L’impossibilità di dialogare

Vi è un settore della vita palestinese certamente sostenuto dai fondi dell’Unione Europea, ed è quello delle colonie estive per i bambini gestite dall’Autorità nazionale palestinese. Togliere i bambini palestinesi dalle città piene di violenza e di pericoli e mandarli a giocare in campagna: che cosa ci potrebbe essere di più bello, pacifico e giusto?

Uno sguardo meno romantico su queste colonie rivela, tuttavia, qualche sorpresa.
Per evitare il sospetto che si tratti di propaganda israeliana, o americana, mi limiterò a citare esclusivamente fonti arabe e palestinesi.


Un ampio servizio sulla riorganizzazione del sistema delle colonie per bambini e ragazzi dai sei ai quattordici anni avvenuta nel 1998, pubblicato il 12 luglio di quell’anno sull’autorevole quotidiano panarabo Al Hayat (che esce a Londra e a Beirut ed è fieramente anti-israeliano) riportava dichiarazioni dei responsabili delle colonie secondo cui queste devono offrire una formazione «culturale, educativa, sanitaria e militare».
«L’addestramento militare – si leggeva – è obbligatorio per tutti», «insegniamo alle bambine le stesse tecniche militari in cui prepariamo i maschietti», e «nessun bambino è troppo piccolo per cominciare gli esercizi militari».
Tra le attività delle colonie c’è l’addestramento all’uso di vari tipi di fucili.


Di interesse sono poi anche i canti delle colonie estive palestinesi, per la verità piuttosto lontani da «Quel mazzolin di fiori», che traiamo da servizi della televisione palestinese.
Una canzone recita: «Un giorno hanno attaccato – Hanno attaccato il mio paese – Hanno ammazzato i vecchi, hanno massacrato i giovani – Hanno bruciato il Corano, hanno distrutto le case – Hanno marciato sul mio cuore – Avanti con il jihad – Avanti, riprendiamoci il nostro paese».
Un’altra canzone: «La Palestina è ribelle – La Palestina è devota – La sua fede è nei suoi martiri – Benedetto Allah – Ribellati, Palestina! – Sii devota, o Palestina».
Un’altra: «Avanti con la spada – Gli israeliani li cacceremo tutti in mare – Sta venendo il giorno, o conquistatore, in cui salderemo i conti – Li salderemo tutti con le pietre e le pallottole».
E una ancora più esplicita: «I bambini sono la mia redenzione – I bambini, i bambini, per la patria – sono nelle squadre dei martiri – Quando la bomba esplode – mentre grido Allah è grande – allora sto davvero tornando a casa – all’amata terra di Gerusalemme».


Queste colonie sono gestite dall’Autorità nazionale palestinese, non da Hamas.
Ma preparano terroristi – di domani e anche di oggi, dal momento che ormai ci sono pure terroristi bambini – per tutte le sigle palestinesi.
Distinguere fra gli ultra-fondamentalisti di Hamas e i nazionalisti laici di Fatah è certo teoricamente possibile e per molti versi necessario.
Tuttavia negli ultimi anni la collaborazione fra Fatah e Hamas sul piano militare e del terrorismo è così stretta da far diventare legittima la domanda se si tratti di divergenze strategiche, di un contrasto puramente tattico o di una semplice divisione del lavoro.
Mentre si deve auspicare il difficile emergere di una «terza forza» ugualmente lontana dalle ambiguità e dalla corruzione «laiche» di Arafat e dal terrorismo fondamentalista di Hamas, nella situazione attuale ogni aiuto all’Autorità nazionale palestinese va attentamente esaminato.
Anche le colonie estive statali per i bambini, a uno sguardo superficiale innocue, possono diventare scuole di odio e di terrorismo.


Massimo Introvigne
(il Giornale, 30 marzo 2004)


http://www.cesnur.org/2004/mi_yassin2.htm