Ru486 la devastante pillola che uccide

Tutto su quella pillola che uccide
Molti buoni motivi per farne a meno. Lo dicono i pro-lifer, ma pure certi medici abortisti e alcune femministe

Per comprendere alcuni degli aspetti etici relativi all’assunzione della pillola abortiva Ru486 bisogna preliminarmente chiarire che il figlio allo stato embrionale è un uomo. Mancando lo spazio per argomentare, mi permetto di rinviare all’articolo che ho pubblicato su il Domenicale del 4 giugno scorso.
Qui posso solo sinteticamente ricordare come la scienza biologica attesti che lo sviluppo del figlio allo stato embrionale è autonomo, cioè diretto e guidato dal figlio e non da sua madre, e continuo, cioè ininterrotto, senza salti, senza stacchi che consentano di dire: “soltanto adesso il figlio allo stato di embrione è divenuto un uomo”.
Insomma, la differenza tra lui e noi è relativa solo alla complessità di organizzazione e alla quantità della materia di cui siamo costituiti, cose che ci consentono di esercitare (tra l’altro non ininterrottamente) alcune attività (pensare, volere, amare, ecc.) che il figlio potrà svolgere solo dopo la nascita (anzi, diverso tempo dopo di essa), cioè quando il suo sviluppo lo permetterà, salvo il caso di patologie. Pertanto, visto che il figlio allo stato embrionale è uno di noi, bisogna riconoscere, anche se è duro riscontrarlo, e sebbene coloro che abortiscono spesso non ne siano consapevoli, che l’aborto è un omicidio. Questa, purtroppo, è la tristissima realtà. Sul web si trova un filmato che mostra cosa avvenga al figlio quando subisce l’aborto:
www.fuocovivo.org/movimento/discerni.html.
A questo punto, è dunque possibile svolgere alcune brevi riflessioni relative a quel tipo di aborto che viene messo in pratica con il Ru486.


Danni collaterali a iosa
1. L’aborto uccide ogni anno più di 130mila esseri umani in Italia e 46 milioni nel mondo: il primo dato è del ministero della Salute, il secondo è dell’OMS. Da quando è stato legalizzato in Occidente, si calcola che sia stato ucciso ben più di un miliardo di persone. Difficile pensare che si tratti sempre di situazioni drammatiche in cui c’è un conflitto tra la vita del figlio e la salute psichica o fisica della madre. Piuttosto, nella stragrande maggioranza dei casi la soppressione dei figli allo stato embrionale è un mero mezzo di controllo delle nascite. Il Foglio del 30 novembre ha poi parlato dell’inquietante “massacro di Eva”, l’eliminazione in Cina, India e Corea di 60 milioni di bambine, abortite in quanto femmine.
Insomma, è ormai avvenuta una vera e propria banalizzazione dell’aborto, di cui il Ru486 è la manifestazione eclatante: l’aborto viene raffigurato come un “diritto”, e diventa sempre meno una scelta ponderata e sofferta, e sempre più un’opzione automatica da prendere a cuor leggero, senza remore morali. Gli aspetti dell’aborto che potrebbero determinare un conflitto interiore, come il fatto che viene eliminato un figlio proprio, le sue sofferenze, la sua stessa esistenza, vengono nascosti e oscurati. Come ha detto un’acuta femminista qual è Eugenia Roccella, «nella scelta di abortire, sempre più “l’altro” [il bambino] è assente».
2. Alle donne viene detto: a) che l’assunzione della pillola è semplice, quasi banale quanto prendere un’aspirina; b) che essa consente una soppressione facile e “indolore” del figlio, e perciò rimuove i problemi di una gravidanza non voluta e i disagi dell’intervento chirurgico; c) che non serve nemmeno il ricovero; e d) che essa consente una soppressione del figlio che può essere totalmente segreta.
Ma la realtà è ben diversa. Gli effetti collaterali che la donna deve patire dopo aver assunto il Ru486 sono molteplici e comprendono: dolore o crampi nel 93,2% dei casi, nausea nel 66,6%, debolezza nel 54,7%, cefalea nel 46,2%, vertigini nel 44,2% e perdite di sangue prolungate che richiedono una trasfusione nello 0,16% dei casi.
Questo significa che se tutte le donne abortissero in Italia assumendo il Ru486, ogni anno 209 di loro dovrebbero subire una trasfusione. Tra gli effetti collaterali del Ru486 vi è poi anche la sincope nell’1% dei casi, nonché alcuni casi di morte per sepsi.
Già nel 1991 tre femministe dichiaratamente abortiste denunciarono la pericolosità del Ru486. Si tratta di Janice G. Raymond, docente all’Università del Massachussets, di Renate Klein e di Lynette J. Dumble, ricercatrici universitarie in Australia. Il loro libro, Ru-486: Misconceptions, Myths and Morals (Spinifex Press-Institute on Women and Technology of the Massachusetts Institute of Technology, Melbourne-Cambridge [Massachusetts] 1991) documenta rischi, problemi e conseguenze dell’aborto chimico. Il libro è out-of-print da tempo, ma fortunatamente è leggibile sulla rete al sito
ttp://www.spinifexpress.com.au/non-fict/ru486.htm.


Buio fitto. E brancolarci
In esso le autrici del libro spiegano peraltro come il Ru486 non trasformi affatto l’aborto in un fatto privato giacché per assumerlo è necessario un rigoroso controllo medico. La donna deve infatti recarsi in ospedale tre volte. Il primo giorno le viene somministrata la pillola, il terzo giorno il misoprostol – il preparato a base di prostaglandine che favorisce l’espulsione del figlio – e il decimo giorno deve tornare per un controllo. Inoltre, si accusano gli scienziati di non avere alcuna idea degli effetti a lungo termine dell’intera procedura. In effetti la pillola è stata prodotta nei primi anni Ottanta: da allora sono passati trent’anni, ma ancora oggi non si sa quali possano essere i suoi effetti a lungo termine.
Perfino in Cina, Paese che certo non brilla per tutela dei diritti umani e della salute pubblica, dove nel 1992 la pillola abortiva era stata messa in commercio come prodotto di farmacia, nel 2001 si è fatta marcia indietro, consentendo all’uso della pillola solo sotto controllo medico (si veda www.cnsnews.com/ViewCulture.asp?Page=/Culture/archive/200110/CUL20011022b.html
).


Costi da capogiro
3. Il Ru486 non è vantaggioso nemmeno dal punto di vista dei costi: in ossequio alla legge 194, la donna dovrebbe rimanere ricoverata dal momento dell’assunzione della prima compressa fino al termine dell’aborto, con evidente aggravio di spesa per il Servizio Sanitario Nazionale rispetto all’aborto chirurgico.
4. Quando sceglie l’aborto chirurgico, la donna, fino al momento di entrare in sala operatoria, attraversa molte fasi della procedura preparatoria durante le quali può pure avere un ripensamento, come avviene in alcuni casi, non rarissimi. Invece, una volta assunta la prima pillola, ella non può più tornare indietro e la sua scelta si fa subito irreversibile.
5. Inoltre, con l’aborto chirurgico, l’anestesia e lo stato d’incoscienza durante il quale avviene l’aborto, dal punto di vista morale rappresentano per la donna, in qualche modo, una sorta di difesa, in forza di un certo ruolo passivo rispetto all’aborto. Per contro, con il Ru486, i problemi di natura psicologica aumentano giacché è la donna stessa che diviene l’agente principale dell’aborto. Il suo ruolo, infatti, non è più passivo: è lei che ingerisce la pillola e quindi i successivi sensi di colpa sono molto più lancinanti.
6. I problemi psicologici aumentano del resto anche perché, per circa 2 o 3 giorni, anzi 10 (cioè fino all’ultimo controllo), la donna vive nell’incertezza e nell’angoscia, subendo nel frattempo perdite ematiche. In effetti, come ha scritto la bioeticista Claudia Navarini, tra l’assunzione della prima pillola, l’espulsione del figlio e il controllo, trascorre un periodo di tempo in cui, mentre si consuma l’agonia e la morte del figlio nel suo grembo, la donna ha tempo per la riflessione: se l’aborto la farà soffrire, se dopo tornerà tutto come prima, se ha fatto veramente bene a sopprimere il proprio figlio.
Così, dentro di lei si svolge un’agonia che dura per giorni, giorni potenzialmente interminabili, e questo si fa particolarmente vero per quelle donne che all’aborto sono arrivate magari per solitudine, per paura o per povertà, ma che pure sanno bene di stare uccidendo il proprio figlio.


Solo il medico ci guadagna
La giornalista Marina Corradi si è chiesta se è davvero migliore questa lunga e dolorosa attesa piuttosto che il taglio netto provocato da un intervento. Davvero conta così poco ciò che passa nei pensieri di una donna in quel silenzioso aspettare che la vita che le stava crescendo dentro, eliminata chimicamente, abbandoni il suo corpo? Insomma, un periodo di grande sofferenza, nel quale si può anche cambiare idea, ma in cui non si può più tornare indietro perché le conseguenze dell’assunzione della prima pillola sono irreversibili.
In verità, almeno allo stato attuale, l’unico soggetto a trarre reali vantaggi dalla diffusione del Ru486 non è la donna che ricorre all’aborto, ma il medico, che deve limitarsi a prescrivere le compresse abortive, a controllarne l’assunzione e a seguire il decorso del processo da esse innescato. Non più agente e protagonista dell’aborto, ma semplice supervisore di un atto che la donna compie da sola, il medico prescrive il Ru486 magari senza nemmeno vedere in volto la donna che l’assumerà.
7. Il Ru486 deve essere assunto prima della settima settimana di gravidanza. Perciò la decisione di abortire deve essere presa rapidamente e precisamente nel momento in cui la donna è più vulnerabile, cioè quando il panico per la scoperta di una gravidanza indesiderata può produrre decisioni affrettate.
Così la donna, che già è in difficoltà, si trova ancor più abbandonata a se stessa: se basta la pillola per sbarazzarsi di un figlio indesiderato, se è così semplice, le pressioni da parte del padre del bambino o dei familiari diventano più pressanti e la solitudine si fa ancora più cupa. Ciò è stato ben sottolineato anche da opinionisti tendenzialmente abortisti che si sono levati contro l’introduzione del composto chimico.


E solitudine. Tanta, troppa
8. Sigmund Freud affermava che, se avesse potuto ereditare i beni di un ricco mandarino cinese uccidendolo con un solo atto di pensiero, non avrebbe esitato un istante. Diversamente da lui, molti uomini avrebbero invece notevoli esitazioni. Però è certamente molto più facile uccidere mille uomini che non si vedono di uno solo dirimpetto. Il Ru486 moltiplicherà il numero degli aborti perché il figlio, il suo sangue e la sua morte sono invisibili.
9. Se dovesse affermarsi la prassi di adoperare il Ru486 una volta al mese durante il ciclo, a prescindere dall’accertamento di una gravidanza, l’incertezza e quindi l’angoscia della donna cresceranno.
10. Oppure, qualora questo uso della pillola non dovesse creare angoscia, signicherebbe che questa prassi ha portato a una indifferenza gravissima a proposito della morte di un innocente.
11. Chi fa un uso periodico mensile del Ru486 può pure ritenere di non avere alcuna colpa perché non sa se e quando abortisce. Ma è sbagliato quanto pensare che un cacciatore non ha alcuna colpa se spara dalla finestra verso la strada quando è buio, visto che non sa se sta uccidendo qualcuno. Del resto, è vero che l’ignoranza scusa moralmente, ma non quando l’ignoranza è stata cercata volontariamente (non voglio sapere se la bicicletta che sto comprando è rubata per non avere remore morali rispetto all’acquisto), né quando è stata voluta la causa che l’ha prodotta (se uccido qualcuno inconsapevolmente perché sono ubriaco, sono colpevole perché ho voluto ubriacarmi), né quando deriva da una negligenza (se sbaglio un intervento chirurgico senza sapere che sto intervenendo sul mio paziente in modo sbagliato perché non ho studiato anatomia, sono colpevole perché era mio dovere studiare a fondo).
12. Infine, il padre del bambino, che già subisce la grave ingiustizia di non aver voce in capitolo nella decisione della donna di abortire (la legge 194 non gli concede infatti alcuna possibilità d’impedire l’aborto), potrebbe addirittura restare del tutto all’oscuro dell’accaduto e quindi subire un supplemento d’ingiustizia.
 
di Giacomo Samek Lodovici
Il Domenicale  N. 6 – DAL 11 AL 17 FEBBRAIO 2006