Tentativi di monopolizzare l’informazione da parte dell’Unione: dopo Mimun e la maxi multa comminata a Fede, ora gli amici di Prodi hanno nel mirino anche il cattolico Rossella
Piazzale Loreto mediatico?
Mimun e Rossella fanno vedere Prodi in difficoltà. Meglio cacciarli subito
Non solo Bocca, Giulietti e l’Unità. Ora l’intimidazione arriva anche da un diessino equilibrato come Chiti
Roma. Se si muove Vannino Chiti significa che Piazzale Loreto non è più soltanto un termine di paragone immaginifico e inattuale. La metafora è stata concepita dal Foglio mesi fa, un po’ per scherzo un po’ no, con l’obiettivo di prefigurare l’epilogo tragicomico del berlusconismo nella sua variante cruenta, sanguinaria se pure senza sangue. Pochi giorni fa Fedele Confalonieri l’ha recuperata per manifestare la preoccupazione che, insieme con l’eventuale vinto (Silvio Berlusconi), anche Mediaset finisca vittima di un’epurazione annunciata per impedire al Cav. di rifarsi dopo la sconfitta. Giorgio Bocca l’ha preso più seriamente di quanto alcuni osservatori considerino Bocca medesimo, ci ha costruito sul Corriere della Sera una listina di proscrizione che contempla Emilio Fede e Carlo Rossella, i direttori del Tg4 e del Tg5. Fin lì poteva apparire come uno sfoggio isolato di violenza retorica antiberlusconiana, mescolata al rancore di chi – come il solito Bocca su l’Espresso – per rimanere nella metafora dei giorni di Salò si diletta a rintracciare nella cerchia del Cav. i possibili Nicola Bombacci (ex comunisti pronti per l’impiccagione a testa in giù). Mentre altri, come Eugenio Scalfari, se la prendono con gli amorali. Altri ancora, come Furio Colombo, si rincorrono nell’immaginazione d’un regolamento di conti sul conflitto d’interessi. E lo fanno rimanendo sempre ben piantati nella metafora di quel distributore di benzina dal quale nell’aprile del 1945 penzolarono i corpi dei perdenti. Insomma a sinistra per lo più si almanacca sui gradi di approssimazione alla vendetta massima. Nel frattempo l’ostilità quotidiana di giornali come l’Unità s’è fatta iperbole e minaccia di partito. Il culmine domenica sera, a poche ore dalla performance televisiva di Romano Prodi che, ospite da Lucia Annunziata e incalzato come fosse Berlusconi, ha un po’ balbettato sul tema delle tasse. I tg hanno coperto la notizia in vario modo. Ma Vannino Chiti, uomo forte della segreteria ds (è coordinatore delle relazioni istituzionali) ha voluto accomunare il Tg1 di Clemente Mimun e il Tg5 di Rossella nel presunto mare grande e limaccioso in cui risuona la “cassa di risonanza a Berlusconi” e vengono messe “alla berlina le posizioni di Prodi”. “Una vergogna insopportabile, la conferma puntuale dell’occupazione da parte della destra delle principali reti televisive”. Seguiva invito ufficiale affinché “l’Autorità per le comunicazioni non finga di non vedere e di non sentire”, perché “se non interviene è corresponsabile”.
Il meccanismo per condizionare i tg
Nel gergo più smaliziato questa pratica si chiama “character assassination” – è l’assalto alla giugulare d’un giornalista: la sua immagine professionale – e in fondo si addice ai tempi in cui Nanni Moretti può invocare su Rai3 la “deberlusconizzazione” del paese, lo sradicamento del fenomeno-Cav. da ogni cellula del corpo italiano indispensabile per “ricostruire un tessuto comune”. Clemente Mimun conosce il meccanismo e chi lo frequenta dice di lui che venerdì sera, a campagna elettorale chiusa, stapperà champagne con gli amici più stretti: comunque vada lui dall’11 aprile si considera un uomo libero dalla direzione del Tg1. Sull’Unità di ieri è apparsa una sua lettera di precisazione che corona una settimana esasperante. Mimun replica a un articolo allusivo con il quale l’Unità di domenica tentava di dimostrare la “mortificazione” di Prodi praticata dal Tg1 attraverso mezzucci tecnici (pochi o zero inviati al seguito del leader dell’Unione, un servizio audio troppo fievole e così via). Da notare – ricorda Mimun ad Antonio Padellaro – che già mercoledì scorso il direttore del quotidiano si era dovuto scusare per un altro pezzo in cui Roberto Cotroneo, sbagliando, aveva accusato Mimun di non aver dato conto del “Caimano”. A questo si aggiunge l’assedio ordinario mosso per antica consuetudine dal quadrilatero formato dal cdr, dall’Usigrai (il sindacato in cui pesa la voce del diessino Giuseppe Giulietti), dalla commissione di Vigilanza e dagli esponenti del cda collegati alle segreterie di Ds (Carlo Rognoni), Margherita (Nino Rizzo Nervo) e Rifondazione (Sandro Curzi). Se c’è una controversia con il direttore, di regola avviene questo: il cdr insorge, l’Usigrai fa una nota di protesta, i parlamentari amici fanno un interrogazione, la Vigilanza viene chiamata in causa, i consiglieri consanguinei sollevano il caso nel cda. Il tutto, quando il caso nasce e quando trova consacrazione ai vertici dell’azienda, viene annunciato e ricompreso da fiammate giornalistiche sui quotidiani interessati. Non solo l’Unità, che pure ai Tg della Rai dedica una rubrica giornaliera di Paolo Ojetti.
Mimun e Rossella
Assaggi di decapitazione mediatica per i direttori
del Tg1 e del Tg5
Rassegnati al fatto che i Ds conoscano e tentino di condizionare la scaletta di giornata (fino a impugnarla prima delle trasmissioni), i dirigenti in quota Cdl osservano l’intervento di Vannino Chiti come fosse uno sbarco di mezzi corazzati preceduto dai bivacchi del prodiano Piero Badaloni, del diessino David Sassoli e del super favorito alla successione di Mimun, Antonio Caprarica. Tutt’attorno si addensa la cauta vivacità di coloro che per riposizionarsi attendono le percentuali di consenso ottenute dai singoli partiti dell’Unione.
E con questo Carlo Rossella cosa c’entra? Da direttore del Tg di Canale 5, mai prima d’ora aveva subìto intimidazioni come quella di Chiti. Stavolta si gioca di cattiveria pure contro lui, già impegnato a fronteggiare la rivolta del vice Lamberto Sposini e le polemiche della sinistra che contesta i tempi concessi dal Tg5 ai candidati premier (ma lo fa dopo aver accorpato lo spazio istituzionale riservato al Berlusconi presidente del Consiglio con quello cui ha diritto in quanto leader del centrodestra). Quando ha visto Prodi soffrire sotto le domande all’americana dell’Annunziata, Rossella ha stabilito di concedergli il medesimo trattamento usato al Cav. la volta che aveva lasciato sola la Badessa: un servizio di cinque minuti per un frammento emblematico di campagna elettorale. A quel punto il solito Giulietti si è alterato, e nulla di nuovo. La sorpresa è giunta con l’aggressione di Chiti, segno che i Ds hanno giudicato troppo dannosa la raffigurazione di Prodi in difficoltà. Chi abbia avvicinato Rossella in queste ore dice che ha interpretato l’iniziativa dei Ds come un assaggio di decapitazione. Come un avvertimento laterale rivolto al capo di Mediaset, Fedele Confalonieri: occhio che se vinciamo la vostra azienda resta indifesa e noi pretenderemo la testa di Rossella, se non volete la guerra toglietelo voi di mezzo. La testa di Mimun ce l’hanno già perché gliel’ha offerta lui, pressato da ogni latitudine. Rossella ha ogni giorno a che fare con un sindacato interno duro e politicizzato, ma non irresponsabile. L’inquietudine deriva piuttosto dal fatto che il centrosinistra, dopo averlo sempre trattato con rispetto pure quando si trattava di criticarne il filoberlusconismo, adesso sta revocando anche a lui la patente di persona equilibrata. Si annuncia un Piazzale Loreto al Tg5, dunque? Chissà. Rossella ha decifrato come segno nefasto il fatto che domenica sera sia spirato il televisore della sua casa romana. Agli amici ha confidato che non intende acquistarne uno nuovo prima delle elezioni: in caso di trasloco forzato avrà un peso in meno da trasportare nella sua Pavia. La tv per adesso la guarda su Internet, e prima d’addormentarsi rilegge il Céline della “Trilogia del Nord” meditando una fuga verso la Danimarca.
da il Foglio