Laici e illiberali
I peccati del Risorgimento per i quali nessuno ha chiesto né forse mai chiederà scusa
di Francesco Agnoli
C’è un noioso ritornello che viene spesso ripetuto e che ha sempre come oggetto la santa e venerabile “laicità dello Stato”. Sembra, a sentirlo, che vi sia da tutelare una bambina innocente, esposta alla malvagità di un vecchio cattivo, di nome Camillo e della sua losca compagnia. Una bimba immacolata, intendo, senza peccato originale, chiamata “Repubblica italiana”, e “fondata sul lavoro”, come recita, senza nulla dire, la sacra Carta; oppure “generata da una calcolatrice” (“questo l’Italia lo sa/ ma non lo dice”), come sostiene invece una vecchia canzone monarchica che allude, evidentemente, ai brogli elettorali del 2 giugno 1946. Ebbene questa mitica Italia, che Boselli e Pannella vorrebbero difendere, abita, risiede e riposa, in verità, con molti suoi ministeri, scuole, tribunali, ospedali e quant’altro, proprio nelle proprietà avidamente e violentemente espropriate alla Chiesa, ante, in e post Risorgimento. Ce lo ricorda, con un’opera inconfutabile, “Risorgimento da riscrivere” (Ares ), Angela Pellicciari, allorché racconta, documenti alla mano, le oscure trame degli anticlericali e dei massoni piemontesi che sin dal 1848 puntavano a “uccidere le vespe e a bruciare o sequestrare i vespai”, come dicevano loro, con un po’ di retorica, mirando, fuor di metafora, alla eliminazione dei gesuiti e di altri ordini religiosi e al sequestro delle loro proprietà. Incameramento di beni altrui, precisamente della Chiesa e dei cattolici: è qui l’origine ideologica, economica e storica, dello Stato laicista risorgimentale. Si ripetono così le imprese di Napoleone, i suoi furti imperiali, le chiese profanate e gli Ordini spogliati per saziare le brame dei soldati, del Direttorio e di altri pescicani. Poi, tornando al Risorgimento, che di Napoleone è figlio, dopo gli espropri laici, antenati di quelli proletari, ci sono i plebisciti farsa, raccontati da Tomasi di Lampedusa ne “Il gattopardo”, attraverso la figura di Ciccio Tumeo: “Io, eccellenza, avevo votato no… e quei porci in municipio si inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco”. Contemporaneo ai brogli, falso come loro, c’è l’“eroe dei due Mondi” (o “dei due milioni”, dalla lauta somma donatagli per metterlo buono), anticlericale violento e donnaiolo misogino e crudele. Al sud si dà anche lui ai sequestri, a danno dei Borboni e della Chiesa, e non devolve certo ai poveri, come in principio aveva promesso. Anzi, lascia in meridione solo morte e miseria, come testimoniano la novella “Libertà” di Verga, o gli accenni, ne “I Malavoglia”, alle nuove, durissime tassazioni e al servizio militare obbligatorio, imposti per la prima volta dal nuovo Stato piemontese. Amara delusione per le vicende risorgimentali viene espressa anche da Luigi Pirandello, nel suo romanzo “I vecchi e i giovani”, o nella novella “L’altro figlio”, in cui sono raccontate le devastazioni compiute in Sicilia dai delinquenti cui Garibaldi aveva aperto le galere. Dopo l’impresa dei Mille, c’è la morte misteriosa di Ippolito Nievo, cassiere della spedizione, e, “finalmente”, il 20 settembre 1870, l’aggressione ingiusta e immotivata a uno Stato libero e sovrano, quello pontificio. Dapprima si era cercato in tutti i modi, col potere dell’oro, di far sollevare la popolazione romana contro Pio IX, ma senza risultato; invano si era atteso un solo gesto di ribellione al pontefice, come scusa per intervenire: “Ci basterebbero solo dieci schioppettate dei romani”, sospirava a Firenze il primo ministro Giovanni Lanza. Nell’assedio del 20 settembre Nino Bixio, l’autore del massacro di Bronte, ci riprova: invece di bombardare le mura della città nemica, alza il tiro, sul centro abitato, sull’ospedale di San Gallicano e su altri edifici civili, sperando ancora di far insorgere i romani alle spalle dei pontifici che sono sulle mura. Come tutti i violenti, Bixio crede di essere il popolo, la libertà incarnata e incompresa. Roma viene espugnata e può essere finalmente piemontesizzata e colonizzata: accorrono i figli di Garibaldi, Ricciotti e Menotti, rapidi, per trarre guadagno dal boom edilizio della nuova capitale. Poi ci saranno lo scandalo del Banco di Roma, la solenne sconfitta degli eserciti di Crispi in Etiopia, e i meridionali che per la prima volta nella loro storia dovranno emigrare in massa. Queste, sinteticamente, le origini della creatura immacolata di cui si diceva. Ora, i neo risorgimentali vogliono abolire il concordato, l’8 per mille e i crocifissi nei luoghi pubblici, e intanto urlano al lupo cattivo.
Il Foglio 24 novembre 2005