No all’emendamento anti-aborto proposto dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite

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Durante la Sessione sulla condizione delle donne a dieci anni dalla conferenza di Pechino


NEW YORK, venerdì, 4 marzo 2005 (ZENIT.org).- Non è passato l’emendamento anti-aborto proposto dagli Stati Uniti nella prima settimana della 49ª Sessione della Commissione sulla Condizione delle Donne (Commission on the Status of Women – CSW) delle Nazioni Unite. L’emendamento spiegava che la Piattaforma per l’Azione, il documento adottato alla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne tenutasi a Pechino nel 1995, non dovrebbe stabilire nuovi diritti umani, incluso “il diritto all’aborto”.

La scorsa settimana, alla vigilia di questa Sessione, inaugurata il 28 febbraio, le Nazioni Unite hanno deciso di pubblicare la bozza di una breve dichiarazione nella quale si impegnavano ad implementare la Piattaforma per l’Azione.


Con questo documento di 150 pagine, i Paesi allora riunitisi nella capitale cinese stabilivano una agenda di interventi volti ad incrementare l’uguaglianza fra i sessi, e l’attribuzione di maggiore potere decisionale e responsabilità alle donne.


“La vera minaccia è che, nel riaffermare Pechino, si faccia una forte aggiunta al diritto internazionale consuetudinario, soprattutto quando questo viene male interpretato da così tanta gente, che pensa che includa un ‘diritto internazionale delle donne ad abortire’ mentre non è mai stato così”, aveva affermato nei giorni scorsi Jeanne Head, rappresentante delle Nazioni Unite per l’International Right to Life Federation.


In una conferenza stampa svoltasi questo venerdì mattina, l’Ambasciatrice statunitense per la CSW, Ellen Sauerbrey, ha affermato che gli Stati Uniti rinunceranno all’emendamento e daranno il proprio consenso al documento.


Nonostante questo, ha tenuto a far sapere che gli Stati Uniti “hanno raggiunto ciò che volevano raggiungere”, perché ora c’è un consenso generalizzato sul fatto che nessun nuovo diritto internazionale verrà implementato come risultato del documento di Pechino, che è la chiarificazione che gli U.S.A. auspicavano.


Al termine della conferenza stampa, ZENIT ha parlato con la rappresentante della United States Pro-Family Coalition, Jo Ellen Murphy.


Secondo quanto affermato dalla Murphy, gli Stati Uniti hanno sostenuto che “i delegati sono giunti a questa conferenza senza aver chiaro che il Piano per l’Azione di Pechino non dà un diritto all’aborto, né crea alcun nuovo diritto umano internazionale”.


La rappresentante ha spiegato che la “ragione per l’introduzione dell’emendamento era affrontare le grandi preoccupazioni degli Stati Uniti sul fatto che ci fosse stato un considerevole fraintendimento relativo al documento di Pechino nel corso del tempo”.


E’ stato un bene, quindi, aver fatto presenti queste preoccupazioni, ha affermato la Murphy, “perché ora vari Stati sono d’accordo ed affermano che non c’è bisogno di alcun emendamento poiché questo è già il loro modo di interpretare il documento, che non crea un nuovo diritto umano come l’aborto”.


La Murphy ha anche affermato di vedere in quanto è accaduto un successo per il movimento pro-vita, che è servito anche a risollevare il morale dopo lo scontento di ieri in seguito alla riunione, a suo avviso, sfavorevole al protocollo americano.


“Gli Stati Uniti hanno richiesto una riunione informale per vedere la posizione dei Paesi sulla dichiarazione, ma il Presidente – che ha il potere di riconoscere solo chi vuole – ha riconosciuto soltanto i gruppi di Paesi più importanti come l’Unione Europea, che si sono tutti espressi contro, e ogni volta sono stati applauditi in modo inappropriato”.


“Questo non ha lasciato spazio ad ulteriori discussioni, per cui le delegazioni a favore della dichiarazione, come quella della Santa Sede e del Pakistan, sono state ignorate dal Presidente”.


La Murphy ha ancora dichiarato a ZENIT che questa rappresentanza sbilanciata colpisce le delegazioni, affermando che sembra ci sia molta confusione tra i Paesi a causa delle barriere linguistiche nelle riunioni informali e per la mancanza di diffusione di informazioni.


“Ho parlato con la guida della delegazione della Nigeria e mi ha detto di non aver nemmeno visto la dichiarazione, ed era giovedì – la fine della prima settimana”.


Un’altra questione che le ONG pro-vita come la sua hanno cercato di cambiare, ha affermato, è il fatto che “molti Paesi non sappiano che un diritto umano internazionale può essere raggiunto nel tempo solo attraverso il cambiamento di linguaggio nel diritto internazionale consuetudinario”.


Come risultato dell’incoraggiamento da parte di queste ONG, gli altri Paesi hanno avuto venerdì una opportunità in più per parlare e riaffermare le loro riserve o confermare il loro consenso sul fatto che la Piattaforma per l’Azione non crei un nuovo diritto umano internazionale.


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