Più teatri che templi. W la secolarizzazione!

Il sacro profano

Le chiese erano uno spettacolo di simboli, quelle d’oggi sono anonimi luoghi d’incontro

di Francesco Agnoli

Entrando in una chiesa moderna, di quelle costruite negli ultimi trent’anni, lo sguardo del cristiano si smarrisce: è forse la casa di Dio, questa? “Ecce ianua  coeli”, ecco la porta del cielo, veniva scritto sul portone centrale di alcune cattedrali, romaniche o gotiche. E su quella francese di Mozat: “Tu che entri, guarda verso il cielo”. Al di là di quelle porte, strombate, decorate con bassorilievi, incorniciate da leoni stilofori e da eleganti protiri, vi era infatti lo spazio sacro, distinto, diverso da quello profano, e cioè, etimologicamente, da quello al di fuori del tempio. Tempio e piazza si guardavano, l’uno di fronte all’altro, l’uno diverso ma comunicante con l’altro. Sin dall’antichità infatti il luogo di culto deve avere una collocazione e un valore particolari: in India, ad esempio, la pietra di base viene collocata in un luogo specifico, identificato dal geomante come punto cosmico. Nel mondo cristiano la chiesa imita la Gerusalemme celeste dell’Apocalisse: è rivolta, di solito, a est, come in Grecia, per lasciare che il sole che sorge dall’oriente, immagine di Cristo, entri ogni nuovo giorno a illuminare l’abside. Al mattino i monaci si alzano a cantare, per salutare il Sol Salutis, mentre al crepuscolo sono i raggi del Sol Iustitiae, che giunge a giudicare alla sera del mondo, a penetrare nel tempio. Così le chiese per venti secoli parlano all’uomo colto e all’analfabeta col linguaggio dei segni e dei simboli: con la sua forma a croce, ad esempio, la chiesa ricorda il corpo di Cristo, al punto che talora l’asse dell’abside è inclinato rispetto a quello della navata centrale, proprio come la testa del Crocifisso. Ma ricorda anche la forma dell’uomo, tempio di Dio, armonia di parti simmetriche e proporzionate. Tutta la struttura converge verso un centro, l’altare: esso è di pietra, “la pietra angolare”, la “pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio” (1 Pt. 2, 4- 6); di pietra come l’altare degli olocausti nel tempio di Gerusalemme. Sotto l’altare, nei templi romanici, vi è una cripta, a significare che la Chiesa militante poggia fisicamente e spiritualmente sulle ossa e sul sangue dei suoi martiri, della sua storia, della Chiesa trionfante. L’altare si trova così a essere sopraelevato rispetto alla navate. Questa montagna luminosa è come la chiesa di Montmartre o di Saint Michel, e richiama le montagne sacre dell’Antico e del Nuovo Testamento: il Sinai, dove Mosè riceve le tavole della legge; il Carmelo, dove Elia incontra l’Eterno, il Tabor della Trasfigurazione, e, soprattutto, il Golgota, su cui Cristo muore sulla croce. E sopra la cripta, sopra la pietra dell’altare, centro simbolico del mondo, si eleva la cupola, azzurra, stellata, a significare l’unione tra il corpo (rappresentato dal quadrato del tamburo) e l’anima ( simboleggiata dalla perfezione del cerchio), tra la terra e il cielo. Scrive infatti San Gregorio Magno: “Nell’ora del sacrificio, alla voce del sacerdote, i cieli si aprono… a questo Mistero partecipano anche i cori angelici… il cielo e la terra si uniscono, il visibile e l’Invisibile divengono una cosa sola”. E san Massimo Confessore scrive: “E’ cosa davvero mirabile che, nella sua piccolezza, questo tempio sia simile al vasto mondo… Ecco che la sua copertura è tesa come i cieli, ornata da mosaici d’oro come il firmamento lo è da stelle brillanti. Ed ecco che la sua cupola elevata è paragonabile al cielo dei cieli. I suoi archi, vasti e splendidi, assomigliano inoltre, per la varietà dei colori, all’arco glorioso, quello delle nubi”. Infine, sulle pareti della chiesa, le statue, gli affreschi, i dipinti: accanto al simbolo, all’eterno, la storia, i fatti, le vicende umane e terrene di un Dio fattosi carne, e dei suoi seguaci. 
La desacralizzazione dello spazio
Poi, con l’avvento del protestantesimo, tutti questi significati perdono importanza: la Santa Messa diviene un memoriale, solo cena e non più sacrificio, solo ricordo e non più riattualizzazione di un evento. La chiesa non è più immagine della Gerusalemme celeste, ma solo luogo d’incontro della comunità: nessun “lusso”, nessuna grandiosità, nessuno sfoggio di paramenti, di canti, di cerimonie, di simboli, prescrivono riformatori come Zwingli e Carlostadio. E’ una rivoluzione teologica e artistica destinata a modificare, a poco a poco, anche il mondo cattolico. Perquesto le nuove chiese, le più moderne, si presentano a noi come negazione di una storia e di un modo di concepire l’arte. Più teatri che templi, più luoghi, solo, di ritrovo, comunitari, che luoghi dell’incontro con Cristo, con la Divinità. E’ la secolarizzazione penetrata, anche fisicamente, negli“spazi” sacri.

Il Foglio 10 marzo 05