La tentazione di instaurare uno stato di polizia tecnologico

“Siamo tutti pedinati”. Il Garante e i cittadini senza privacy

Allarme di Stefano Rodotà: “Dalle telecamere ai cellulari servono codici e regole”.  Spaventato? “Sì. Sono spaventato. Viviamo in una società sempre più sorvegliata. Le telecamere per strada, il telepass, il web, la scia del cellulare, le tracce che lasciano le carte di credito… Siamo tutti costantemente seguiti, pedinati, osservati…”.

Con quei suoi modi cerimoniosi da antico gentiluomo meridionale e quel passato di studioso marcato da saggi tipo Le fonti di integrazione del contratto o Proprietà e industria: variazioni intorno alla responsabilità civile , il Garante per la Privacy Stefano Rodotà è mille miglia lontano dal paranoico Gene Hackman di Nemico pubblico . Eppure… Eppure, come il protagonista del film di Tony Scott che da ex agente della National Security Agency vede dappertutto microfoni e cimici e tele-spie contro cui combatte una ipertecnologica guerra di sopravvivenza, è piuttosto preoccupato: “Oggi tutto ciò che si vede in quel film, che pareva fantascienza, è possibile. Con la tecnologia satellitare puoi davvero seguire uno dall’alto senza che possa accorgersene. E dieci giorni fa il Procuratore generale fiscale del Messico e 160 dipendenti si son fatti mettere sottopelle un chip per controllare l’accesso a un centro delicato di raccolta dati ed essere localizzati in caso di rapimento. Ma è compatibile con la dignità della persona? Siamo oltre “Nemico pubblico”. Ogni giorno spuntano nuovi strumenti, nuovi apparecchi, nuove diavolerie che imporrebbero una stretta vigilanza a custodia del primo dei diritti delle persone. E invece…”.
Invece?
“E invece, sul più bello che c’è più bisogno di attenzione, ci tagliano i fondi. Lei ha presente i virus?”.
I virus?
“Le nuove tecnologie sono come i virus: mutano e s’aggiornano continuamente. Noi dovremmo, man mano che arrivano i nuovi, trovare gli antivirus. Invece ci troviamo nelle condizioni degli istituti di ricerca. Dove si taglia per primo, in Italia, quando servono soldi? Nella ricerca. E questo sta succedendo. Io non posso fare a meno di pagare 30 milioni l’anno per avere accesso, attraverso una banca dati americana, a tutto lo scibile giuridico e scientifico che ci interessa. Sennò…”.
I virus della società spiata si propagano.
“Nel 2001 potevamo spendere quasi 11 milioni e mezzo di euro, oggi siamo a poco più di 10, con un taglio del 12 per cento. E questo senza tener conto dell’inflazione, sennò il taglio sarebbe poco sotto il 20 per cento. O noi riusciamo a interrompere questo progressivo taglio delle risorse o rischiamo seriamente di andare in crisi. In un momento che dopo l’11 settembre (anche se da noi abbiamo patito meno la svolta restrittiva che c’è stata in America o in Inghilterra) si è fatto delicatissimo”.
Non sarà che l’ossessione di Hackman ha preso un po’ anche lei?
“Tempo fa abbiamo fatto fare delle stime. Una persona che si muove nel centro di Roma viene ripresa mediamente duecento volte al giorno. Le banche elettroniche dei grandi gestori telefonici già due anni fa conservavano oltre 500 miliardi di dati che permettono di ricostruire giorno per giorno l’intera rete di relazioni personali, sociali, economiche di una persona senza avere neppure bisogno di conoscere i contenuti delle telefonate. Perché se lei chiama dieci volte al giorno una donna che non è sua moglie probabilmente è un’amante, se chiama dieci volte al giorno uno spacciatore di cocaina probabilmente si droga. Ma senza bisogno di andare sulle cose estreme, è chiaro che attraverso le telefonate di una persona posso capire chi vota, chi frequenta, che lavoro fa, che paure ha, che malattie teme…”.
Insomma: un quadro completo.
“Ovviamente la reazione non può essere luddista, cioè di rifiuto e boicottaggio delle nuove tecnologie. Né apocalittica. Ma bisogna stare attenti. Molto. Dobbiamo varare regole. E farle applicare. Sette codici deontologici, dobbiamo fare: Internet, rapporti di lavoro, centrali rischi… Il Parlamento ci ha scaricato addosso un blocco di lavoro senza darci una sola persona in più e tagliando anzi gli stanziamenti”.
Quanti siete, oggi?
“Dovremmo essere 120, siamo in 97, abbiamo dei concorsi in atto, ma sappiamo già che non basteranno assolutamente. Eppure, da quando siamo nati nel 1997 (e il primo giorno le telefonate dei cittadini interessatissimi alla novità bloccarono il centralino della Camera) abbiamo fatto un sacco di cose. Lavoriamo come un tribunale medio. Tanto più che su certe cose il cittadino può scegliere se andare da un giudice ordinario o venire da noi. In questi casi, nel 95% dei casi viene da noi. Perché non costiamo nulla e siamo riusciti a dare risposte entro 60 giorni. Ma lei lo ricorda come funzionava con le cartelle cliniche?”
Era tutto in piazza.
“Anche la banca poteva avere le carte sulla sieropositività d’un cliente. E’ cambiato tutto. Abbiamo chiuso il sistema delle cartelle giudiziarie che venivano consegnate aperte al portiere. Fatto chiarezza sui codici genetici. Chiarito (comminando anche sanzioni) che è vietato lo spamming cioè importunare la gente tempestandola di messaggi email illegittimi. Messo dei punti fermi sull’uso della video-sorveglianza, dando sempre il nostro assenso se ci sono esigenze di sicurezza, dalle fermate del tram in alcune zone di Torino alla Salerno-Reggio. Stiamo lavorando sui nuovi elenchi telefonici, e lì vedremo (con la scelta di esserci o non esserci) quanto gli italiani tengono alla privacy. Lì vedremo se abbiamo fatto passare una idea: ogni italiano deve essere il garante della propria privacy”.
Qualcuno lo è pure troppo: si pensi alla privacy sulla consulenze pubbliche…
“Qualcuno che fa il furbo c’è sempre. E’ la privacy-alibi. Usata soprattutto dalla pubblica amministrazione come scusa per non dare certe notizie. Ma abbiamo già chiarito: nel settore pubblico tutte queste cose devono essere pubbliche. Compresi i contratti alla Rai. No: quello che temo oggi è la delega della politica alla tecnologia”.
La tentazione di istaurare uno “stato di polizia tecnologico”?
“Sì. Se si fa la domanda in astratto (“in cambio di più sicurezza sei disposto a rinunciare a un pezzo della tua privacy?”) molti rispondono di sì. Ma è un errore. Sento fare discorsi del tipo “il cittadino che non ha niente da nascondere non ha niente da preoccuparsi”. Beh, io ricordo che la metafora dell'”uomo di vetro” è nata sotto il nazismo: se tu vuoi mantenere uno spazio di intimità diventi un cattivo cittadino quindi lo Stato ha diritto di investigare su di te. Ma questo è abnorme. E forse è il caso che ci riflettiamo tutti”.

Corriere della sera 1 agosto 2004