Mons Maggiolini: la verità vale più della democrazia

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LA VERITÀ VALE PIÙ DELLA DEMOCRAZIA

di Mons. Alessandro Maggiolini,

Vescovo emerito di Como


Le osservazioni che pongo in questo intervento possono sembrare elementari, perfino semplicistiche. Eppure stanno alla base di una valutazione della democrazia come metodo per giungere alla verità. Dire democrazia significa parlare di un metodo per stabilire la verità: un metodo dove la verità è fissata dalla maggioranza dei pareri delle persone che compongono una società.

Se cento cittadini concorrono a esprimere il loro parere su una questione, non è necessario che tutti concordino nella loro espressione di opinione: basta la maggioranza; basta, cioè, che 51 manifestino una medesima posizione su un problema, per affermare che quella soluzione deve essere considerata quella giusta. Non servono tanto le ragioni che si portano per giustificare il proprio parere: basta che si manifesti il proprio parere. Né ha molta attinenza con la verità dell’opinione espressa il fatto che coloro che la pensano diversamente siano tanti o pochi. Il metodo democratico può sembrare sbrigativo, ma un solo voto può decidere un problema anche di grave portata.
Ciò non significa che la consistenza di un’opinione si misuri con il pallottoliere: la quantità delle opinioni non misura la verità delle opinioni stesse. Se in uno Stato si decidesse che la pena di morte è legittima almeno in alcuni casi, o che debbano essere legalizzati l’omicidio, la rapina o la soppressione della vita nel caso di una malformazione fisica, questa decisione, anche se assunta a pieni voti, non dovrebbe avere nessun valore. La verità prevale sulla libertà dei singoli. Per impedire che una maggioranza di persone – magari stragrande – eserciti il potere in maniera indiscriminata, si deve ammettere che esistono alcune verità le quali – ci si esprima con le parole di Benedetto XVI – sono «indisponibili», vale a dire non possono essere messe ai voti, non dipendono dalla maggioranza dei pareri che le appoggiano. Ciò fa capire che deve esistere una verità più forte del voto della maggioranza: una verità in base alle quale, per esempio, far morire un uomo innocente, anche se malato gravemente, è un orribile ingiustizia.

Può sembrare macchinosa questa procedura democratica contemporanea; eppure essa si propone come l’alternativa più valida o semplicemente valida, nel caso in cui la verità sia considerata meno importante della volontà della maggioranza. La democrazia post-moderna si apre così gradatamente – quasi insensibilmente – al relativismo e allo scetticismo. Finché nella società vigevano ancora i valori e i principi morali e religiosi intangibili, tali valori e principi si ponevano come limite invalicabile alla iniziativa umana: alla libertà non normata da verità incontrovertibili.

I fondatori dello Stato democratico moderno non avrebbero potuto stendere alcuna Dichiarazione di Indipendenza e di Tutela dei Diritti umani, se al fondo non avessero affermato la «verità dell’uomo»: una verità non arbitraria, ma riconosciuta grazie all’esistenza della legge naturale completata dalla legge rivelata: la verità, in altri termini, è più solida e fondante di una libertà senza norme. Se non si è più che attenti la democrazia si orienta a diventare la «dittatura del relativismo», come si esprime Papa Ratzinger: la democrazia è la forma moderna della Torre di Babele, il simbolo della umanità che si sgancia dal riferimento all’autorità che proviene da Dio, per affermare che «il potere appartiene al popolo».

Queste considerazioni possono apparire ostiche a coloro che cedono a una sorta di sub-pensiero contemporaneo: la democrazia – comunque la si intenda – sarebbe da interpretare come un bene assoluto messo nelle mani degli uomini. E, anche nel nome di una laicità fortemente intrisa di anticattolicesimo e di odio per la religione, si avvia a diventare l’unico elemento «assoluto» – «divino» si direbbe – della cultura contemporanea.

Per cui, si profila per il secolo che inizia uno scontro di civiltà che schiera da un lato la Chiesa e tutti i cattolici che riconoscono la necessità di ancorare il metodo democratico a una verità intangibile dell’uomo; dall’altro, le democrazie relativistiche e nichilistiche, per esempio dell’Unione Europea, che predicano e diffondono il verbo dello scetticismo. Si pensi ai problemi della bioetica.

Si pensi alla potenza pseudo-democratica che possono avere gli strumenti di comunicazione di massa che formano (in chiave vagamente gramsciana) la mentalità corrente. L’impegno per gli uomini di buona volontà si profila chiaro.

Il Giornale n. 186 del 2007-08-08