Prodi tenta il bis col manuale Dossetti
di Renato Farina
Conta di afferrare di nuovo il potere con i suoi, pur sapendo di essere una minoranza nella minoranza
Chi ha visto l’altra sera Romano Prodi a “Porta a porta” lo ha osservato molto in forma, praticamente felice. Diceva: «Altro che declino, l’Italia è crollata», ma invece di rattristarsi sembrava un gatto con il topo in bocca. E quel topo chi era? Secondo me somigliava un po’ a D’Alema e un po’ a Rutelli, o forse erano due topi. In Puglia alle primarie ha vinto un comunista e fregato un centrista? Ullallà, che goduria. Questo diceva la faccia.
È pazzesco come la televisione dica la verità, mentre uno pensa di fregare tutti. I quali tutti hanno invece capito benissimo: è questa poco santa alleanza con Rifondazione l’asso nella manica di Prodi per sbaragliare la concorrenza nel centrosinistra.Delle sue idee e programmi si è intuito solo il caposaldo: «Bertinotti è mio e lo gestisco io». Non ha spiegato che prezzo pagherà per questo (lo rivela oggi su Libero Francesco Forte). Ma si sente così forte e sicuro, grazie alle primarie che, pressato da Bruno Vespa e Carlo Rossella, in onore di Bertinotti ha sfoggiato linguaggi da comunista cinese: «Faremo un balzo in avanti». Nel fosso.
Sopporteranno questo disegno da Mao Tse Tung i portatori d’acqua, e cioè ds e rutelliani? Mah… Soprattutto il “Bello Guaglione” sta rendendosi conto che i due partiti maggiori della Gad sarebbero fatti fessi due volte: la prima perché regalerebbero la leadership a uno che è felice del loro ridimensionamento; secondo, perché con questo patto Prodi condurrebbe – come già spiegato da Feltri – a sonora sconfitta i progressisti. Vedremo che morsi daranno a Mortadella i due topi furenti.
Qui però vi spieghiamo cosa sta accadendo nella testa di Romano Prodi e del suo gruppetto di avanguardisti che contano di afferrare il potere come Lenin nel ’17.
Sanno di essere una minoranza della minoranza. Eppure contano di prendere loro il volante. Perché sono così sicuri? Hanno il manuale. Hanno i precedenti storici. Entrambi sono legati alla figura e alle opere del maestro indiscusso di costoro: don Giuseppe Dossetti.
Una grande personalità, forse un santo, di certo la versione cattolica del leninismo. Ha spiegato come fare la rivoluzione nella chiesa cattolica essendo un piccolo manipolo di partigiani. I suoi seguaci trasferiscono questo disegno in politica. Il prodismo è questo. Le prove?
a) Nicola Matteucci è il maggior filosofo liberale che abbiamo in Italia. Sta a Bologna, è del Mulino. Non offre teorie ma una testimonianza. Racconta: Romano Prodi è un dossettiano tiepido. Ma obbedisce alla moglie. Lo ha persino confessato al Corriere. Una persona intelligente, la moglie Flavia. Lei è dossettiana di ferro. Odia Berlusconi. Un giorno se ne usci con questa frase scandita: ”Io sono cat-to-co-muni-sta!”. In poche parole Matteucci ha spiegato cos’è il dossettismo. Matteucci condensa ulteriormente: «Presa del potere e antiamericanismo». Da questa seconda accusa, il professore si è sempre difeso sostenendo di essere discepolo e amico prediletto di Nino Andreatta, non certo dossettiano, e filoamericano quanto nessun nostro ministro della Difesa degli ultimi 50 anni, salvo Martino. Andreatta non può dir nulla, è in coma da molti anni. Matteucci però è sicuro: «È una balla questa vicinanza con Andreatta. Si rivolgeva a lui con distacco, dandogli del lei: “Senta Prodi”». E Dossetti? Si rivoltò contro De Gasperi per il Patto atlantico.
«Prodi riprende questo atteggiamento, e qui si incontra con Rifondazione».
2) Molti si sono chiesti: possibile che chi non capeggia un partito, possa come un John Wayne vecchio venir calato dal cielo con la carrucola per una cavalcare una coalizione? E com’è possibile farcela senza numeri? Soccorre proprio il dossettismo. Non importa essere maggioranza, basta essere la sintesi dello spirito dei tempi. E poi avere l’abilità procedurale per impossessarsi della locomotiva e dirigerla dove pare. Una simile teoria fu gia di Lenin, si trattava di osservare il movimento della Grande Ruota Rossa della storia, e cogliere il momento opportuno. Non c’è bisogno di essere molti, occorre essere astuti. Lenin riuscì.
C’è un libro rivelatore. Un colloquio con Dossetti (morto nel 1996) realizzato nel 1984 e pubblicato da poco (l’intervista è dei professori Leopoldo Ella e Pietro Scoppola). Il sacerdote riconosce di aver esercitato un influsso decisivo sul Concilio, essendo semplicemente un consigliere del cardinal Giacomo Lercaro, il quale era uno del quattro che “moderava” l’assise. Dichiara di «aver capovolto (pagina 106) le sorti di questo avvenimento capitale grazie alla sua conoscenza dei meccanismi assembleari. Spiega: «io agivo come un partigiano». Convinto che la verità sia con lui («Lo Spirito del Concilio»), constata che la maggioranza dei vescovi è tradizionalista. Nessun problema. Grazie alla sua “tecnica” delle procedure riesce a trascinarla verso esiti progressisti. Allo stesso modo, il meccanismo delle primarie, messo a punto in Puglia, e confortato dagli studi dell’altro dossettiano Arturo Parisi, è l’arte di capovolgere la sostanza della democrazia con un uso spregiudicato delle sue regole, e se non ci sono si inventano o si importano dagli Usa. Così una faccenda democraticissima come sono le primarie in America, per realizzare in Italia quanto di più antidemocratico ci sia. Facile. Le primarie sono la via per impossessarsi di un movimento di massa (il centrosinistra) usando una piccola minoranza pronta a mobilitarsi e a trascinare con sé volenti o nolenti amici e parenti.
Possibile che D’Alema, Fassino e Rutelli si facciano fregare da questi scherzi da prete? Prossimamente su questi schermi.
© Libero, 18 gennaio 2005