(Corrispondenza romana) La morte del cardinale cileno Juan Francisco Fresno, che negli anni in cui fu arcivescovo di Santiago fu protagonista di quel dialogo tra il regime di Pinochet e l’opposizione che portò al passaggio ad un regime democratico, ha dato occasione al giornale cileno “El Mercurio” (17 ottobre 2004) di pubblicare una fra le interviste, concesse nel 2000 alla storica Patricia Arancibia Clavel dell’Università di Finisterrae, che, per volontà del cardinale stesso, erano rimaste segrete fino alla sua morte. In una di queste interviste, il porporato rievoca lo scontro avuto nel settembre 1973 con Papa Paolo VI, pochi giorni dopo il colpo di Stato di Pinochet, quando era arcivescovo di La Serena.
In quei giorni caldi, il nunzio apostolico a Santiago e l’ambasciatore cileno presso la Santa Sede avevano informato la Segreteria di Stato che il colpo di Stato era stato provocato dal regime dittatoriale e di terrore che il socialista Salvador Allende, temendo di perdere il potere, aveva imposto alla popolazione, e che “c’era stata una pressione molto forte della società civile sui militari”, affinché prendessero in mano la situazione prima che si cadesse nell’anarchia. Ma Paolo VI, racconta mons. Fresno, lo convocò d’urgenza per esporgli la sua indignazione ed ostilità verso Pinochet: “aveva un senso politico piuttosto forte e considerava, con orrore, che il colpo di Stato dei militari rischiava d’interrompere drasticamente ogni via verso la democrazia; il caso cileno poteva avere una grave ripercussione sulle altre democrazie dell’America Latina”.
L’intervistatore chiede al cardinale se il Papa non fosse preoccupato del fatto che il Cile aveva rischiato di cadere sotto una dittatura marxista, e il prelato risponde: “Le racconto una cosa molto dura, molto difficile. Il Papa mi disse che stava per scrivere una sentenza di scomunica contro quei militari che si erano impegnati nel colpo di Stato”. Mons. Fresno restò allibito e contestò l’opportunità di un provvedimento così drastico e inedito: “Ho parlato molto duramente. Mi sembrava che facendo una cosa del genere non si operasse con giustizia; mi pareva una offesa fatta al Cile”. Il prelato ricordò al Papa che la stessa DC cilena aveva visto di buon occhio il colpo di Stato, che sbloccava una situazione diventata insostenibile.
Dopo un lungo confronto, Paolo VI cedette: “E va bene, non lo farò”, fu la sua conclusione. Le ragioni della prudenza avevano infine prevalso su quelle ideologiche, che all’epoca erano alimentate presso il Papa da Raul Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago e primate cileno, che era molto amico di Allende e di Fidel Castro e che promuoveva la teologia della liberazione in America Latina. (CR 882/04 del 25/12/04)
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