La lotta alla droga divide la Toscana

ToscanaOggi del n. 41 del 14 novembre 2004

di Simone Pitossi

La guerra tra Regione e Governo nazionale si allarga. Il prossimo campo di battaglia sarà la droga. E la sfida è già stata lanciata dalla Toscana.
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Si chiama «Norme di organizzazione degli interventi sull’uso problematico di sostanze psicoattive e sulle dipendenze patologiche nel servizio sanitario regionale». È la proposta di legge numero 382. Primo firmatario Federico Gelli, consigliere regionale della Margherita e presidente della Commissione sanità. Acconto alla sua ci sono le firme di Filippo Fossati (Ds), Pieraldo Ciucchi (Sdi), Fabio Roggiolani (Verdi), Nino Frosini (Pdci). In pratica tutto il centrosinistra.

E Gelli chiarisce subito lo spirito di questa iniziativa: «Senza dubbio la nostra proposta è anche una “legge manifesto” contro l’azione del governo». In particolare contro la legge Fini. «Era necessario intervenire – spiega Gelli –, soprattutto per decidere in che modo vogliamo affrontare la realtà del fenomeno–droga, una realtà che è cambiata molto negli ultimi anni, anche a causa della comparsa di nuove droghe. Vogliamo offrire uno strumento di riferimento organizzativo ma anche dettare i principi fondamentali che ispirano la filosofia d’intervento della Regione Toscana. La proposta che abbiamo presentato è, innanzitutto, una risposta organizzativa dei servizi al tossicodipendente e alla sua famiglia, una risposta animata dal principio della solidarietà e della non criminalizzazione del consumo, perché crediamo che solo attraverso un atteggiamento solidaristico si possa far fronte in maniera corretta ed adeguata a tale problema. L’idea che anima la nostra proposta è considerare il tossicodipendente prima di tutto un essere umano da aiutare e una vita da salvare».

Il punto più controverso di questa legge arriva all’articolo 2, punto «e», dove si stabilisce «l’offerta gratuita di analisi delle sostanze per i consumatori» e la predisposizione di luoghi igienicamente idonei presso i quali è possibile l’assunzione di sostanze». Dove «sostanze» sta per droghe. Critiche su questo punto arrivano da Angelo Passaleva, assessore regionale alle politiche sociali e vicepresidente della Regione. «Ritengo datato e superato, a causa dei risultati deludenti, – spiega – prevedere “luoghi” istituzionali presso cui sia possibile assumere sostanze stupefacenti. Il malessere che conduce sulla strada delle droghe non si combatte con soluzioni di questo tipo e sono convinto che anche su questo aspetto, già alla fine delle iniziative di ascolto con la società toscana, prevarrà il consenso attorno a una visione diversa». Per il resto il giudizio del vicepresidente è «sostanzialmente positivo». «Trovo che la proposta – conclude Passaleva – colga l’aspetto fondamentale del problema: davanti a persone che si drogano, la risposta non può essere quella della repressione ma è necessario puntare sulle ragioni della responsabilità».

Di segno totalmente opposto il giudizio di Marco Carraresi, capogruppo Udc. Il contenuto della proposta? «Discutibile – attacca il consigliere regionale – per usare un eufemismo. In pratica, i tossicodipendenti potranno rivolgersi alle strutture pubbliche per far analizzare la qualità delle sostanze stupefacenti e assumerle in locali “igienicamente idonei”. Come si può notare non siamo molto distanti, sia pure in un campo diverso, dalla logica adottata per le “case chiuse”». Inoltre «sarà anche un altro motivo di scontro con il governo nazionale». «Non per niente il direttore generale del Dipartimento Nazionale delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio ne ha dato un giudizio durissimo che non posso che condividere in toto: “È una proposta assurda e ideologizzata, scritta da chi non ha mai visto un ragazzo drogato”».

Secondo Carraresi «bisogna prima di tutto incentivare la prevenzione, non certo pubblicizzare gli stupefacenti». E anche la «riduzione del danno», in questo caso è sbagliato. «Parlare allora di “civiltà”, di tentativo di limitare i danni evitando che un tossicodipendente si suicidi con sostanze tagliate è falso, fuorviante e dannoso: c’è viceversa, oramai da tempo, una sorta di filo rosso – conclude il capogruppo Udc – che lega purtroppo tutte le proposte “innovative” della Regione Toscana nella deresponsabilizzazione, che amplia a dismisura il fronte dei “nuovi diritti” e restringe quello dei doveri».

Giudizi contrastanti
anche dalle comunità del terzo settore


di Claudio Turrini

«Non è tutta da buttar via, ma questa legge non mi convince». Don Giacomo Stinghi, presidente del Ceis di Firenze è uno dei pionieri in Toscana delle comunità di recupero per tossicodipendenti. In 24 anni sono passati da lui quasi 2500 giovani, la stragrande parte dei quali ha davvero chiuso con la droga. Non boccia senza appello il testo presentato dalla maggioranza di centro-sinistra, «anche perché è frutto di una cultura consolidata alla quale abbiamo contribuito molto noi, delle Comunità», pur lamentando che non siano state consultate tutte le realtà toscane. Ma su alcuni punti la sua contrarietà è forte, perché la trova «troppo appiattita» sul principio della riduzione del danno. «Per noi – ci spiega – vuol dire anche riduzione del danno definitivo, cioè riabilitazione. Qui invece ci si ferma un gradino prima. Oggi ad un tossico che non ha voglia di far nulla e va via di casa, il Sert gli trova una pensione, gli dà il buono pranzo, 3 euro per le sigarette, il metadone quanto ne vuole… Come fa poi a uscirne?».

Ecco perché trova inaccettabile l’idea di «luoghi igienicamente idonei» dove potersi drogare (art. 2 comma 4f). Prima di tutto per un problema di principio: «lo stato non può collaborare con chi si fa del male, perché drogarsi non è un diritto. Se sei in difficoltà ti aiuto, ma ad uscirne, non a cronicizzarti». E poi anche per un problema di risorse: quanto costerebbe allestire «locali idonei», con presenza 24 ore su 24 di un medico e garantire le analisi delle sostanze? Con i problemi di bilancio che già ci sono si rischierebbe di buttare in queste sperimentazioni la gran parte delle risorse.

Ma il vero problema è quello del ruolo delle comunità. Oggi decide tutto il Sert. La prima parte dell’intervento giustamente la fanno loro, ma poi devono intervenire le comunità, dove si fa riabilitazione: i Toscana sono 18 le comunità del terzo settore e funzionano, mentre le 13 pubbliche sono tutte in crisi per i costi. «Non chiedo pari dignità – precisa don Stinghi – , ma la collaborazione sì. Collaborare anche al primo momento, perché oggi la destinazione la fa un assistente sociale che magari non ne sa nulla e decide “comunità sì comunità no”». Ci sono comunità – non è questo il caso del Ceis di Firenze – costrette a chiudere perché i Sert non inviano più giovani. Allora la legge deve dire chiaramente che una parte delle risorse è destinata al recupero in comunità. «Non dico di fare come in Veneto dove la quota bloccata è del 30% delle risorse, ma ci devono essere delle certezze».

E poi c’è il nodo dei «Comitati», sia quello a livello di Asl – una novità della legge – che quello regionale. «Questi comitati, specialmente quello della Asl, – ci spiega ancora don Stinghi – devono essere effettivi e non burocratici, devono poter entrare nella scelta del programma riabilitativo tenendo presente la famiglia, il ragazzo e anche la comunità che lo conosce». Invece basta scorrere il testo della proposta di legge per capire che sarebbero solo dei carrozzoni consultivi.

Un giudizio più positivo lo dà invece don Bruno Frediani, presidente del Ceis di Lucca, che trova giusto cercare anche «strade nuove» accanto a quelle tradizionali. Anche la sperimentazione di luoghi per drogarsi non lo scandalizza perché «se seguita bene può essere una cosa buona per evitare la morte di persone e permettere il loro aggancio da parte dei servizi per mete anche più risolutive. L’importante è che non ci si fermi soltanto lì». Vede però una carenza «di interventi di carattere più generale a favore dei giovani, cioè come sostenerli in scelte di vita che siano determinanti, positive, buone. L’impressione è che ci sia una specie di abbandono e si intervenga solo quando già è troppo tardi».

Pienamente positivo il giudizio di don Armando Zappolini, presidente della cooperativa sociale «Il delfino» e rappresentante toscano del coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca). In questa veste ha anche collaborato alla stesura del testo che vuole essere – ci spiega – una «risposta» al disegno di legge Fini «che tende invece a privatizzare l’intervento sulle dipendenze dando una delega al volontariato».

Questa proposta di legge – secondo don Zappolini – rafforza invece «il sistema toscano ad alta integrazione pubblico-privato, un sistema che sta funzionando». E per la prima volta si accreditano, oltre alle comunità residenziali, anche i servizi di strada e di prossimità, perché «le comunità aiutano a cambiare la vita, però la risposta di strada la salva». È in questa attenzione «a non lasciare nessuno solo», idea guida di tutta la legge, che si inserisce la sperimentazione di luoghi sicuri per drogarsi, che ha causato tante polemiche. «Se c’è una persona che si buca – si chiede il presidente toscano della Cnca – possiamo fare in modo che se anche decide di bucarsi lo faccia in condizioni un po’ meno di emergenza o non si trovi morto il giorno dopo sotto un ponte? Queste cose vanno sperimentate, c’è da ragionarci sopra, può anche darsi che siano bischerate… ma da questo a dire che si vuol fare le “narcosale” ce ne passa. Sono interpretazioni a volte fatte da persone poco intelligenti, sempre da persone poco competenti, anche nella politica regionale. Non possiamo occuparci solo di coloro che ce la fanno a smettere di drogarsi, dobbiamo pensare anche alla maggioranza di persone che non ce la fanno a finire in comunità o che noi buttiamo fuori dalle comunità e che finiscono sulla strada».

Di positivo in questa proposta di legge, secondo don Zappolini, c’è anche l’art. 3 dove, per la prima volta in Italia, si fa chiarezza su termini come «droghe», «dipendenza», «abuso»… «Ogni cosa ha una valenza diversa: anche l’influenza è una malattia e va curata, ma non si può lanciare l’allarme sociale per un’influenza come se fosse un broncopolmonite fulminante».

La scheda
Una normativa con quattro «pilastri»
Una legge quadro che organizzi tutti gli interventi in tema di tossicodipendenze e potenzi la rete tra servizio pubblico e privato in Toscana. Sono questi gli obiettivi della proposta di legge regionale n. 382 («Norme di organizzazione degli interventi sull’uso problematico di sostanze psicoattive e sulle dipendenze patologiche nel servizio sanitario regionale»), presentata nei giorni scorsi dal centrosinistra toscano. Il testo, che porta la firma di Federico Gelli (Margherita), Filippo Fossati (Ds), Pieraldo Ciucchi (Sdi), Fabio Roggiolani (Verdi) e Nino Frosini (Pdci) e che ha sollevato polemiche all’interno della Margherita, prende l’avvio dal decreto Fini – come hanno dichiarato gli stessi proponenti – per muoversi in direzione opposta: «no» quindi al giro di vite contro chi fa uso di droghe e potenziamento, invece, delle politiche di «riduzione del danno», e della centralità del servizio pubblico. Ma che trova forza anche dalla recente sentenza della Cassazione (Quarta sezione penale, n. 37664) che ha stabilito che «il mero stato di tossicodipendenza, pur costituendo illecito amministrativo in caso di importazione, acquisto o detenzione illecita di sostanze stupefacenti per uso personale, non può da solo dare causa al provvedimento privativo della libertà personale».

Quattro i «pilastri» della legge che vengono definiti nella relazione introduttiva:
1) «ridurre l’ambito di intervento penale ed ampliare l’area dell’intervento socio-sanitario»;
2) «distinguere fra i modelli di consumo (uso, uso problematico e dipendenze) e a differenziare le diverse sostanze, a seconda del maggiore o minore rischio farmacologico con ricadute sia sul versante penale (attraverso la decriminalizzazione delle sostanze a minor rischio farmacologico) che sociosanitario (cercando di prevenire la marginalizzazione sociale di tutti i consumatori);
3) «considerare la riduzione del danno come un “pilastro” delle strategie sociosanitarie, che integra la prevenzione e il trattamento»;
4) «estendere la gamma dei programmi e degli interventi, ricorrendo a sperimentazioni scientifiche (come per i trattamenti con eroina)».

Tra le principali novità, «il sostegno ai servizi sanitari e sociali di primo intervento» e «alle unità di strada» (art. 2, comma 4d), una definizione delle «patologie da sostanze psicotrope», di quelle «indotte», «associate» e «assimilabili» e di cosa si intenda per «consumo problematico» (art. 3) in modo da articolare risposte adeguate, l’istituzione di due comitati, quello delle «dipendenze patologiche», da far nascere in ogni Usl e quello di «coordinamento regionale» con la presenza anche di referenti delle cooperative sociali e delle associazioni di volontariato.

Ma il punto che più ha fatto discutere è il comma 4e dell’art. 2 dove si prevede «la promozione e il sostegno ad iniziative di sperimentazione di nuovi interventi di riduzione del danno ed in particolare: l’offerta gratuita di analisi delle sostanze per i consumatori anche se non utenti del singolo servizio, la predisposizione di luoghi igienicamente idonei presso i quali è possibile l’assunzione di sostanze».

Ma il governo va in direzione opposta
Contrarietà anche verso il semplice uso della droga; impegno per una prevenzione, da sviluppare su un piano informativo e culturale; nessuna acquiescenza o addirittura collaborazione nel mantenimento di soggetti in stato permanente di tossicodipendenza; repressione dello spaccio. Sono questi i caposaldi della «riforma» messa a punto dal vice-premier Gianfranco Fini e che il 7 giugno scorso ha avuto il via libera del Consiglio dei ministri. Adesso il disegno di legge «Modifiche ed integrazioni al testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», è assegnato in sede referente alle Commissioni riunite 2ª (Giustizia), 12ª (Igiene e sanità) del Senato.

Lo spirito della legge è ben sintetizzato nel comunicato che ha accompagnato il voto di Palazzo Chigi: «La filosofia da cui muove la riforma ruota attorno al principio cardine che detenzione, uso e spaccio di ogni tipo di stupefacenti sono, comunque, illeciti da reprimere con misure amministrative o penali». In sostanza è punito chiunque sia in possesso di hashish, marijuana, cocaina, eroina o droghe sintetiche. La dose media giornaliera (rigidissima per le «canne», più generosa per la cocaina) diventa semplicemente la soglia per il passaggio dalle sanzioni amministrative a quelle penali. Che a loro volta saranno molto più severe: da uno a sei anni di carcere per le ipotesi meno gravi fino a venti anni di reclusione. Per evitare la detenzione, già dopo la custodia cautelare, si potrà optare per il ricovero nelle comunità (in questo caso la misura sarà convertita negli arresti domiciliari).

  • Il testo della Proposta di legge regionale sulla droga

    Edizione del 10/11/2004