Al sottosegretario dell’economia
ON. CENTO, UN PO’ DI PUDORE
di Don Carlo Velludo*
* parroco di Santa Maria del Sile, Treviso
Mi presento: sono uno di quegli “imprenditori” entrati nel mirino suo, sottosegretario Cento, e di alcuni altri suoi colleghi, comprensibilmente preoccupati di salvare l’Italia dal fallimento economico cui la Chiesa cattolica la sta condannando.
Non faccio l’imprenditore per scelta, ma per caso. Io ho scelto di fare il prete, ma nella parrocchia dove ora sono c’è una scuola materna, ed io ne sono diventato fatalmente il presidente.
Leggendo i giornali e ascoltando le allarmate dichiarazioni di taluni di voi politici, credo che non pochi italiani si stiano convincendo che la Chiesa cattolica gode di innumerevoli e immotivati “privilegi”, tra i quali l’esenzione dell’Ici. E così anch’io, in qualità di legale rappresentante della parrocchia, proprio grazie anche a queste imperiose valutazioni ripetutamente espresse, mi vado convincendo che sto derubando e impoverendo l’Italia: la scuola materna che gestisco non paga l’Ici. Ebbene sì, il sottoscritto (e conseguentemente anche la Chiesa cattolica) si sta arricchendo alle spalle della comunità civile, grazie ai “privilegi” che ricevo sottoforma di esenzioni, oltre a “copiosi” contributi statali, regionali e comunali.
Non starò a dirle come io mi senta dinanzi a coloro che proprio non hanno un privilegio alcuno, come i parlamentari che, obtorto collo, vivono in totale ossequio alle leggi che li costringono (poveri loro) a percepire appena “28 mila euro lordi al mese, che maturano un vitalizio che è cumulabile con la pensione maturata nell’attività di provenienza il cui importo, però, non è correlato con quanto hanno versato” (cito da una domanda all’onorevole Letta su “Avvenire” del 24 agosto 2007, a pag. 10).
La mia scuola quest’anno, come tutti gli anni d’altra parte, ha dovuto più volte “batter cassa” e chiedere un finanziamento alla parrocchia (a se stessa quindi), e non certo alla collettività cui tutto sommato appartengono i figli che ospitiamo, per poter pagare gli stipendi, in quanto i “privilegi” di cui saremmo ricchi (e che dovrebbero esserci tolti) non riescono a coprire le spese vive del servizio.
Questo però la stampa non lo scrive, perché lei onorevole Cento e i suoi colleghi parlamentari non lo dite, impegnati come siete a mostrarvi paladini della laicità e difensori delle classi più povere, quelle che in un anno di lavoro non guadagnano quanto il vostro stipendio mensile e che risultano impoverite non certo da questo ma dai privilegi della Chiesa cattolica.
Ora però non è a tema lo stipendio dei parlamentari, si parla dei “privilegi” della Chiesa cattolica, e quella sua, onorevole Cento, appare ahinoi una battaglia giusta, perché i privilegi vanno giustamente abbattuti.
E allora, che cosa augurarle, onorevole Cento? Che vinca la sua battaglia, anche se questo dovesse far chiudere le scuole d’infanzia parrocchiali, colpevoli di far risparmiare alla collettività troppi soldi rispetto a quanto la collettività spende per gestire analoghe strutture; che gli oratori parrocchiali e le case alpine dove si fanno i grest e i campi scuola per i ragazzi paghino un’Ici doppia, perché quell’attività “commerciale” così redditizia qual è la costruzione di un uomo, è giusto che sia adeguatamente tassata.
Onorevole, mi raccomando, non si fermi però a queste poche “conquiste” davvero sociali, e spinga a fondo l’acceleratore.
Giacché c’è, perché non promuove una ulteriore breccia di Porta Pia, così da incamerare nuovamente tutti i “beni ecclesiastici”, requisendo oratori, scuole, case alpine che stanno rendendo così ricca la Chiesa? Quando avrà conquistato questi beni, per fare equivalenti servizi, sicuramente lei pagherà l’Ici e stipendi adeguati ai suoi nuovi dipendenti.
A lei, d’altra parte, con i suoi 28 mila euro mensili, dovrebbe risultare un tantino più semplice che a me, con i miei 1.009,59 euro mensili. Ma forse, in quel caso, l’Ici non sarà più una tassa dovuta, perché il servizio assumerà finalmente la sua propria rilevanza sociale, e sarà plausi bilmente giusto che non venga tassato. E così anche i costi di gestione verranno messi a carico della collettività, proprio per la riconosciuta e indiscussa funzione dell’opera, e lei non dovrà veder impoverito il proprio stipendio mensile.
Con sincerità le dico che mi piacerebbe sedermi accanto alla sua scrivania di gestore di una scuola dopo che questa si è “svenata” per ottemperare a tutte le richieste che la messa a norma dell’edificio richiedeva al fine di ottenere e mantenere la “parità”, e vedere come se la cava quando i contributi promessi non arrivano o arrivano decurtati anni dopo.
Sapendo tuttavia che per ora questo è un “privilegio” che mi resta accollato, come cittadino italiano che deve mandar avanti un’azienda con dipendenti regolarmente assunti e percepisce uno stipendio mensile di 1.009,59 euro, vorrei almeno essere esentato dall’altro “privilegio” di dovermi privare di due anni di stipendio per pagarle una sola mensilità e sentirmi offeso poi dalle sue dichiarazioni. Sì, onorevole Cento, abbia almeno il pudore di non coprire di menzogne chi le concede di ritagliarsi un così esagerato stipendio, permettendole anche di continuare a legiferare privilegi a proprio favore.
O anche questa richiesta è un “privilegio” che vorrebbe negarmi?
Avvenire, 30 agosto 2007