«IN CINA BOLLIVANO I BAMBINI», ha detto Silvio Berlusconi.
Apriti cielo… Repubblica interroga il suo “esperto” che si indigna per tanta ignoranza del premier, ma un’inchiesta del Telegraph smaschera l’esperto …
«In Cina bollivano i bambini», ha detto Silvio Berlusconi.
Apriti cielo. La Repubblica interroga l’“esperto“: Giorgio Mantici, che insegna storia della Cina all’Orientale di Napoli. L’esperto, debitamente, si indigna: «È incommentabile. Mi sento a disagio come cittadino e come specialista; qui, se c’è un crimine, è l’ignoranza».
Durante la Rivoluzione culturale, ammette, «è possibile che qualche folle abbia mangiato un essere umano ma non era un dettame del partito comunista».
Ah beh, allora tutto a posto.
Ma che esperto è? Perché in Cina i bambini li mangiano eccome. E non solo durante la rivoluzione culturale, dove la carestia prodotta dal “miracolo comunista” poteva giustificare atti estremi. Uguali, del resto, a quelli che avvennero in Ucraina negli anni ’30: quando la persecuzione dei coltivatori diretti (kulaki) ordinata da Stalin portò alla fame nera, e vi furono casi di genitori che mangiarono i figli morti. È questa l’origine storica della frase “I comunisti mangiano i bambini“: non loro, ma le loro vittime disperate.
Ma in Cina, c’è il fondato sospetto che i bambini li mangino anche oggi.
In pieno capital-comunismo. Lo rivelava, nell’aprile 1995, un’inchiesta del britannico Telegraph condotta nella provincia di Shenzen. Per controllare se erano vere le voci, un reporter cinese di Hong Kong bussò all’ospedale di maternità dello Shenzen e chiese a una dottoressa se poteva avere un feto da mangiare. Il giorno dopo, la dottoressa gli consegnava «un flaconcino pieno di feti della grandezza di un pollice». «Ce ne sono dieci qui dentro, tutti abortiti stamattina», disse la dottoressa. Freschi freschi.
E quanto costano? «Può prenderli gratis. Siamo un ospedale di stato, non facciamo pagare. Di solito noi medici li portiamo a casa per mangiarli. Lei non ha l’aria di stare molto bene, perciò li mangi». Perché in quelle zone cinesi c’è la convinzione che i feti siano ricostituenti. Lo stesso giornalista del Telegraph intervistò una dottoressa della clinica Luo Hu nello Shenzen, tale Zou Qin, che ammise senza esitare di aver mangiato un centinaio di feti nei sei mesi precedenti. «Sono nutrienti, fanno bene alla pelle e ai reni». Aggiunse che era un peccato «sprecarli».
La fornitura di questo cibo è abbondante: nello Shenzen si fanno almeno 7 mila aborti forzati l’anno, milioni in tutta la Cina. Sicché nel privato, un feto da consumare costa meno di due euro. Il dottor Warren Lee, della Hong Kong nutrition association, conferma: «Mangiare i feti è una tradizione della medicina cinese, profondamente inserita nel folklore». In Cina si vendono e consumano comunemente le placente umane, anch’esse ritenute curative: c’è un attivo contrabbando attorno agli ospedali, ogni placenta costa sui 2-3 euro.
Naturalmente, il consumo di feti «non è un dettame del partito».
Il dettame del partito è semplicemente che donne che abbiano avuto già un figlio siano forzate ad abortire, anche al nono mese. Ciò produce una certa abbondanza di questi “ricostituenti“, che poi gli ospedali cinesi contrabbandano.
Come del resto i reni, bulbi oculari, pelle e polmoni dei condannati a morte giustiziati: un grandissimo business della nuova Cina. Ma non per dettame del partito, si capisce.
Il Telegraph parlò con un altro dottore dello Shenzen, Cao Shilin, che negò il commercio. I feti abortiti, disse, li mandiamo alle fabbriche che li usano per produrre medicinali. Ovviamente, in fabbrica, la “lavorazione del prodotto” comincia con una bollitura per estrarne le sostanze ritenute curative. Come si bolle la pelle dei giustiziati per estrarne collagene, che le signore bene occidentali poi si fanno iniettare dal chirurgo plastico per ingrossarsi le labbra. La Cina fornisce collagene a prezzi stracciati.
Eh sì, Berlusconi ha ragione. Anzi più di quanto creda.
Forse Repubblica dovrebbe cambiare “esperto“. E il cosiddetto “esperto” dovrebbe farsi un giro sul sito www.laogai.org – il sito che denuncia le atrocità del business concentrazionario cinese – e cercare alla voce foetus: vedrà un buon numero di proteste e accuse di Amnesty International al proposito.
Così, magari, avrà un vero motivo per indignarsi.
di MAURIZIO BLONDET
La Padania [Data pubblicazione: 28/03/2006]