hanno fatto professione di ateismo o anticlericalismo, si riconcilino con santa madre Chiesa per scongiurare un viaggio di andata senza ritorno nell’orrore senza fine e senza limite. Proprio in questi giorni ricorre il ventennale della morte di Renato Guttuso che tante polemiche scatenò proprio perché perfettamente lucido (per dirla con Natalino Sapegno) – si riavvicinò alla Chiesa e ricevette i sacramenti prima di morire. Essendo l’uomo considerato uno dei maggiori intellettuali comunisti e atei sulla scena pubblica, scoppiò un caso clamoroso. Meno conosciuto, ma altrettanto significativo anche il caso di Leonardo Sciascia che alla fine volle stringere tra le mani quel crocifisso d’argento che tutti poterono vedere nella bara e che per l’imbarazzo – alcuni attribuirono alla pietà dei familiari. In realtà “l’illuminista” Sciascia, in vita, paradossalmente invitava la Chiesa a non degradarsi ad agenzia umanitaria, ma a parlare agli uomini della loro sorte eterna che è ciò che più importa a tutti noi: «Senza l’annuncio chiaro e centrale della Trascendenza, senza speranza di non morire, la religione diventa un club umanitario, un sindacato, un circolo di specialisti in etica, ma non un messaggio che appaghi i bisogni profondi del cuore umano». Evidentemente nelle sue ultime ore lui stesso fece i conti con la domanda suprema, quella sulla scelta definitiva.
I CONVERTITI STORICI
La casistica è immensa, anche Oscar Wilde si convertì al cattolicesimo in punto di morte, il 30 novembre 1900, a 46 anni, dopo una vita sregolata e provocatoria. Mario Pannunzio, il mitico fondatore e direttore del “Mondo”, sempre evocato da Eugenio Scalfari come suo maestro, pur essendo stato il suo giornale la «bandiera del laicismo militante» scrive Messori «volle morire chiedendo in extremis i sacramenti: cosa che si cercò poi di tenere nascosta». Ma – per tornare alla politica italiana – l’aspetto più singolare è scroprire che questo “fil rouge” forse, in modi e circostanze diverse, lega le ultime ore dei maggiori leader laici della storia nazionale. A cominciare da Camillo Benso conte di Cavour, primo presidente del Consiglio italiano. Sappiamo che da giovane professò un acceso ateismo, c’è poi un’ampia letteratura che dibatte sulla sua presunta affiliazione massonica. Di fatto la sua politica fu molto dura con la Chiesa di Pio IX che subì persecuzioni e reagì con le scomuniche, ma nel 1861, venuta l’ultima ora, il conte volle morire con i conforti religiosi amministratigli da un frate francescano. Volle morire fra le braccia della Chiesa che aveva perseguitato. L’altro presidente del Consiglio ultralaico fu Benito Mussolini che da giovane percorreva le piazze romagnole sfidando Dio a fulminarlo in un minuto. Da Capo del governo fascista firmò il Concordato con la Chiesa e dopo la deposizione del 25 luglio 1943 – arrestato e chiuso a Ponza chiese che gli venisse portata “La Vita di Gesù Cristo” del Riccioti, lettura che appassionò i suoi ultimi giorni disperati. E prendiamo i due leader laici della storia repubblicana. Di Giovanni Spadolini laico e ateo si vocifera che abbia chiesto i sacramenti prima di morire, tuttavia non ci sono conferme a queste voci. Mentre Bettino Craxi, il premier laico firmatario del secondo Concordato, ebbe i funerali religiosi nella cattedrale cattolica di Tunisi celebrati dal vescovo Fouat Twal. Si ricorda l’affettuosissimo messaggio del Papa che «si unisce alle preghiere, invoca la Divina Bontà e chiede a Dio pace eterna per l’anima» di questo uomo di Stato. Del resto anche il laicissimo Napoleone, che nell’età moderna è stato il primo grande persecutore della Chiesa e personalmente del Papa, nei suoi ultimi giorni di esilio si convertì, appassionandosi alla figura di Gesù su cui ha lasciato pagine commoventi. «Chiese al Papa – proprio quel Papa che aveva perseguitato ferocemente – di poter avere un confessore corso, della sua terra» racconta Messori «e il Papa, pietosamente, gli inviò un sacerdote corso con una nave, fino a S. Elena, dove l’ex dittatore ricevette i sacramenti». C’è infatti nella memoria di tutti la consapevolezza di quanto misericordioso sia il Padre che Gesù ci ha fatto conoscere. Al Bonconte dantesco bastò «una lacrimetta» in punto di morte per impedire a Satana in extremis di impossessarsi per sempre della sua anima e legarlo al tormento eterno. Quel Padre misericordioso che tutto e sempre perdona, fino all’ultimo istante, è la speranza a cui tutti si aggrappano.
MEGLIO TARDI CHE MAI
Quando Francois Mauriac sull’Express ne parlò a proposito della morte di Gide vi fu una sollevazione dei “benpensanti”, sarcastici e irritati per l’eventualità del cedimento finale, anche oggi da noi qualificato da molti come “debolezza” o ipocrisia opportunista. Mauriac osservò amaramente: «Che odio della speranza in questi nostri contemporanei! Quanta paura di essere consolati! Che orrore per la possibilità che gli ultimi istanti della vita di un incredulo non siano di oscuramento, ma di luce imprevista! Perché temere più di ogni altro pericolo che l’Amore ci sia, che ci venga incontro, che ci accolga, malgrado tutti i nostri errori e le nostre colpe?». Kierkegaard scrisse: «La maggior parte degli uomini vive dalla culla alla tomba, trascinata dal vortice della vita, senza tregua… Poi quando viene la morte e li ferma, fanno attenzione al cristianesimo e rimpiangono di non esserselo appropriato prima». Agostino d’Ippona si convertì per la scoperta della felicità, non per la paura dell’inferno di fronte alla morte. Dopo la sua giovinezza dissipata, aprì gli occhi sulla Bellezza di Cristo e scrisse: «Tardi ti ho amato, o Bellezza sempre antica e sempre nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle cose ben fatte che tu avevi creato. Tu eri con me ed io non ero con te. Quelle bellezze esteriori mi tenevano lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità. Tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo. Ho gustato e ora ho fame e sete. Tu mi hai toccato e io bramo la tua pace”.
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LIBERO 27 marzo 2007