La fede e i media


La fede e i media


La prova della Chiesa sotto gli occhi di tutti


Giovanni Paolo II operato al Policlinico Gemelli



Da tempo ci si interroga su come è cambiata questa Chiesa di Giovanni Paolo II oggi di nuovo in ansia per la sorte del suo capo e di se stessa. Mutamenti epocali hanno segnato il lungo pontificato di Wojtyla che è cominciato nell’ultima fase della guerra fredda e che ora vive, con grande preoccupazione, l’esperienza di una “guerra calda” che, nonostante i distinguo sottili e le migliori intenzioni, si presenta come un confronto tra i “Paesi del bene” (occidentali e cristiani) e i “Paesi del male” (orientali ed islamici). Aumentano in questo contesto le preoccupazioni del Papa e della Chiesa di Roma di fronte ad una situazione di grande pericolo e di perdurante incertezza che vede in crisi anche le grandi organizzazioni “pacifiste”, come le Nazioni Unite, nelle quali la Santa Sede ha riposto, sin da Paolo VI, la propria, consapevole fiducia.


Una fiducia che ha indotto a innovare la dottrina cattolica ammettendo gli “interventi umanitari”, ma decretando la radicale “ingiustizia” della guerra, anche preventiva. Sul piano della politica propriamente religiosa, va ricordato che se, da una parte, una serie di gesti e di documenti hanno incrementato il dialogo interreligioso, dall’altra appare palese la difficoltà di migliorare i rapporti ecumenici con le altre cristianità. La spinta modernizzatrice (in alcuni casi perfino “femminista”) di alcune Chiese della comunione anglicana e l’inevitabile irrigidimento dogmatico delle Chiese ortodosse chiamate a svolgere un ruolo “nazionalista” in molti Paesi ex comunisti o a cercare di mantenere la loro condizione di privilegio, come in Grecia, hanno inceppato un processo che già trovava, in alcuni settori della Curia e degli episcopati, freddi sostenitori. La necessità di preservare l’identità della religione cattolica, in un mondo sempre più secolarizzato, e di far fronte al crescente individualismo, ha indotto il papato a tentare una sorta di restaurazione confessionale e a combattere ogni tentativo di escludere dalla vita pubblica Chiese e comunità. Ma non si è trattato – come con Pio X e Pio XI – di una chiusura difensiva, bensì di una proiezione mondiale, largamente mediatica, dei capisaldi cattolici, rivisitati in chiave di diritti umani fondamentali, che ha fatto del Pontefice romano il principale portavoce internazionale di valori universali, valori che per secoli la Chiesa aveva palesemente respinto. Facendo di questi diritti il tema centrale del suo magistero, Giovanni Paolo II ha finito per acquistare un’autorità morale nel mondo certamente maggiore di quella dei suoi predecessori immediati. A queste aperture si sono, è noto, sommate non poche inflessibilità dottrinali e non poche vibrazioni tradizionaliste.


Ma, oggi come oggi, sarebbe difficile dire che abbia prevalso nel pontificato un indirizzo di questo genere o che, invece, sia stato dato ascolto alle correnti innovatrici. In realtà questo Pontefice ha finito per scompaginare le vecchie linee interpretative della realtà ecclesiale, mescolando, abilmente e consapevolmente, arditezze politiche e conservazione teologica, rinforzando con ampie deleghe i poteri della Curia romana, ma valorizzando, con la Apostolos Suos, le conferenze episcopali (nazionali e continentali), e i movimenti come l’Opus Dei, Comunione e Liberazione e molti altri attivi soprattutto in Europa e in America Latina. Questo, però, non ha risolto il problema del governo ecclesiastico e del raccordo, formale e sostanziale, tra Pontefice e collegio episcopale, né ha permesso di affrontare la crisi generalizzata delle vocazioni e il problema del ruolo dei laici, donne e uomini, nella Chiesa del terzo millennio. Né si sono fatti passi avanti nelle questioni del matrimonio, della famiglia o della sessualità. Di tutto questo si deve e si dovrà tener conto nei tempi a venire. Il gioco è diverso dal passato. Le grandi divisioni non passano tanto fra tradizionalisti e progressisti, quanto tra Chiese nazionali e continentali che vogliono fare sentire la propria voce ed essere decisive per il futuro della Chiesa universale.


Se l’Europa prevale tra i cardinali elettori, non è detto che latino e nordamericani, africani, asiatici e australiani restino esclusi dalle scelte, non tanto di un pontefice, quanto del futuro della cattolicità. Certo considerando oltre un miliardo di cattolici, va detto che i 454 milioni di latino-americani sono quasi il doppio dei 286 milioni di europei, che i 117 dell’Africa superano i 108 dell’Asia, i 71 del Nord America e gli 8 milioni dell’Oceania. Una geografia universale, che non può non pesare. Ogni continente ha le sue aspirazioni. Ogni gruppo i suoi uomini di riferimento. In una situazione così complicata altissimi dignitari come i cardinali Sodano e Ratzinger possono sicuramente assicurare continuità. Personalità come il cardinale Ruini possono garantire che il cattolicesimo non vuole abbandonare la sponda occidentale. Personalità come il cardinale di Vienna, Schönborn, possono garantire un solido dialogo con tutta la cristianità. I cardinali latino-americani, che rappresentano quasi la metà dei cattolici del mondo, possono spingere per un più efficace ruolo del Sinodo dei Vescovi. Ruolo che potrebbe essere decisivo per quella ridefinizione del primato romano che le altre chiese cristiane, soprattutto ortodosse, vedrebbero con sicuro favore. La tentazione di fare affiorare differenze e contrasti potrebbe ora diventare più forte. È stato osservato opportunamente che con Giovanni Paolo II si è trasformato il “potere temporale in un potere dell’immagine” (Melloni). C’è da tenerne conto in un momento come questo. Sotto l’assedio dei media – spasmodicamente mobilitati – la segretezza svanisce. La Chiesa è sotto i riflettori, non solo il Papa con il suo corpo malato. I riflettori non si spegneranno più. La Chiesa deve dimostrare di essere all’altezza della nuova sfida.



Francesco Margiotta Broglio (C) Corriere della Sera, 25 febbraio 2005