Metà delle moschee italiane agli integralisti

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L’ITALIA SOTTO IL SEGNO DELLA  MEZZALUNA

Su 612 luoghi di culto islamico in Italia, 285 subiscono l’influenza degli imam oltranzisti. Fomentano l’odio verso lo stile di vita occidentale. Milano, Napoli e Bologna tra i centri più attivi. Il presidente dell’associazione delle comunità straniere: «Ma ora la Puglia è la regione dove si reclutano più adepti»…

Metà delle moschee italiane
sono in mano agli integralisti islamici


I predicatori sono per lo più salafiti. I soldi arrivano da Pakistan e Iran. Su 612 luoghi di culto islamico in Italia, 285 subiscono l’influenza degli imam oltranzisti. Fomentano l’odio verso lo stile di vita occidentale. Milano, Napoli e Bologna tra i centri più attivi. Alla Digos il video di “Annozero”
È una minoranza piccola, ma sempre più attiva. E, soprattutto, inspiegabilmente ricca. I soldi non sono mai un problema se si tratta di diffondere l’Islam fondamentalista. Le sconvolgenti immagini filmate clandestinamente qualche giorno fa non costituiscono una peculiarità di Torino. Ogni venerdì prediche di analoga violenza verbale vengono pronunciate in ogni regione.
Circa metà delle moschee nel nostro Paese sono controllate da imam oltranzisti: per l’esattezza 285 su un totale di 612. Lo rivela al Giornale il professor Habib Sghaier, un demografo di origine tunisina, presidente dell’Associazione comunità stranieri in Italia (Acsi) e membro della Consulta nazionale dell’immigrazione. Ne trovi a Milano, Lodi, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, in Veneto e, soprattutto, in Puglia. «È questa la regione dove è reclutato il maggior numero di adepti», spiega.
Molti di loro vengono spediti a combattere la Guerra Santa in Kosovo, in Cecenia, in Afghanistan; altri restano da noi a propagare un Verbo delirante, secondo cui «la democrazia è fonte di tutti i mali e di tutti i vizi», gli occidentali sono «popoli corrotti che diffondono la sodomia, i matrimoni tra gay e lesbiche», Israele «una realtà criminale, la nazione di porci e scimmie». Secondo questi predicatori – per lo più salafiti, che predicano il ritorno all’Islam delle origini – le ragazze senza velo «finiranno all’inferno» e guai a partecipare al rito di San Valentino, perché «non è la festa degli innamorati, ma il giorno dell’immoralità e della prostituzione».
Nel Corano non c’è una riga di queste nefandezze e nemmeno nei testi dell’Islam sunnita autorevole, come quello dell’Università Al Azhar del Cairo, ma gli estremisti non se ne curano. D’altronde qualcuno li ispira e li finanzia. Quando chiedi agli imam come possano acquistare o affittare garage che poi vengono trasformati in moschee e quale sia la loro fonte di sostentamento, rispondono: con le offerte dei fedeli. «Ma questa versione non regge – osserva Sghiaer -. Solo una minoranza degli immigrati musulmani frequenta le moschee e in ogni caso guadagnano poco, meno di mille euro al mese. È inverosimile che i loro oboli siano sufficienti a finanziare gli imam».
Provvede qualcun altro, dall’estero: Arabia Saudita, Pakistan, Emirati del Golfo, Iran. Un flusso costante. E con i soldi arrivano mullah, mujaheddin, propagandisti. Stanno nel nostro Paese poche settimane, passando da una moschea all’altra. Puntate rapide e intense. Lasciano l’Italia prima che la polizia si accorga di loro e non tornano più. Sono i giramondo dell’odio.
Il loro obiettivo è di circuire il maggior numero di persone. Tra i giovanissimi hanno pochissima presa: la seconda generazione tende a integrarsi e ad adottare i costumi occidentali. Chi ha più di 40 anni teme di perdere quel minimo di benessere ottenuto al prezzo di grandi sacrifici.
Gli integralisti, pertanto, puntano i maschi tra i 24 e i 35 anni, senza un lavoro fisso e con problemi di alloggio, che più facilmente si sentono esclusi; poveri e sfruttati in un’Italia rutilante e consumista. In Puglia sono tanti gli immigrati in queste condizioni; gente che lavora per pochi mesi, durante la stagione del raccolto, e riceve paghe miserevoli. Facile avvicinarli e convincerli a cercare il riscatto nell’Islam fondamentalista.
E quando l’ideologia non basta si ricorre all’inganno. A molti di loro gli imam fanno credere che le autorità dei propri Paesi d’origine li stanno ricercando per attività estremiste o addirittura per terrorismo. La maggior parte non corre il rischio di verificare l’informazione con le ambasciate e sentendosi persi si lasciano manipolare. Alcuni diventano a loro volta predicatori, aprendo una moschea in un centro abitato dove ancora mancava. Altri abbracciano il kalashnikov pronti a sacrificare la vita, illudendosi che sia Allah a volerlo.


di Marcello Foa
Il Giornale n. 78 del 2007-04-01



Adesso che lo dice Santoro è vero: lì si predica l’odio


«Non integratevi. State lontani da loro. L’Islam è l’unica via di salvezza. Con gli atei nessun compromesso: si uccidono e basta».
A parlare non è Bin Laden né il suo vice Al Zawahri e neppure il Mullah Dadullah e il messaggio non proviene né da un campo d’addestramento talebano né da una roccaforte segreta… … della guerriglia irachena. No. Questo è un sermone cento per cento made in Italy “rubato” in due moschee torinesi da una coraggiosa giornalista di “Anno Zero”, Maria Grazia Mazzola, inviata da Michele Santoro a indagare le realtà di San Salvario e Porta Palazzo, i due quartieri “islamizzati” del capoluogo piemontese. Quel che ne è emerso è il ritratto preoccupante di una-società-dentro-la-società, di un’ enclave territoriale multietnica che vive secondo le regole dei Paesi di provenienza e che rifiuta, elude o sfida quelle del Paese d’accoglienza. Ma ancora di più emerge l’odio verso l’occidentale e il suo stile di vita, un odio predicato come un precetto religioso.
L’eco prodotta dalla puntata di “Anno Zero” è stata enorme, ma lo choc che ne è derivato è solo in parte condivisibile e solo in parte ingiustificabile. Ciò che si condivide naturalmente è la constatazione, seppur tardiva, che il problema dell’Islam radicale esiste e che grazie all’ostinata indifferenza di una cultura buonista e positivista ha potuto mettere, nelle comunità immigrate, radici di cui si ignora la reale profondità. Ciò che appare ingiustificabile, invece, è che il fenomeno salga alla ribalta solo adesso, cioè dopo un ottimo servizio di un giornalista col patentino rosso, quando la Lega denuncia il problema da anni e giornalisti come Magdi Allam ne sviscerano quotidiamente le pieghe nascoste. Per non parlare delle decine di espulsioni di imam ordinate dal ministero dell’Interno nella scorsa legislatura. Insomma, la storia è sempre la stessa: in questo Paese nessun problema è reale fino a quando anche la sinistra non arriva a percepirlo come tale.
Ma adesso che la questione è stata sdoganata, che si fa? Si continua fino all’abisso con la politica degli ingressi indiscriminati del Governo Prodi oppure si cambia direzione? E che ce ne facciamo ora dei bei discorsi sull’integrazione? E ancora: che atteggiamento adotterà Palazzo Chigi verso chi proibisce l’assimilazione e addirittura istiga all’odio verso gli infedeli?
Come testimonia – anzi conferma – il reportage di Maria Grazia Mazzola si tratta infatti di un problema enorme e che scardina molte delle nostre regole del vivere civile: una su tutte la pari dignità tra uomo e donna. Girando per i mercati rionali di Torino, dove le bancarelle ormai sono gestite in gran parte da stranieri, la giornalista di RaiDue fatica a trovare persone che biasimino i mariti che picchiano le mogli o che prendano le distanze dall’imam che ha dichiarato che “le donne sono senz’anima”. Un uomo addirittura si rifiuta di stringerle la mano per evitare il contatto con una donna.
Di fronte alle domande della giornalista il quartiere musulmano si chiude a riccio, si protegge, prova a rendersi impenetrabile. Una telecamera nascosta grande come una capocchia di spillo, però, permette di superare la barriera difensiva e di scoprire il mondo sommerso delle moschee dove si celebrano matrimoni che eludono le normative italiane e che alimentano il dubbio, già sollevato da Magdi Allam, che anche nel nostro Paese sia praticata la poligamia.
Ma la parte più inquietante del reportage è quella che registra il tono e i contenuti della predicazione nelle moschee di via Cottolengo e via Saluzzo. Nella prima, la stessa in cui predicava Bourichi Bouchta espulso nel settembre 2005 per “motivi di sicurezza”, l’imam Kuhaila invita i musulmani a non mescolarsi con gli infedeli, ebrei e cristiani, e a non vestire all’occidentale. «L’islam – dice – è l’unica via di salvezza: non integratevi e state lontano da loro». La giornalista spiega che per l’imam la donna non deve somigliare in niente agli occidentali e che deve essere sottomessa. Sugli scaffali, la Mazzola dice “dappertutto” – c’è il giornale di Al Qaeda, un foglio che chiama i musulmani alla jihad e presenta il terrorista giordano Al Zarqawi come un martire. «Ma la stessa propaganda – recita in chiusura il servizio – c’è anche nella moschea di via Saluzzo. Qui girano fogli dove è scritto: “Con gli atei nessun compromesso, si uccidono e basta”».


di ALESSANDRO MONTANARI
La Padania [Data pubblicazione: 31/03/2007] 


 


MERCATO IMMOBILIARE, È BOOM DI IMMIGRATI
Negli ultimi tre anni la crescita del fatturato è stata superiore al 50%
 
Negli ultimi tre anni le compravendite – che nel nostro Paese hanno avuto come acquirente un immigrato – sono aumentate del 19 per cento raggiungendo, nel 2006, la cifra record di 131 mila unità. Boom anche di fatturato (e cioè del valore delle case acquistate) che, dal 2004 al 2006, è aumentato del 50 per cento, passando da 10.200 milioni a 15.300 milioni di euro. Ecco, poi, la previsione: nel 2008 un quinto del mercato della casa sarà in mano agli immigrati.
Sono queste le cifre contenute nel rapporto 2007 su immigrati e casa curato da Scenari Immobiliari, l’istituto indipendente di studi e ricerche. Complice il progressivo rallentamento del mercato immobiliare italiano, la domanda abitativa degli immigrati – spiega Pierluigi Bellardo di Scenari Immobiliari – «ha accresciuto notevolmente il peso percentuale sul volume complessivo di immobili scambiati. Lo scorso anno le compravendite di abitazioni, che hanno avuto come acquirente un lavoratore immigrato, hanno rappresentato il 16,3 per cento delle transazioni complessivamente concluse sul mercato residenziale italiano».
La nascita e lo sviluppo di molte aziende create da immigrati ha fatto emergere una classe piccolo e medio-borghese: è proprio questa ad avere una maggiore disponibilità economica, manifestando gusti e preferenze che coincidono con quelli delle famiglie italiane. «Entro il 2008 – dichiara Bellardo – un immigrato acquirente su cinque sarà proprietario di una villetta fuori città oppure di un bilocale in un quartiere cittadino di media qualità, realizzando, di fatto, un acquisto di livello medio-alto».
L’indagine condotta da Scenari Immobiliari nelle diverse province italiane ha evidenziato un progressivo spostamento degli acquisti degli immigrati dalle province più ricche verso altre che, pur essendo più lontane, offrono soluzioni abitative a costi mediamente più contenuti. Di questa fuga dalle grandi città hanno beneficiato alcuni centri intermedi quali Alessandria, Bergamo, Varese, Cremona e Treviso al Nord, e Prato, Pistoia, Perugia, Modena, Terni e Viterbo al Centro. Le uniche eccezioni, in questo quadro, sono rappresentate da Genova, Torino e Roma, tutte in forte crescita sul 2005, e dai principali centri urbani del Meridione, ancora interessati da forti acquisti in città.
Analizzando la ripartizione territoriale degli acquisti per macro-aree, si nota che questi non sono in linea con la distribuzione della popolazione immigrata sul territorio nazionale. Nelle regioni del Nord Italia, dove si concentra il 64 per cento circa degli stranieri residenti (in base ai dati Istat al 31 dicembre 2005), le transazioni complessivamente concluse da lavoratori extracomunitari, nel 2006, rappresentano il 73,2 per cento delle compravendite totali. Questo dato evidenzia, chiaramente, la maggiore propensione all’acquisto degli immigrati che abitano in queste regioni, rispetto a quelli residenti nel centro e nel Meridione. Il dato relativo alle regioni del Sud, infatti, raggiunge solamente il 5,3 del totale (sempre nel 2006), mentre quello relativo al Centro, è pari al 21,5 per cento.
Relativamente alla distribuzione regionale degli acquisti (quota regionale di compravendite concluse da immigrati sul totale nazionale), è sempre la Lombardia ad avere la più alta concentrazione, con il 17,9 per cento (il dato è in lieve calo rispetto al 2004, quando era del 19,4 per cento). Seguono il Veneto, con il 16,7 per cento (in aumento dal 15,6 per cento dello scorso anno), il Piemonte, che con il 14,5 per cento supera l’Emilia Romagna, ferma al 13,9 per cento e il Lazio che, con il 13,4 per cento, sale dal 12,9 per cento del 2005.
Per quanto riguarda le caratteristiche dell’abitazione acquistata dagli immigrati, tra il 2004 e il 2006 la maggior parte degli acquisti conclusi da lavoratori stranieri extracomunitari ha riguardato la tipologia dell’appartamento in condominio. In quasi due casi su tre (64,6 per cento), l’abitazione acquistata da immigrati presenta uno stato di conservazione tale da richiedere interventi di ristrutturazione, più o meno consistenti. Quello che assume importanza, però, è il trend che si è venuto a determinare in questi ultimi tre anni, visto che la percentuale di extracomunitari che hanno acquistato abitazioni nuove o di recente ristrutturazione è aumentata, tra il 2004 ed il 2006, dal 27,4 per cento al 35,4 per cento, con la tendenza a un ulteriore aumento nel 2007.
Dati interessanti sono quelli sui Paesi di provenienza degli acquirenti immigrati: in cima alla lista troviamo albanesi e rumeni, che rappresentano più del 50 per cento della domanda proveniente dai Paesi dell’est Europa. A seguire i moldavi (9 per cento), i croati (8,5 per cento) e i polacchi (8 per cento). Tra il 2004 ed il 2006, la presenza di indiani, pakistani, cingalesi e bengalesi, tra gli acquirenti extracomunitari, è aumentata di quasi il venti per cento, passando dal 16 al 19,1 per cento. Per il 2007 si prevede un ulteriore aumento del 5 per cento, arrivando così al 20 per cento. In calo, nel corso degli ultimi tre anni, gli acquisti conclusi da immigrati di origine nordafricana che, tra il 2004 ed il 2006, sono diminuiti del 25 per cento circa, portandosi dal 18,8 per cento al 14,0 per cento. Per quanto riguarda la ripartizione per nazionalità, invece, oltre il 50 per cento di essi è stato concluso, nel 2006, da immigrati marocchini, e il dato è previsto in ulteriore aumento anche nel 2007.
Nelle regioni del Nord, dove si concentra il 64% degli stranieri, le transazioni concluse nel 2006 hanno rappresentato il 73,2% del totale


di Filippo Poletti
La Padania [Data pubblicazione: 01/04/2007]