Manifestazione a Roma: per P. Bossi e i cristiani perseguitati

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4 luglio manifestazione a Roma


Cresce il numero dei sacerdoti assassinati, a rischio le aree musulmane, soprattutto l’Africa…

1)Violenza contro i missionari, 24 martiri in un anno

2)«Ci sono ostaggi di serie B Per loro non si fa quasi nulla» Intervista a Magdi Allam

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Violenza contro i missionari, 24 martiri in un anno


Lo ha detto il Papa all’Angelus di domenica scorsa: l’esperienza di Gesù «l’hanno condivisa tanti altri testimoni della verità: uomini e donne che hanno dimostrato di rimanere liberi anche in una cella di prigione e sotto le minacce della tortura». Parole pronunciate all’indomani della pubblicazione della lettera ai cattolici cinesi, nella quale c’erano vari riferimenti alle persecuzioni subite, e pochi giorni dalla manifestazione indetta per domani sera a Roma per iniziativa del giornalista Magdi Allam in favore dei cristiani del Medio Oriente costretti all’esodo dai Paesi islamici dove cresce il fondamentalismo.

In effetti, i numeri parlano chiaro. Da una parte ci sono le cifre dei missionari (vescovi, sacerdoti, religiosi e laici) morti ammazzati ogni anno in tutto il mondo. Dall’altra c’è la fuga massiccia dei cristiani da regioni dove la loro presenza è bimillenaria e dove la sopravvivenza quotidiana si è fatta sempre più difficile. Nell’elenco stilato dall’agenzia Fides, della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, si legge che nel 2006 i missionari assassinati sono stati 24 (tra questi don Andrea Santoro e suor Leonella Sgorbati). Erano stati 24 anche nel 2005, molti di più rispetto all’anno precedente, il 2004, quando si erano contati quindici morti. Dei trentanove paesi teatro di massacri di cristiani negli ultimi anni, quasi la metà si trovano in Africa.

Ma il numero maggiore di vittime si ha nei Paesi a maggioranza musulmana, nel continente della fame e delle mille guerre dimenticate, dove, accanto ad esempi di possibile convivenza, crescono fenomeni di intolleranza e fondamentalismo: i cristiani vengono trasformati a causa dell’odio cieco in «nemici occidentali». Gli attentati dell’11 settembre e le guerre in Afghanistan e Irak hanno complicato ulteriormente le cose. Allam informa che «alla vigilia della conquista araba e islamica nel settimo secolo, i cristiani costituivano il 95% della popolazione della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo. Oggi, con 12 milioni di fedeli, sono precipitati a meno del 6% e si prevede che nel 2020 si dimezzeranno ancora». Il giornalista musulmano, vicedirettore del Corriere della Sera, ricorda che «il caso più grave è quello che colpisce i cristiani in Irak. Da circa un milione e mezzo prima dell’inizio della guerra scatenata da Bush il 20 marzo 2003, si sono ridotti a circa 25 mila». Andrebbe anche ricordato che prima della guerra, sotto il regime di Saddam, i cristiani sopravvivevano ed erano tutelati molto meglio, mentre ora sono allo sbando, lasciati soli di fronte a un’ondata di violenza senza precedenti, costretti a lasciare il Paese. Gli Stati Uniti hanno persino ipotizzato di creare un’enclave cristiana, una sorta di riserva dove raccogliere i sopravvissuti: progetto che la Santa Sede ha rispedito prontamente al mittente, chiedendo invece alla comunità internazionale di garantire una pace vera e giusta nell’intera area. È curioso notare ciò che spesso viene sottaciuto o ammesso con imbarazzo: proprio stati cosiddetti «canaglia», o considerati tali a seconda delle circostanze, sono quelli che hanno garantito migliori condizioni di vita ai cristiani, come nel caso della Siria, dove il 10-12 per cento della popolazione è cristiana e dove le Chiese sono garantite con uno degli statuti più tolleranti del mondo arabo. In Siria si sono rifugiati molti profughi dall’Irak. Anche in Terrasanta la situazione è sempre più tragica. Manifestare è un modo per ricordare, per non passare sotto silenzio persecuzioni e martirio – come quello tremendo che avviene in Sudan – anche se l’unica vera soluzione può essere soltanto quella di una effettivo coinvolgimento della comunità internazionale che garantisca la pace riconoscendo i diritti di tutti.

di Andrea Tornielli

Il Giornale n. 155 del 2007-07-03


2)


«Ci sono ostaggi di serie B Per loro non si fa quasi nulla»


Magdi Allam: «Non c’è confronto con gli sforzi fatti per i prigionieri legati alla sinistra»


Magdi Allam si definisce un musulmano laico. Vicedirettore ad personam del Corriere della sera, 55 anni, nato a Il Cairo è in Italia dal 1972 e oggi gira con la scorta a causa delle sue nette prese di posizioni nei confronti dell’estremismo e del terrorismo islamico. Promotore della manifestazione del 4 luglio a favore dei cristiani perseguitati risponde senza peli sulla lingua sul caso di Giancarlo Bossi il missionario rapito nelle Filippine.

Domani a Roma lancerete un forte appello per la liberazione di padre Bossi sostenendo che sulla sua sorte “grava una vergognosa e inaccettabile cappa di silenzio e di indifferenza”. Come è possibile?

«È possibile perché viviamo in un paese fortemente ideologizzato a livello di classe politica e di governo, nelle comunicazioni di massa, nel mondo accademico, nella magistratura e negli enti locali. Questa ideologizzazione fa sì che si usi un doppio parametro etico quando si tratta di fronteggiare il problema degli ostaggi. Abbiamo assistito a mobilitazioni nazionali per liberare le due Simone, Giuliana Sgrena, Daniele Mastrogiacomo e perfino di un cittadino non italiano fortemente sospettato di essere colluso con i talebani, Rahmtaullah Hanefi (mediatore di Emergency nel sequestro Mastrogiacomo arrestato dai servizi afghani per tre mesi nda). Per lui la diplomazia italiana si è spesa a tutti i livelli esercitando fortissime pressioni nei confronti del presidente afghano Hamid Karzai, quasi si trattasse di una priorità nazionale, mentre nei confronti dei religiosi cattolici, italiani che rischiano la loro vita per testimoniare la fede, veri martiri del bene altrui, si fa poco o nulla. Solo in ritardo, dopo che erano esplose le polemiche è stata messa una fotografia di padre Bossi in Campidoglio».

La Farnesina sostiene che si mobilita alla stessa maniera per tutti gli ostaggi. Cosa ne pensa?

«Sottigliezze diplomatiche, giochetti che farebbero bene a risparmiarci. Mi sembra evidente che ci sia stato un atteggiamento di latitanza».

Vuol dire che esistono ostaggi politicamente corretti e altri no?

«Esiste un approccio ideologico per cui ciò che è lecito quando si tratta di assicurare la liberazione di un ostaggio appartenente all’area di sinistra viene invece considerato inaccettabile quando l’ostaggio è di altra area».

Lei intende che con la liberazione dei 5 talebani per Mastrogiacomo e il caso del missionario rapito siamo di fronte a due pesi e due misure?

«Più che una domanda si tratta di una constatazione della realtà. Mi auguro che una giusta polemica serva a far cambiare linea al governo, il quale non si può nascondere dietro la furbizia di dire è meglio tenere un profilo basso. Il governo italiano, così come ha alzato la voce per la scarcerazione di un amico dei talebani deve fare lo stesso per padre Bossi».

Anche il Corriere si è svegliato tardi su padre Bossi ed i grandi media ne parlano poco. Inoltre sembra che ci sia un timore nell’utilizzare termini come tagliagole islamici, terrorismo islamico. Da dove deriva questa specie di autocensura?

«Dalla paura e da un approccio ideologico che fa immaginare una natura reattiva del terrorismo islamico. Ovvero che la causa generatrice, i colpevoli, siamo noi».

Intende l’Occidente con gli interventi in Afghanistan ed in Irak?

«Esatto e questo approccio fa sì che taluni esponenti del governo italiano pensano che Bush e Bin Laden pari sono o peggio ancora che gli Stati Uniti siano lo stato terrorista e non Bin Laden. La tendenza al politicamente corretto nasconde in realtà una collusione ideologica che tende a mettere tutto sullo stesso piano finendo per legittimare quelli che si riveleranno i nostri carnefici».

di Fausto Biloslavo

Il Giornale n. 155 del 2007-07-03