PONTIFICIA ACADEMIA PRO VITA
23 marzo 2006
In occasione della sua XII Assemblea Generale, la Pontificia Accademia per la Vita (PAV) ha celebrato un Congresso internazionale sul tema “L’embrione umano nella fase del preimpianto. Aspetti scientifici e considerazioni bioetiche“. Al termine dei lavori svolti, la PAV desidera offrire alla comunità ecclesiale ed alla società civile nel suo insieme alcune considerazioni su quanto è stato oggetto della sua riflessione.
1. A nessuno sfugge come gran parte del dibattito bioetico contemporaneo, soprattutto in questi ultimi anni, si sia concentrato attorno alla realtà dell’embrione umano, sia egli considerato in se stesso oppure in relazione all’agire degli altri esseri umani nei suoi confronti; ciò si spiega bene dal momento che le molteplici implicazioni (scientifiche, filosofiche, etiche, religiose, legislative, economiche, ideologiche, ecc.) legate a questi ambiti inevitabilmente finiscono per catalizzare differenti interessi, oltre che attirare l’attenzione di chi è alla ricerca di un agire etico autentico.
Diventa perciò ineludibile affrontare un quesito di fondo: “Chi o cosa è l’embrione umano?”, per poter derivare da una risposta fondata e coerente a tale domanda criteri d’azione che siano pienamente rispettosi della verità integrale dell’embrione stesso.
A tal fine, secondo una corretta metodologia bioetica, è necessario innanzitutto volgere lo sguardo ai dati che la più aggiornata scienza mette oggi a nostra disposizione, consentendoci di conoscere in gran dettaglio i diversi processi attraverso i quali un nuovo essere umano inizia la sua esistenza. Tali dati dovranno poi essere sottoposti all’interpretazione antropologica, al fine di evidenziarne i significati ed i valori emergenti, ai quali, infine, fare riferimento per derivare le norme morali dell’agire concreto, della prassi operativa.
2. Alla luce, dunque, delle acquisizioni più recenti dell’ embriologia è possibile fissare alcuni punti essenziali universalmente riconosciuti:
a) Il momento che segna l’inizio della esistenza di un nuovo “essere umano” è rappresentato dalla penetrazione dello spermatozoo nell’ovocita. La fecondazione induce tutta una serie di eventi articolati e trasforma la cellula uovo in “zigote”. Nella specie umana entrano all’interno dell’ovocita il nucleo dello spermatozoo (compreso nella testa) e un centriolo (il quale avrà un ruolo determinante nella formazione del fuso mitotico all’atto della prima divisione cellulare); la membrana plasmatica resta all’esterno. Il nucleo maschile subisce profonde modificazioni biochimiche e strutturali che dipendono dal citoplasma ovulare e che vanno a predisporre la funzione che il genoma maschile inizierà subito a svolgere. Si assiste infatti alla decondensazione della cromatina (indotta da fattori sintetizzati nelle ultime fasi dell’ovogenesi) che rende possibile la trascrizione dei geni paterni.
L’ovocita, dopo l’ingresso dello spermatozoo, completa la sua seconda divisione meiotica ed espelle il secondo globulo polare, riducendo il suo genoma ad un numero aploide di cromosomi al fine di ricostituire insieme ai cromosomi portati dal nucleo maschile il cariotipo caratteristico della specie. Al tempo stesso esso va incontro ad una “attivazione” dal punto di vista metabolico in vista della prima mitosi.
E’ sempre l’ambiente citoplasmatico dell’ovocita ad indurre il centriolo dello spermatozoo a duplicarsi, costituendo così il centrosoma dello zigote . Tale centrosoma si duplica in vista della costituzione dei microtubuli che comporranno il fuso mitotico.
I due set cromosomici trovano il fuso mitotico già formato e si dispongono all’equatore in posizione di metafase. Seguono le altre fasi della mitosi ed alla fine il citoplasma si divide e lo zigote dà vita ai primi due blastomeri.
L’attivazione del genoma embrionale è probabilmente un processo graduale. Nell’embrione unicellulare umano sono già attivi 7 geni, altri sono espressi nel passaggio dallo stadio di zigote a quello a due cellule.
b) La biologia, e più in particolare l’embriologia, forniscono la documentazione di una definita direzione di sviluppo: ciò significa che il processo è “orientato” – nel tempo – nella direzione di una progressiva differenziazione e acquisizione di complessità e non può regredire su stadi già percorsi.
c) Un ulteriore punto acquisito con le primissime fasi di sviluppo è quello dell’”autonomia” del nuovo essere nel processo di autoduplicazione del materiale genetico.
d) Strettamente correlate alla proprietà della “continuità” sono anche le caratteristiche di “gradualità” (il passaggio necessitato nel tempo da uno stadio meno differenziato a quello più differenziato) e di “coordinazione” dello sviluppo (esistenza di meccanismi che regolano in un insieme unitario il processo di sviluppo). Queste proprietà – all’inizio quasi trascurate nel dibattito bioetico – vengono sempre più considerate importanti in epoca recente, a motivo delle progressive acquisizioni che la ricerca offre sulla dinamica dello sviluppo embrionale anche allo stadio di “ morula” che precede la formazione della blastocisti. L’insieme di queste tendenze costituisce la base per interpretare lo zigote già come un “organismo” primordiale (organismo monocellulare) che esprime coerentemente le sue potenzialità di sviluppo attraverso una continua integrazione dapprima fra i vari componenti interni e poi fra le cellule cui dà progressivamente luogo. L’integrazione è sia morfologica che biochimica. Le ricerche in corso già da qualche anno non fanno che apportare ulteriori “prove” di queste realtà.
3. Tali acquisizioni della moderna embriologia necessitano di essere sottoposte al vaglio dell’interpretazione filosofico-antropologica per poter cogliere la preziosità valoriale che ogni essere umano, pur allo stadio embrionale, porta con sé ed esprime. Si tratta, dunque, di affrontare la questione basilare dello status morale dell’embrione.
È noto come, tra le varie proposte ermeneutiche presenti nel dibattito bioetico attuale, siano stati indicati diversi momenti dello sviluppo embrionale umano a cui legare l’attribuzione di un suo status morale, accampando spesso ragioni fondate su criteri “estrinseci” (partendo cioè da fattori esterni all’embrione stesso). Ma tale modo di procedere non risulta essere idoneo ad identificare realmente lo status morale dell’embrione, dal momento che ogni possibile giudizio finisce per basarsi su elementi del tutto convenzionali ed arbitrari.
Per poter formulare un giudizio più oggettivo sulla realtà dell’embrione umano e dedurne, quindi, delle indicazioni etiche, bisogna piuttosto prendere in considerazione dei criteri “intrinseci” all’embrione stesso, a cominciare proprio dai dati che la conoscenza scientifica mette a nostra disposizione. A partire da essi, si può asserire che l’embrione umano nella fase del preimpianto è: a) un essere della specie umana; b) un essere individuale; c) un essere che possiede in sé la finalità di svilupparsi in quanto persona umana ed insieme la capacità intrinseca di operare tale sviluppo.
Da tutto ciò si può concludere che l’embrione umano nella fase del preimpianto sia già realmente una “persona”? È ovvio che, trattandosi di un’interpretazione filosofica, la risposta a tale interrogativo non sia di “fede definita” e rimanga aperta, in ogni caso, ad ulteriori considerazioni.
Tuttavia, proprio a partire dai dati biologici disponibili, riteniamo non esservi alcuna ragione significativa che porti a negare l’essere persona dell’embrione, già in questa fase. Naturalmente, ciò presuppone un’interpretazione del concetto di persona di tipo sostanziale, riferita cioè alla stessa natura umana in quanto tale, ricca di potenzialità che si esprimeranno lungo tutto lo sviluppo embrionale e anche dopo la nascita. A supporto di tale posizione, va osservato come la teoria dell’animazione immediata, applicata ad ogni essere umano che viene all’esistenza, si mostri pienamente coerente con la sua realtà biologica (oltre che in “sostanziale” continuità col pensiero della Tradizione). “Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre. Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo” recita il Salmo (Sal 139,13-14), riferendosi all’intervento diretto di Dio nella creazione dell’anima di ogni nuovo essere umano.
Dal punto di vista morale, poi, aldilà di ogni considerazione sulla personalità dell’embrione umano, il semplice fatto di essere in presenza di un essere umano (e sarebbe sufficiente persino il dubbio di trovarsi alla sua presenza) esige nei suoi confronti il pieno rispetto della sua integrità e dignità: ogni comportamento che in qualche modo possa costituire una minaccia o un’offesa per i suoi diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto alla vita, è da considerarsi come gravemente immorale.
In conclusione, desideriamo fare nostre le parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato nel suo indirizzo al nostro Congresso : “L’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26). Non fa differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito, in cui “ci ha scelti prima della creazione del mondo, … predestinandoci a essere suoi figli adottivi … secondo il beneplacito della sua volontà” (Ef 1,4-6)”. (Benedetto XVI, Ai partecipanti all’assemblea generale della Pontificia Accademia per la Vita e al Congresso internazionale “L’embrione umano nella fase del preimpianto”, 27/2/2006).
(Pubblicato in “L’Osservatore Romano” di Giovedì 23 marzo 2006, pag.6)