Orientamento sessuale, l’agenda nascosta della Francia
La mozione promossa all’ONU dalla Francia su “orientamento sessuale e identità di genere”, e firmata in dicembre da 66 stati membri delle Nazioni Unite è il tentativo di attuare il progetto contenuto in un documento del 2006 molto controverso e noto come i “Princìpi di Yogyakarta”.
La mozione promossa all’ONU dalla Francia su “orientamento sessuale e identità di genere”, e firmata in dicembre da 66 stati membri delle Nazioni Unite è il tentativo di attuare il progetto contenuto in un documento del 2006 molto controverso e noto come i “Princìpi di Yogyakarta”.
I “Princìpi di Yogyakarta” hanno lo scopo dichiarato di gestire “l’applicazione delle leggi internazionali sui diritti umani in relazione all’orientamento sessuale e identità di genere”. I promotori asseriscono che i princìpi di Yogyakarta vincolano gli stati a nuovi standard legali anche se il documento di Yogyakarta non nasce da un accordo fra governi ma dai gruppi di pressione omosessuali e dai burocrati dell’ONU.
Alcuni delegati europei hanno detto al “Friday Fax” che la bozza originale del documento francese dibattuto internamente tra i paesi dell’Unione Europea, si riferiva esplicitamente ai "Princìpi di Yogyakarta”, ma che Irlanda, Malta e Polonia hanno insistito perché il riferimento venisse tolto.
Malgrado la correzione apportata nella versione finale della proposta francese, il ministro degli esteri olandese Maxime Verhagan, uno dei principali sostenitori, ha legato esplicitamente la mozione al documento di Yogyakarta. Inoltre, a un successivo incontro dell’ONU su “Diritti umani, Orientamento sessuale e Identità di genere”, Verhagan ha affermato che il suo governo sostiene i “Princìpi di Yogyakarta” e invita anche “tutti gli altri stati ad accettare questi princìpi”.
Anche il membro della Commissione per i Diritti Umani, Michael O’Flaherty, ha fatto esplicito riferimento ai Princìpi di Yogyakarta per definire i concetti di “orientamento sessuale” e “identità di genere” che appaiono nel documento promosso dalla Francia.
I Princìpi definiscono “orientamento sessuale” come “la capacità di ciascuna persona di provare un’attrazione sessuale profonda, emotiva e affettiva e di avere relazioni intime e sessuali con individui di un genere diverso, dello stesso genere o di più di un genere”. “Identità di genere” è invece definita come “l’esperienza di genere individuale e interiore profondamente sentita da ogni persona, che non necessariamente corrisponde al sesso assegnato alla nascita, incluso il senso personale del corpo (che può coinvolgere, se liberamente scelta, la modifica della funzione o dell’apparenza corporea per mezzo di interventi medici, chirurgici o altro) e altre espressioni di genere, quali il vestire, il parlare e le movenze”.
I critici rilevano come i riferimenti contenuti nei Princìpi di Yogyakarta laddove affermano ostentatamente la libertà di opinione ed espressione “senza riguardo all’orientamento sessuale o all’identità di genere”, in realtà limitano la libertà di parola, dato che gli stati sono invitati ad “assicurare che l’esercizio della libertà di opinione ed espressione non violi i diritti e le libertà di persone di diverso orientamento sessuale e di identità di genere”. Esemplari al proposito gli ostacoli creati al diritto dei predicatori cristiani in Canada e Svezia di pronunciarsi sulla peccaminosità degli atti omosessuali: ciò fa presagire cosa potrebbe accadere se i Princìpi di Yogyakarta venissero applicati più largamente.
I tre paesi europei che hanno ottenuto la rimozione del riferimento a Yogyakarta erano già stati decisivi in passato per rompere il consenso della UE, come ad esempio nella “Commissione 2008 sullo stato delle donne”, dove Irlanda, Polonia e Malta si sono dissociate dal linguaggio favorevole al diritto all’aborto promosso da altre nazioni europee.
Ma alcuni delegati contrari alla mozione francese, avrebbero comunque preferito che restasse il riferimento a Yogyakarta, perché la semplice rimozione fa sì che l’agenda radicale venga così mascherata e venga data una copertura a quei paesi, come nel caso dell’America Latina, che hanno un elettorato socialmente conservatore ma che desiderano essere considerati “progressisti” sostenendo la mozione francese.
di Piero A. Tozzi
SVIPOP 2-1-2009