«Mao, la storia sconosciuta. Libro di un ex guardia rossa.

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Dalla Cina un po’ di sano revisionismo su Mao


Un’ex guardia rossa ci svela un pezzo di verità importante sul sanguinario dittatore comunista cinese

Va a ruba, in quel di Hong Kong, l’ultimo libro della scrittrice cinese Jung Chang, Mao, The unknown story (Mao, la storia sconosciuta). In queste pagine, ancora non disponibili in italiano (ma ci auguriamo che in breve tempo compaia una traduzione nella nostra lingua) il despota cinese viene presentato come il più grande assassino di massa della storia. Certo forma una coppia terrificante con il suo collega Stalin, questo è fuori dubbio.


Un libro che evidentemente rende giustizia alla storia; è curioso constatare come si scorgano segnali di un’analisi non pregiudiziale del passato in paesi come la Cina, quando invece da noi il condizionamento intellettuale marxista riesce ancora ad operare una sorta di censura di massa sulla storia criminale del comunismo. Colui che fu il segretario personale di Mao Tsedong, l’ormai quasi novantenne Li Rui, sostiene che proprio la mancanza di un serio revisionismo storico ha impedito fin qui alla Cina di fare i conti con il proprio passato ed esprimere così tutto «il proprio potenziale» (Corriere della Sera dello scorso 3 giugno).
In particolare, il vecchio Rui dice del tiranno: «Mao era troppo autocratico. Non sopportava dissensi. Aveva la convinzione superstiziosa di essere sempre e assolutamente nel giusto». Sarà pure un efficace e lapidario ritratto del despota cinese, ma è anche l’immagine di un comunista vero.


Li Rui continua: «Mao cercava di controllare le menti delle persone».
Si può immaginare qualcosa di più coerentemente marxista? Non credo. La teoria comunista di Marx prevede necessariamente un’educazione che aliena le menti umane da se stesse: è il prezzo inevitabile per accettare la realizzazione della perfetta uguaglianza omologante del mondo senza classi e senza movimento, dopo che il materialismo dialettico ha scippato l’uomo della sua dimensione spirituale negandogli la costruzione di una civiltà dell’amore e degradando il paradiso a dimensioni politiche. La «rivoluzione culturale» lanciata da Mao serviva a questo scopo: a creare nei cinesi la fallace illusione della giustizia collettivista. Come può Sergio Romano considerare gli orrori criminali di Mao come «follia romantica»? (È scritto sul Corriere della Sera del 7 giugno). Come può dubitare in merito al comunismo di Mao?


L’ortodossia comunista del tiranno cinese è cristallina: fu semplicemente sua l’intuizione che la rivoluzione avrebbe avuto un futuro in Cina solo mobilitando le masse contadine piuttosto che la classe operaia; adattamento intelligente alle condizioni socio-storiche di quel Paese. Inoltre, rompendo «le catene del colonialismo», Mao non ha affatto «restituito al Paese la dignità perduta», come sostiene ancora Sergio Romano nel suo sorprendente (o dovremmo dire sconcertante) articolo; ha piuttosto consegnato la Cina al terrore di un profondo inferno. Se Romano pensava di sorprendere con questa sua analisi del fenomeno Mao, di certo ha mancato il bersaglio. Una simile pianificazione di terrore e di morte (il libro della Chang parla di 70 milioni di vite umane distrutte) non può essere spacciata per una mezza virtù o per una genialoide facoltà creativa (si legga bene quanto è scritto nel Libro nero del comunismo a proposito delle malefatte di Mao).


Questo libro di fresca uscita sugli orrori maoisti ci rimanda, ironicamente, con il pensiero, ai tarantolati sessantottini che, strologando di «fantasia al potere» e di «lotta al sistema», sbandieravano come un piccolo blasfemo vangelo il famigerato «libretto rosso». Ed ora, proprio un’ex guardia rossa (ché tale fu l’autrice Jung Chang) ci svela un pezzo di verità importante sul sanguinario comunista cinese.
Il lavoro, perché la verità trovi il suo posto, è ancora lungo.


Stefano Doroni
doroni@ragionpolitica.it


http://www.ragionpolitica.it/testo.3540.html 


RAGION POLITICA 10 giugno 2005