«Anche la pillola è abortiva. E chiede l’obiezione»
L’assai diffuso anticoncezionale a base di estrogeni e progesterone impedisce l’annidamento dell’embrione in utero. Questo effetto è noto fin dagli anni 50, ma parlarne resta un tabù e nessuno ha mai avuto interesse a compiere studi che quantificassero il fenomeno. Già il dubbio obbliga moralmente a una grande prudenza…
di Maria Luisa Di Pietro e Lucio Romano
Nel precedente numero di èVita è stata pubblicata la lettera di un farmacista dal titolo «Pillola anticoncezionale: io obietterei».
Abbiamo letto con grande attenzione l’intervento del dr. Pucci e non possiamo che concordare sul fatto che parlare del possibile effetto abortivo della pillola estroprogestinica sia considerato, oggi, una sorta di tabù. Non vi è d’altra parte alcun interesse a che l’opinione pubblica venga edotta su questo punto. Questo fatto non desta meraviglia in un contesto scientifico e culturale che – pur di negare l’effetto abortivo della cosiddetta ‘contraccezione d’emergenza’ – ha accettato che si modificassero i connotati della gravidanza. Infatti, il tempo compreso tra la fecondazione e il parto, la gravidanza, viene oramai presentata come il periodo che va dall’annidamento dell’embrione in utero al parto. Ne consegue che un prodotto, che agisce prima dell’annidamento dell’embrione in utero, non dovrebbe essere più considerato un abortivo.
Eppure la possibilità di un effetto abortivo della pillola estroprogestinica, mediante impedimento dell’annidamento dell’embrione in utero, è iscritto nello stesso DNA della pillola. Già negli anni ’50, durante le prime sperimentazioni, era stato evidenziato come il suo meccanismo di azione non fosse dovuto solo alla prevenzione dell’ovulazione e alla modificazione del muco cervicale, ma anche all’alterato trasporto dell’embrione nella tuba e all’impedimento del suo impianto e del suo sviluppo. Questo potenziale abortivo potrebbe essere addirittura aumentato nelle pillole di ultima generazione a causa del sempre più forte sbilanciamento del rapporto tra la quota estrogenica e la quota progestinica.
La questione nodale è, però, la seguente. Al momento attuale l’eventuale presenza di un effetto abortivo va dedotto dalla rilevazione di ‘ciò che manca’: ovvero, quante ovulazioni ‘scappano’al controllo della pillola estroprogestinica? Quante volte fallisce il meccanismo di barriera del muco cervicale? Quante volte vengono alterate la morfologia e la funzionalità dell’endometrio? Alla luce di questi dati si può, poi, calcolare il possibile numero di gravidanze durante l’assunzione della pillola estroprogestinica. Per valutarne la potenzialità abortiva sarà, poi, necessario confrontare il numero delle possibili fecondazioni con il numero delle gravidanze che si verificano durante l’assunzione della stessa.
Disporre di un indice diretto per quantificare le avvenute fecondazioni e gli eventuali aborti dopo assunzione della pillola estroprogestinica consentirebbe, ovviamente, di dirimere la questione.
Non sono stati, però, mai eseguiti studi con marcatori precoci di gravidanza come, ad esempio, l’Epf (Early Pregnancy Factor), un fattore che ha funzioni di immunomodulazione e che svolge un ruolo importante nell’annidamento dell’embrione in utero. L’Epf si positivizza nella donna entro 12-16 ore dalla fecondazione. Di conseguenza, una variazione di Epf potrebbe indicare una fecondazione avvenuta: se a questo non fa seguito – dopo la somministrazione della pillola estroprogestinica – l’annidamento dell’embrione in utero, non si avrà il rialzo della beta hCG con l’indicazione, quindi, che tale annidamento è stato ostacolato e si è verificato un aborto.
Il solo dubbio che la pillola estroprogestinica abbia anche un’azione abortiva obbliga moralmente ad una grande prudenza. Si corre il rischio, infatti, di sopprimere un essere umano.
E il solo dubbio – supportato comunque da valutazioni statistiche – è già motivo sufficiente per sollevare obiezione di coscienza.
AVVENIRE 22 novembre 2007