L’ideologia nega il dolore

LA CURA DEI DISTURBI DELLA SESSUALITÀ
L’ideologia nega il dolore che invece va ascoltato

di CLAUDIO RISÉ

L’ascolto e l’accoglienza del dolore umano (la parte più difficile, ma decisiva, della psicoterapia) ha un grande nemico: l’ideologia, che pretende di distinguere tra sofferenze ‘giuste’, ascoltabili, e sofferenze sbagliate, inaccettabili.

Quando Freud, alla fine dell’800, a Vienna, incominciò a prestare ascolto (anche) alle fantasie o ai disagi sessuali di ottimi mariti e padri, o delle loro mogli e figlie inquiete, la cosa infastidì i benpensanti, e i relativi Ordini. Cosa mai poteva esserci di strano nella sessualità di una coppia regolarmente sposata? Perché quello psichiatra ebreo ascoltava queste storie? Cosa aveva a che fare, tutto ciò, con la malattia psichiatrica, organica, l’unica ‘ufficialmente riconosciuta? Un secolo dopo, ancora si rifiuta, in un nuovo modo, di dar voce al dolore umano dissonante con pregiudizi potenti. Che oggi sostengono (tra l’altro) che nella persona omosessuale tutto va bene, e quindi non ci può essere un dolore che un terapeuta debba ascoltare, per aiutarla, se lo desidera, a porvi rimedio.

Questo, e non altro è lo sfondo della penosa vicenda (di cui Avvenire si è già occupato il 6 e il 10 gennaio scorsi), che ha visto un collaboratore del quotidiano Liberazione presentarsi sotto le spoglie di un omosessuale desideroso di mutare il proprio orientamento, dal professor Cantelmi, presidente  dell’Associazione Psicologi e Psichiatri Cattolici, per poi procedere al suo linciaggio mediatico.

Un’operazione rivelatrice del cinismo con cui certa politica guarda al dolore umano che non porti voti al proprio partito. Poi, però, il presidente dell’Ordine nazionale degli Psicologi, su sollecitazione del presidente dell’Arcigay, ha scritto al quotidiano del Partito di Rifondazione Comunista. La lettera cita opportunamente l’art. 4 del Codice Deontologico degli Psicologi: «Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto… all’autodeterminazione… di chi si avvale delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, … sesso di appartenenza, orientamento sessuale».
Perfetto.
Poi conclude: «È evidente quindi che lo psicologo non può prestarsi ad alcuna ‘terapia riparativa’ dell’orientamento sessuale di una persona». Ora, come si concilia il «diritto all’autodeterminazione e all’autonomia del paziente» col rifiuto di terapie che accolgano il bisogno che egli esprima di modificare il proprio orientamento sessuale? Se una persona credente, con tendenze omosessuali, si rivolge ad un terapeuta perché queste gli causano disagio, lo psicologo può derogare al rispetto di «opinioni e credenze»?
In quel caso non rispettando, cioè, la sua fede religiosa, perché ha un orientamento omosessuale?

In realtà, l’omosessualità egodistonica, indesiderata, è prevista come disturbo nei due principali manuali diagnostici oggi in uso nella comunità scientifica.
Vale a dire innanzitutto il DSM-IV-TR (pubblicato dall’American Psychiatric Association), che riporta tra i sintomi del Disturbo Sessuale Non Altrimenti Specificato (302.9): «Persistente e intenso disagio riguardo all’orientamento sessuale».

Omosessuale o eterosessuale non fa differenza: se qualcuno soffre per la propria sessualità, va ascoltato, e preso in carico. Inoltre il manuale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, ICD-10, riporta il disturbo F66.1 Orientamento Sessuale Egodistonico, prevedendo che «l’individuo può cercare un trattamento per cambiare… la propria preferenza sessuale». Anche in Italia dunque, come negli altri Paesi democratici, gli psicologi rispondano al bisogno di cura di chi soffre, e non alle intimazioni di partiti e ideologie.

(C) Avvenire, gennaio 2008