Ruini stoppa Martini… e non solo

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Si tratta di una prolusione ad ampio respiro quella con cui il cardinale Camillo Ruini – alle cinque della sera di lunedì 22 gennaio – ha aperto la sessione d’inverno del consiglio permanente della CEI


«LA CHIESA NON PUÒ LEGITTIMARE
ATTEGGIAMENTI CONTRARI ALLA LEGGE DI DIO»


Rifiuto dell’eutanasia, «quali che siano i motivi e i mezzi, addotti o impiegati al fine di ottenerla». Il cardinale Camillo Ruini è tornato a gridarlo chiaro e forte, al Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Dove si è pronunciato anche contro le «procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi». Ma la rinuncia all’accanimento terapeutico «non può giungere al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell'”abbandono terapeutico” che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idratazione, come si è espresso nel 2003 il Comitato nazionale per la bioetica», precisa l’alto porporato. Il Card. Ruini con la sua prolusione, estremamente ricca di contenuti, ha risposto anche al Card. Martini che domenica scorsa dalle colonne del Sole24Ore era intervenuto, chiedendo tra l’altro «più attenta considerazione anche pastorale» per casi come quello di Welby. Proprio ieri, tra l’altro, il comitato «Scienza & Vita» ha manifestato le proprie perplessità per l’auspicio, espresso da Martini, che in Italia si possa giungere all’adozione di una legge simile a quella francese.
Leggi tutto il testo integrale della prolusione… specialmente il n. 4 ne vale la pena.

Conferenza Episcopale Italiana
CONSIGLIO PERMANENTE
Roma, 22-25 gennaio 2007
PROLUSIONE
DEL CARDINALE PRESIDENTE


Venerati e cari Confratelli,
    ci incontriamo mentre è forte in noi il lieto ricordo delle intense giornate che abbiamo vissuto a Verona e di esse vogliamo anzitutto ringraziare il Signore. Ci ritroviamo, all’inizio del nuovo anno, per riflettere insieme su quella esperienza e mettere a punto le indicazioni che ne sono emerse, in vista dell’evangelizzazione e del bene complessivo della nostra amata Nazione. Ci guidano la certezza della nostra comunione e soprattutto la fiducia nella presenza e nell’opera del Signore: a Lui rivolgiamo la nostra umile preghiera, perché illumini con il suo Santo Spirito noi stessi e i lavori di questi giorni e sostenga sempre il cammino delle nostre Chiese.


 1. Il nostro primo pensiero si indirizza al Santo Padre. Lo ringraziamo anzitutto per la giornata che ha trascorso con noi a Verona, per l’Eucaristia celebrata allo Stadio “Bentegodi”, per il discorso del mattino, con il quale egli ci ha offerto la piattaforma fondamentale per la vita e la testimonianza delle nostre Chiese nei prossimi anni. A Verona, come in tante altre occasioni, è emerso tutto l’affetto che unisce il popolo italiano al Papa.
Dal 28 novembre al 1° dicembre Benedetto XVI è stato in Turchia per un viaggio di grandi e molteplici significati che, come ha detto egli stesso tracciandone il bilancio nell’udienza generale del 6 dicembre, “si presentava non facile sotto diversi aspetti”. L’esito però è stato estremamente positivo, sotto ogni profilo: i rapporti con il popolo turco e con quello Stato, ma anche tra il cristianesimo e la religione musulmana; i rapporti ecumenici e segnatamente quelli con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I; il sostegno e l’incoraggiamento per la comunità cattolica che vive in Turchia. Ci uniamo al Papa nel ringraziare il Signore ma desideriamo anche esprimere la nostra commossa gratitudine a Benedetto XVI per lo spirito di fede e l’autentica umiltà, il coraggio e lo slancio apostolico con i quali ha portato a termine questa missione.
Il Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace è incentrato quest’anno su “La persona umana, cuore della pace” e fa leva sul rispetto della “grammatica” scritta nel cuore dell’uomo dal suo Creatore: “Il riconoscimento e il rispetto della legge naturale pertanto costituiscono anche oggi la grande base per il dialogo tra i credenti delle diverse religioni e tra i credenti e gli stessi non credenti. È questo … un fondamentale presupposto per un’autentica pace” (n. 3). Questo decisivo criterio si concretizza nel rispetto di due diritti essenziali, oggi purtroppo largamente e in diverse maniere contrastati: il diritto alla vita, che “è un dono di cui il soggetto non ha la completa disponibilità”, e il diritto alla libertà religiosa, che “pone l’essere umano in rapporto con un Principio trascendente che lo sottrae all’arbitrio dell’uomo” (n. 4). Nella medesima prospettiva è di primaria importanza per la costruzione della pace “il riconoscimento dell’essenziale uguaglianza tra le persone umane” (n. 6): esso, come il Papa ha ribadito nel discorso dell’8 gennaio al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, spinge ad affrontare seriamente lo scandalo della fame, sempre più inaccettabile in un mondo “che dispone dei beni, delle conoscenze e dei mezzi per porvi fine”, cambiando i nostri modi di vita e correggendo “i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente e uno sviluppo umano integrale per oggi e soprattutto per domani”.
L’uguaglianza tra le persone richiede inoltre, e non meno, di por fine allo sfruttamento delle donne e alle tante mancanze di rispetto per la loro dignità, superando le “visioni antropologiche persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una collocazione ancora fortemente sottomessa all’arbitrio dell’uomo” (n. 7). In realtà “l’ecologia della pace” richiede che si tengano maggiormente presenti le connessioni esistenti tra ecologia naturale ed ecologia umana e sociale (cfr n. 8). È certamente comprensibile infatti che le visioni dell’uomo varino nelle diverse culture, ma non è lecito coltivare concezioni antropologiche, e tanto meno idee o piuttosto “ideologie” riguardo a Dio, che rechino in se stesse il germe della contrapposizione e della violenza (cfr n. 10). Oggi però ostacola il dialogo autentico e quindi la pace anche “l’indifferenza per ciò che costituisce la vera natura dell’uomo”, ossia una visione “debole” e relativistica della persona, che nega l’esistenza di una specifica natura umana e apre lo spazio per qualsiasi sua interpretazione. Una tale visione infatti indebolisce fatalmente e rende relativi e sempre negoziabili anche i diritti dell’uomo, lasciando la persona stessa indifesa e quindi facile preda della violenza e dell’oppressione (cfr nn. 11-12). È pertanto di importanza determinante che le Nazioni Unite non perdano di vista il fondamento naturale dei diritti dell’uomo, solennemente affermati nella Dichiarazione Universale del 1948, e non si adeguino ad una loro interpretazione soltanto positivistica, come se essi si fondassero semplicemente sulle decisioni dell’Assemblea che li ha approvati (n. 13).
Con il Messaggio per la Giornata della Pace Benedetto XVI ci aiuta dunque a superare quella falsa e pericolosa divisione, o addirittura contrapposizione, tra due parti dell’etica che egli stesso ha denunciato nel discorso ai Vescovi svizzeri del 9 novembre 2006: la parte cioè riguardante i grandi temi della pace, della non violenza, della giustizia per tutti a cominciare dai più poveri e del rispetto del creato, e la parte che si riferisce ai temi non meno essenziali della vita umana, della famiglia e del matrimonio. Se continuasse a mettere radici, una tale separazione non potrebbe che ostacolare il cammino verso un umanesimo pieno e condiviso.
Il 21 novembre la Sala Stampa della Santa Sede ha annunciato che sarà tra breve pubblicata la prima parte di un libro, dedicato a “Gesù di Nazareth”, al quale il Papa sta lavorando dall’estate 2003 e continua a riservare “tutti i momenti liberi”, come ha scritto egli stesso in uno degli estratti già anticipati della prefazione. Con questo lavoro, che attendiamo con gioia un po’ impaziente, Benedetto XVI intende superare quella separazione tra il “Cristo della fede” e il reale “Gesù storico” che l’esegesi basata sul metodo storico-critico sembra aver reso sempre più profonda, con la conseguenza di allontanare da noi “la figura stessa di Gesù”, provocando una situazione “drammatica” per la fede, perché “rende incerto il suo autentico punto di riferimento”. Perciò il Cardinale Ratzinger e ora Benedetto XVI si è dedicato a mostrare che il Gesù dei Vangeli e della fede della Chiesa è in realtà il vero “Gesù storico”, impiegando a tale scopo il metodo storico-critico, di cui riconosce volentieri i molteplici risultati positivi, ma andando anche al di là di esso, per porsi in una prospettiva più ampia, che consenta un’interpretazione della Scrittura propriamente teologica, e che pertanto richiede la fede senza rinunciare per questo alla serietà storica. Si tratta cioè di applicare alla critica storica, come analogamente alle scienze empiriche, quel grande progetto di “allargare gli spazi della razionalità” che Benedetto XVI ci ha proposto a Verona ed ha sostenuto e motivato anche in molte altre occasioni. Penso di interpretare il vostro comune sentire, cari Confratelli, rivolgendo ai nostri amici teologi ed esegeti un forte e affettuoso invito, perché facciano proprio questo progetto e contribuiscano a realizzarlo con il loro ingegno e la loro competenza, specialmente riguardo a quel cuore della nostra fede che è il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Il prossimo Sinodo dei Vescovi, che avrà luogo nell’ottobre 2008 sul tema “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”, costituirà a sua volta una felice opportunità per approfondire la consapevolezza del legame che unisce tra loro la Scrittura e la Chiesa.
Stiamo vivendo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, che quest’anno si richiama all’esclamazione della folla dopo la guarigione miracolosa operata da Gesù: “Fa sentire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,31-37). Gli incontri ecumenici di Benedetto XVI con l’Arcivescovo di Canterbury Dott. Rowen Williams il 23 novembre, con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I e con il Patriarca della Chiesa Armena Apostolica Mesrob II durante il viaggio in Turchia, oltre che con l’Arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia Christodoulos a metà dicembre, e le importanti Dichiarazioni Comuni che sono scaturite da alcuni di questi incontri, mostrano come il cammino verso la piena unità dei cristiani – pur “lungo e non facile”, come ha detto il Papa all’udienza generale del 17 gennaio – non smetta di progredire. La preghiera e l’ecumenismo spirituale sono la forma in cui l’intero popolo di Dio può meglio contribuire al raggiungimento di questo affascinante obiettivo. Lo stesso 17 gennaio abbiamo celebrato la Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei, dedicata quest’anno alla grande parola biblica “Non avrai altre divinità al mio cospetto” (Es 20,3): “Anche l’amicizia ebraico-cristiana, per crescere ed essere fruttuosa, deve fondarsi sulla preghiera”, come il Papa ha affermato nella medesima occasione.
Vorrei poi esprimere tutta la nostra vicinanza fraterna ai Vescovi e alla Chiesa di Polonia, in questo tempo di dura e per tanti aspetti ingiusta prova. Non dimentichiamo ciò che l’eroica fede del clero e del popolo polacco ha rappresentato per il bene della Chiesa universale, oltre che per la liberazione dell’Europa dal totalitarismo comunista, e alimentiamo nella preghiera la certezza che nel presente e nel futuro la Chiesa polacca continuerà e confermerà, attraverso l’attuale prova, la sua straordinaria testimonianza cristiana.


2. Argomento centrale di questa sessione del Consiglio Permanente sarà la riflessione sul Convegno di Verona, in vista dell’elaborazione di una Nota pastorale che ne riassuma e rilanci i risultati. Siamo tutti consapevoli che questo IV Convegno ecclesiale nazionale è un grande dono di cui, con l’aiuto del Signore, dobbiamo non disperdere i frutti e favorire la duratura efficacia. A tale scopo, ancor più che la nostra Nota pastorale, potrà servire un lavoro continuativo e capillare, per vari aspetti analogo a quello che ha preparato il Convegno, da svolgere nelle Diocesi, nelle parrocchie e nell’intera rete delle realtà ecclesiali, e da innervare con alcuni eventi di rilievo nazionale che ne diffondano la conoscenza e favoriscano il coinvolgimento delle più varie energie e presenze sociali e culturali.
Il messaggio che proviene da Verona ha al suo centro il discorso del Santo Padre, che ci ha indicato con nitida profondità “quel che appare davvero importante per la presenza cristiana in Italia”, e che può felicemente riassumersi nel “grande sì che in Gesù Cristo Dio ha detto all’uomo e alla sua vita, all’amore umano, alla nostra libertà e alla nostra intelligenza”. In questo messaggio possiamo anzitutto individuare alcune strutture portanti e dimensioni fondamentali, che fanno riferimento al tema stesso del Convegno: “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Tra queste in primo luogo la fede in Cristo risorto e nella forza di trasformazione dell’uomo e dell’intera realtà che ne scaturisce, così che “Io, ma non più io” diventa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel battesimo. Di qui l’indole escatologica e missionaria di tutta la vita e la testimonianza ecclesiale, incentrata sulla comunione con il Crocifisso Risorto e protesa a renderlo presente con la sua forza di salvezza in tutti gli spazi del mondo, infondendo nel mondo stesso quel fermento di fiducia, di gioia e di rinnovamento che è la speranza teologale.
La preparazione e lo svolgimento del Convegno, con la loro articolazione in cinque ambiti di esercizio della testimonianza, ciascuno dei quali assai rilevante nell’esperienza umana e tutti insieme confluenti nell’unità della persona e della sua coscienza, hanno rappresentato una novità assai significativa e ricca di potenzialità per la metodologia e l’impostazione complessiva della nostra pastorale. Questa, per l’attuale contesto sociale e culturale, e più profondamente per corrispondere meglio all’indole stessa dell’esperienza cristiana, deve essere infatti caratterizzata da una primaria attenzione alla persona e alla sua concreta situazione di vita, con i rapporti, gli affetti, gli interessi, le attese, le difficoltà e le preoccupazioni che la formano e la plasmano. Si tratta ora di accompagnare e sostenere, con gradualità ma anche con convinzione, l’affermarsi e il diffondersi a livello capillare di una tale impostazione della pastorale, che sta già trovando da molte parti un’accoglienza favorevole.
L’intenso lavoro svolto a Verona in quei cinque ambiti, unitamente agli interventi in assemblea plenaria, offre una vera messe di considerazioni, suggerimenti e proposte che potranno essere opportunamente raccolti intorno a quegli obiettivi fondamentali che emergono con chiarezza specialmente dal discorso del Santo Padre. Tra questi anzitutto il primato di Dio nella vita e nella pastorale della Chiesa, con l’assunzione della santità quale misura alta ma non rinunciabile del nostro essere cristiani; la comunione e il senso di appartenenza ecclesiale, con gli spazi di corresponsabilità che ne derivano e che riguardano a pieno titolo anche i laici; l’educazione e la formazione missionaria del cristiano, affinché fin dalla fanciullezza sia progressivamente reso consapevole della propria fede, proteso a testimoniarla nella concretezza della vita e capace di decisioni impegnative e anche definitive; la missione, come proposta umile, argomentata e coraggiosa della verità, della bellezza e della “vivibilità” del cristianesimo, attraverso quella “forte unità” a cui ci ha invitato il Papa “tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti”, da realizzare “nelle condizioni proprie del nostro tempo”; la sollecitudine per il bene dell’uomo e delle comunità in cui egli vive, senza confondere la Chiesa con la politica e senza abdicare alla missione affidata alla Chiesa ed ai laici cristiani.
Cari Confratelli, in questo tempo del “dopo Verona” è particolarmente importante mantenere vivo quel senso di una responsabilità e di un’impresa comune che ha animato e caratterizzato il Convegno e la sua preparazione: è questo, forse, l’atteggiamento e lo stimolo di cui più abbiamo bisogno per adempiere a quei compiti, certamente assai impegnativi, che a Verona ci sono apparsi come le richieste dello Spirito alle nostre Chiese. La preghiera, che è stata la prima e fondamentale dimensione del Convegno, è anche la principale risorsa in cui ora confidiamo, perché sostenga tutto il nostro cammino.
Permettetemi di integrare quello che ho cercato di dire sul Convegno e sul “dopo Convegno” con un rimando allo straordinario discorso del Santo Padre alla Curia Romana dello scorso 22 dicembre. Riferendosi al suo viaggio in Germania, il cui “grande tema … era Dio”, Benedetto XVI ha parlato del sacerdote, come “uomo di Dio” (1Tim 6,11), il cui compito centrale è portare gli uomini a Dio, ciò che egli può fare “soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive con e da Dio”. Perciò il Papa ha richiamato il versetto “Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16,5), per sottolineare la “centralità di Dio”, come unico fondamento e senso dell’esistenza del sacerdote, anche e specialmente nel nostro attuale mondo “funzionalistico”, come pure per individuare in questa “teocentricità dell’esistenza sacerdotale” il vero fondamento del celibato ecclesiastico. A Verona non si è trattato specificamente della missione del sacerdote, mentre lo abbiamo fatto ampiamente nella nostra Assemblea del maggio scorso: queste parole del Papa, che vanno al cuore dell’esistenza sacerdotale, ci aiutano a collegare il Convegno con la nostra precedente Assemblea a quel livello di profondità teologale che è l’unico decisivo e perciò adeguato alle sfide radicali del nostro tempo.
Nei mesi trascorsi dalla precedente sessione del Consiglio Permanente il Signore ha chiamato a sé due Confratelli ai quali eravamo particolarmente legati: prima, a fine settembre, un giovane Vescovo, Mons. Cataldo Naro, che era membro del nostro Consiglio, poi, il 10 dicembre, il Cardinale Salvatore Pappalardo, che è stato a lungo Vicepresidente della nostra Conferenza. Li sentiamo presenti tra noi, nel mistero dell’amore di Dio, preghiamo per loro e per la terra di Sicilia di cui entrambi erano figli e che hanno tanto amato, e confidiamo nella loro intercessione.


3. Assai variegati e segnati da molteplici fatti e circostanze sono stati in questi mesi il cammino e la situazione dell’Italia. Sul versante economico e sociale si sta sviluppando e consolidando la ripresa, di cui già si avevano avuti da qualche tempo i primi segnali. Con la ripresa, ulteriori e significativi risultati positivi si registrano sul fronte dell’occupazione, sebbene purtroppo la percentuale dei senza lavoro sia ancora tripla nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione. Si è inoltre verificato un forte incremento del gettito fiscale con un conseguente miglioramento dei conti dello Stato, anche se sembra ulteriormente cresciuto il nostro altissimo debito pubblico. I rapporti tra le forze politiche rimangono però altamente conflittuali, sia tra maggioranza e opposizione sia all’interno dei due schieramenti, come ha ripetutamente segnalato il Capo dello Stato. La legge finanziaria in particolare, che pur dovrebbe contribuire non poco al risanamento del debito, ha avuto un percorso eccezionalmente tribolato ed una conclusione che, per la sua forma e modalità, ha preoccupato lo stesso Presidente della Repubblica, oltre ad aver sollevato le pubbliche proteste di numerose e diverse categorie di cittadini.
Sul versante della famiglia la legge finanziaria ha introdotto varie agevolazioni per i nuclei familiari numerosi e a basso reddito, o che hanno a carico familiari disabili, mentre diventano più pesanti gli oneri per altri nuclei familiari: la complessità delle normative rende comunque difficile una previsione sicura degli effetti complessivi e i progressi in alcuni campi rimangono lontani dal configurare quel sostegno organico alla famiglia come tale che si potrebbe ottenere, ad esempio, attraverso l’adozione del “quoziente familiare”. D’altra parte le indagini dell’ISTAT hanno di nuovo rilevato come buona parte delle famiglie italiane, soprattutto nel Meridione, si trovi in condizioni di ristrettezza o anche di reale povertà.
Alla luce di questi vari elementi sembra fondata l’esigenza, da non pochi avvertita e condivisa, di uscire dalle contrapposizioni fini a se stesse, senza confondere per questo i ruoli propri del Governo e dell’opposizione, per cercare anzitutto lo sviluppo complessivo e solidale dell’Italia. Non mancano certo gli ambiti in cui un tale sforzo comune può esplicarsi. Essi non si limitano ai delicati terreni della riforma della legge elettorale o anche di alcuni aspetti dell’ordinamento costituzionale. Si estendono infatti a quei problemi che sono maggiormente avvertiti dalle persone e dalle famiglie come, oltre al lavoro e al potere di acquisto, la casa, la sanità, il sistema pensionistico e quello fiscale, l’assistenza ai bambini più piccoli e agli anziani, la sicurezza dei cittadini. E comprendono parimenti l’attenzione a settori chiave per lo sviluppo del Paese come l’istruzione, la ricerca e l’innovazione, e ancor prima l’impegno per arrestare il declino demografico della nostra popolazione.
Nell’Angelus di domenica 14 gennaio, in cui si è celebrata la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il Papa ha richiamato i contenuti del suo Messaggio di quest’anno, dedicato alla famiglia migrante, sottolineando la grande vastità e la crescente diversificazione del fenomeno della mobilità umana. In particolare ha insistito sulla necessità di “tutelare i migranti e le loro famiglie mediante l’ausilio di presidi legislativi, giuridici e amministrativi specifici, ed anche attraverso una rete di servizi, di punti di ascolto e di strutture di assistenza sociale e pastorale”, favorendo l’emigrazione regolare e i ricongiungimenti familiari, nella prospettiva della centralità della persona umana. Il Papa ha aggiunto che “Soltanto il rispetto della dignità umana di tutti i migranti, da un lato, e il riconoscimento da parte dei migranti stessi dei valori della società che li ospita, dall’altro, rendono possibile la giusta integrazione delle famiglie nei sistemi sociali, economici e politici dei Paesi d’accoglienza”: così le migrazioni saranno viste “non … soltanto come un problema, ma anche e soprattutto come una grande risorsa per il cammino dell’umanità”. Queste parole di Benedetto XVI sono rivolte evidentemente al mondo intero, ma appaiono assai utili e opportune anche nella concreta situazione dell’Italia, che sta cercando, non senza fatica, il giusto approccio al fenomeno del rapido incremento degli immigrati, destinato ad influire grandemente sul nostro futuro.
Abbiamo vissuto settimane di forte apprensione per le tragiche imprese della camorra a Napoli e desideriamo esprimere a quella città e a quella Chiesa la nostra affettuosa vicinanza, accompagnate dalla preghiera e dalla forte richiesta che l’impegno per por fine a questa aberrante realtà sia costante e sappia andare alle radici. Le cronache recenti hanno inoltre troppo spesso evidenziato altre efferate iniziative criminali, che esplodono in maniere impreviste e inattese e sembrano inconcepibili, ma in realtà fanno venire alla luce l’abisso che può nascondersi nel cuore dell’uomo: al di là dei necessari interventi della giustizia umana, chiediamo perdono a Dio per quel “regno del peccato” (cfr Rom 6,12-14) da cui solo la croce di Cristo ci può davvero liberare.


4. Il 20 novembre il Presidente Napolitano ha reso visita al Santo Padre: dai discorsi pronunciati in quella occasione, ma anche da altri interventi del Capo dello Stato, è emersa una sostanziale sintonia su varie e importanti tematiche, nel rispetto della diversità dei rispettivi ruoli e della sana laicità dello Stato. Nello stesso spirito la nostra Conferenza, tramite il suo Segretario Generale, in un’audizione parlamentare ha espresso il proprio parere favorevole a una legge sulla libertà religiosa, che non contrasta in alcun modo con gli Accordi concordatari e che va articolata tenendo conto delle questioni postesi in questi anni a seguito della forte affluenza di immigrati di altre religioni.
Le nuove problematiche etiche e antropologiche, specialmente a proposito della vita umana e della famiglia, che stanno sempre più emergendo, toccano d’altronde alla radice il senso e i valori della nostra esistenza, e proprio su queste materie assistiamo a ripetute e spesso aspre denunce di una pretesa indebita ingerenza della Chiesa. Al riguardo una spiegazione convincente e chiarificatrice l’ha data a più riprese il Santo Padre. Così, rivolgendosi al Presidente della Repubblica, ha affermato che la Chiesa e in particolare i fedeli laici, nel dare il loro apporto su questi temi, “lo fanno nel contesto e secondo le regole della convivenza democratica, per il bene di tutta la società e in nome di valori che ogni persona di retto sentire può condividere”. Poco dopo, il 9 dicembre, ricevendo l’Unione Giuristi Cattolici, ha precisato che “non è segno di sana laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza di tutti gli esseri umani … Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza della Chiesa nell’attività legislativa, propria ed esclusiva dello Stato, ma dell’affermazione e della difesa dei grandi valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano la dignità. Questi valori, prima di essere cristiani, sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare con fermezza la verità sull’uomo e sul suo destino”.
Attualmente l’attenzione è puntata sulle proposte di riconoscimento giuridico delle unioni di fatto, con varie proposte di legge di cui il Senato ha iniziato l’esame e che purtroppo tendono quasi tutte a riconoscere e tutelare tali unioni, sia eterosessuali sia omosessuali, in termini sostanzialmente analoghi a quanto è previsto per la famiglia fondata sul matrimonio, mentre il Governo stesso sembra impegnato ad assumere in questa materia una propria iniziativa. Una pressione nel medesimo senso è inoltre esercitata dai provvedimenti adottati o in discussione in alcune Regioni e Comuni, al di là della dubbia efficacia giuridica di talune di queste iniziative.
Al riguardo abbiamo già ripetutamente espresso la nostra posizione, in piena sintonia con quella della Santa Sede. Personalmente mi permetto di richiamare ciò che ho cercato di dire, in termini approfonditi e motivati, già nella prolusione alla sessione del nostro Consiglio Permanente del 18 settembre 2005. La Nota dottrinale della Congregazione per la Dottrina della Fede “circa alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica”, datata 24 novembre 2002, riassume efficacemente la nostra comune posizione affermando che alla famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso “non possono essere equiparate in alcun modo altre forme di convivenza, né queste possono ricevere in quanto tali riconoscimento legale” (n. 4). Da ultimo il Santo Padre ha riconfermato la medesima valutazione nel discorso dell’11 gennaio ai rappresentanti delle Amministrazioni locali di Roma e del Lazio.
Se guardiamo alla situazione dell’Italia, queste posizioni trovano un riscontro quanto mai concreto e persuasivo. Da noi infatti la famiglia svolge un grandissimo ruolo sociale e dà un contributo particolarmente elevato all’educazione dei figli. Al contempo siamo da molti anni alle prese con una gravissima crisi della natalità, che minaccia il futuro del nostro Paese. Preoccupazioni comuni e primarie dei responsabili della cosa pubblica dovrebbero essere quindi il sostegno della famiglia legittima fondata sul matrimonio, in accordo con il dettato costituzionale, e la rimozione di tutti quegli ostacoli di ordine pratico (a proposito dell’alloggio, del lavoro giovanile e della sua stabilità, delle strutture di accoglienza per i bambini più piccoli …), o anche giuridico e fiscale, che dissuadono le giovani coppie dal contrarre matrimonio e dal generare dei figli, senza per questo forzare in alcun modo la libertà delle scelte personali di ciascuno. Le informazioni fornite in questi giorni dall’ISTAT sul persistente desiderio di maternità delle donne italiane e sui problemi che ostacolano la sua realizzazione, e d’altra parte i risultati conseguiti in Francia dalle politiche a favore della natalità, mostrano come questa sfida non sia affatto perduta in partenza. Vi è qui anche tutto lo spazio per una spontanea e benefica collaborazione tra lo Stato e la Chiesa.
Esaminando sempre in concreto la realtà delle unioni di fatto, quelle tra persone di sesso diverso sono certamente in aumento, sebbene restino a livelli assai più contenuti che in altri Paesi, ma la grande maggioranza di loro vive nella previsione di un futuro possibile matrimonio, oppure preferisce restare in una posizione di anonimato e di assenza di vincoli. Le assai meno numerose coppie omosessuali in buona parte vogliono a loro volta rimanere un fatto esclusivamente privato e riservato; altre invece sembrano costituire il principale motore della pressione per il riconoscimento legale delle unioni di fatto, con cui intenderebbero aprire, se possibile, anche la strada per il matrimonio. Nel pieno e doveroso rispetto per la dignità e i diritti di ogni persona, va però osservato che una simile rivendicazione contrasta con fondamentali dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene della generazione dei figli, che è la ragione specifica del riconoscimento sociale del matrimonio.
La legislazione e la giurisprudenza attuali già assicurano la protezione di non pochi diritti delle persone dei conviventi, e pienamente dei diritti dei figli. Per ulteriori aspetti che potessero aver bisogno di una protezione giuridica esiste anzitutto la strada del diritto comune, assai ampia e adattabile alle diverse situazioni, e ad eventuali lacune o difficoltà si potrebbe porre rimedio attraverso modifiche del codice civile, rimanendo comunque nell’ambito dei diritti e dei doveri della persona. Non vi è quindi motivo di creare un modello legislativamente precostituito, che inevitabilmente configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non corrisponderebbero uguali doveri: sarebbe questa la strada sicura per rendere più difficile la formazione di famiglie autentiche, con gravissimo danno delle persone, a cominciare dai figli, e della società italiana. Del resto, il recentissimo Rapporto pubblicato in Inghilterra sulle conseguenze del crollo della famiglia per lo stato della Nazione conferma, sulla base di un’esperienza che in quel Paese è ormai pluridecennale, quanto siano negativi i risultati di quelle politiche nelle quali alcuni pensano di poter trovare un modello per la società italiana.
Esprimono il senso genuino dell’atteggiamento e della sollecitudine della Chiesa alcune considerazioni del Santo Padre, contenute nel discorso del 22 dicembre alla Curia Romana. Riferendosi al suo viaggio in Spagna per la Giornata Mondiale delle famiglie, egli ha detto: “il problema dell’Europa, che apparentemente quasi non vuole più avere figli, mi è penetrato nell’animo. Per l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi sembra volersi congedare dalla storia”. Poi il Papa ha individuato le motivazioni profonde di tale comportamento non solo nella ritrosia a donare ai figli il proprio tempo, e alla fine se stessi, ma anche nella perdita di orientamento, per cui non sappiamo più quale via indicare, quali norme di vita trasmettere, e ancora più radicalmente nell’insicurezza circa il futuro, anzi circa il fatto stesso che sia “cosa buona essere uomo”. Perciò una risposta convincente può consistere soltanto nel ritrovamento di un senso e di una speranza che siano più forti delle nuvole che oscurano il futuro: a questo livello è chiaramente la Chiesa stessa la prima ad essere chiamata in causa. Nella stessa chiave il Papa non tace la sua preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto, che relativizzano il matrimonio e rendono ancor più difficile per i giovani del nostro tempo la decisione per un legame definitivo. Il riconoscimento legale delle unioni omosessuali toglie poi “ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana”, con un deprezzamento della corporeità in conseguenza del quale l’uomo, “volendo emanciparsi dal suo corpo … finisce per distruggere se stesso”. Perciò, “Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi su tutto questo? Non è piuttosto il loro – il nostro – dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio?”  
Un’altra questione assai delicata sotto il profilo umano ed etico, di cui il Parlamento ha iniziato l’esame, è quella delle “dichiarazioni anticipate di trattamento”. Un punto essenziale, sul quale sembra esservi un ampio consenso, è il rifiuto dell’eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla. Al tempo stesso è legittimo rifiutare l’accanimento terapeutico, cioè il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all’accanimento terapeutico non può giungere però al punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e in particolare quell’“abbandono terapeutico” che priva il paziente del necessario sostegno vitale attraverso l’alimentazione e l’idratazione, come si è espresso nel 2003 il Comitato Nazionale per la Bioetica.
La volontà del malato, attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario scelto liberamente, e quella dei suoi familiari, non possono pertanto avere per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso. Va inoltre salvaguardato il rapporto, personale e in concreto sommamente importante, tra il medico, il paziente e i suoi familiari, come anche il rispetto della coscienza del medico chiamato a dare applicazione alla volontà del malato, e più in generale della deontologia medica. In questa materia tanto delicata appare dunque una norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere previsto e regolato per legge. Sono altrettanto importanti e doverose le terapie che attenuano la sofferenza e una vicinanza affettuosa e costante ai pazienti e alle loro famiglie.
Una vicenda umana dolorosa, che ha coinvolto a lungo la nostra gente, è stata quella di Piergiorgio Welby. Essa mi ha chiamato in causa anche personalmente, quando è giunta la richiesta del funerale religioso dopo la sua morte. La sofferta decisione di non concederlo nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio. Nel prendere una tale decisione non è mancata la consapevolezza di arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno consapevoli del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del malato può disporre. Soprattutto ci ha confortato la fiducia che il Dio ricco di misericordia non solo è l’unico a conoscere fino in fondo il cuore di ogni uomo, ma è anche Colui che in questo cuore agisce direttamente e dal di dentro, e può cambiarlo e convertirlo anche nell’istante della morte.
Una notizia positiva, cari Confratelli, è stata quella che la Corte Costituzionale ha respinto il ricorso contro la legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, riguardo alla norma che vieta la diagnosi preimpianto. I risultati di questi primi anni di applicazione di tale legge, unitamente ai continui progressi della ricerca scientifica, confermano del resto che essa, pur con i suoi limiti etici, rende per vari aspetti un positivo servizio.


5. Se allarghiamo lo sguardo all’Europa e al mondo, si segnala anzitutto l’ingresso, con l’inizio del nuovo anno, di due altre Nazioni, la Romania e la Bulgaria, nell’Unione Europea. Diventa pertanto sempre più necessario dotare l’Unione di regole più idonee ad assicurare l’effettiva e armonica convergenza di un grande numero di Paesi tra loro spesso assai diversi per storia e cultura oltre che per il livello di sviluppo economico, rispettando al contempo queste loro diversità.
Il Medio Oriente continua ad essere afflitto da sanguinosi conflitti e da fortissime tensioni. In Terra Santa infatti, oltre al contrasto, spesso armato, tra Israele e i palestinesi, questi ultimi sono travagliati da lotte interne difficili da superare: la pacificazione della Terra Santa, con il riconoscimento reciproco dei due popoli e dei due Stati, rimane però elemento decisivo per restituire un minimo di tranquillità e sicurezza a tutta l’area mediorientale. Anche in Libano, dopo l’assassinio del Ministro Pierre Gemayel, la situazione interna è ridiventata assai tesa e il Governo è stato sottoposto a fortissime pressioni, alle quali non sono certo estranei gli interessi e le ambizioni di altri Stati. Ma il Paese in cui si sta consumando la peggiore tragedia è l’Iraq, con molte migliaia di vittime, soprattutto civili, per la lotta tra opposte fazioni. L’esecuzione di Saddam Hussein e poi di due tra i suoi più stretti collaboratori, oltre alla riprovazione morale che non può non accompagnare la pena di morte, sembra avere ulteriormente aggravato questa situazione. L’aumento della presenza militare non potrà essere la chiave di una soluzione duratura, per la quale un nuovo e più ampio approccio politico appare davvero indispensabile. Rimangono aperte inoltre le gravi questioni dei programmi nucleari dell’Iran e delle inaccettabili minacce contro l’esistenza stessa dello Stato di Israele. Anche in Afghanistan le attività di guerriglia non sembrano attenuarsi e due nostri soldati, gli alpini Giorgio Langella e Vincenzo Cardella, sono stati uccisi, mentre un altro militare italiano, Massimo Vitagliano, è morto in un incidente in Iraq: li accompagnano il nostro affetto, la nostra gratitudine e la nostra preghiera. In questa situazione il Santo Padre ha sentito il bisogno di rivolgere nell’imminenza del Natale uno speciale Messaggio ai cattolici del Medio Oriente, in cui esprime loro tutta la sua vicinanza e la sua solidarietà nella sofferenza, nei rischi e nelle molteplici difficoltà che devono affrontare, li conforta a non lasciare quelle terre, in cui è nato il Salvatore ed ha avuto la sua prima espansione la fede cristiana, e rende pubblica la sua speranza di potersi recare pellegrino in Terra Santa. A nostra volta siamo vicini a questi nostri fratelli con la preghiera e la solidarietà, che vogliamo esprimere in particolare recandoci anche noi pellegrini in quei luoghi.
In Africa la Somalia è stata teatro di un aspro conflitto, con molte vittime ed ulteriori emergenze per una popolazione stremata. La sua rapida conclusione militare non garantisce purtroppo, almeno per ora, una prospettiva di pacificazione e di ricostruzione. La terribile crisi del Darfur sembra aprirsi negli ultimi tempi a qualche speranza di soluzione, anche se l’esperienza di questi anni induce purtroppo alla massima cautela. Nella Nigeria, funestata dall’esplosione di un oleodotto che ha provocato centinaia di vittime, due italiani sono da lungo tempo tenuti in ostaggio, mentre un terzo, in precarie condizioni di salute, è stato rilasciato negli ultimi giorni. Non sono pochi però, come ha detto il Papa nel discorso al Corpo Diplomatico, i segnali positivi che giungono da questo Continente tanto martoriato: essi riguardano i processi di riconciliazione nazionale in atto in molti Paesi e lo sforzo di ripristino del funzionamento delle istituzioni, a livello non solo nazionale ma anche regionale e continentale. Per l’Africa deve crescere la sollecitudine, pur già grande, della Chiesa italiana, e anche una genuina solidarietà del nostro Paese.
Ha suscitato gravi preoccupazioni l’esperimento nucleare compiuto dalla Corea del Nord, oltre a tutto in stridente contrasto con l’estrema miseria che affligge il suo popolo. Ma è motivo di turbamento e suscita pesanti interrogativi anche un fatto come l’assassinio a Mosca della giornalista Anna Politovskaia, nota nel mondo per le sue inchieste sulle violazioni dei diritti umani. Solidarietà concreta dobbiamo inoltre esprimere al popolo filippino, duramente provato a fine novembre da un tifone che ha provocato un grandissimo numero di morti ed enormi distruzioni.
Termino ricordando tutti quei nostri fratelli, almeno 24 nel corso del 2006, tra i quali gli italiani Don Andrea Santoro, Don Bruno Baldacci e Suor Leonella Sgorbati, che hanno versato il loro sangue in terra di missione. Il loro sacrificio sia seme di nuovi cristiani e valga ad indurre a comportamenti più aperti e più umani quelle forze, quei gruppi e purtroppo anche quei Governi che propendono ad atteggiamenti di intolleranza e talvolta di vera persecuzione.


Cari Confratelli, vi ringrazio di avermi ascoltato e di quanto vorrete osservare e proporre. Affidiamo con fiducia queste nostre giornate alla materna intercessione di Maria Santissima, a quella del suo sposo Giuseppe e dei Santi e delle Sante venerati nelle nostre Chiese.


Camillo Card. Ruini
Presidente


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