CROCE ROSSA NON PIÙ NEUTRALE?
PIÙ POTENTE DI OGNI PASSAPORTO
Non hanno trovato forse neanche il coraggio di dire la verità. Di spiegare davvero perché non vogliono più la croce che da quasi centocinquant’anni campeggia su mezzi e divise, diventando un salvacondotto più efficace di qualunque potente passaporto. La motivazione ufficiale sa un tantino d’ipocrisia: il nuovo simbolo, dicono «permetterà al movimento di avvicinarsi al traguardo dell’universalità e rafforzerà la protezione delle vittime della guerra nel contesto politico attuale». Il nuovo simbolo è un cristallo, quello «vecchio» è la croce rossa.
In questi giorni, a Ginevra, i rappresentanti di 192 Paesi stanno decidendo di cancellarla. Una scelta strategica, vorrebbero far credere, quando invece appare un ossequio al politicamente corretto. Finirà in un angolino dentro il grande cristallo rosso insieme alla mezzaluna per fare posto alla stella di David. È la par condicio delle tre religioni monoteiste, come lamentarsi? No, nessuno si lamenta, figurarsi. Come se la sofferenza fosse un condominio che si può dividere in millesimi. Un po’ di cristianesimo, un pizzico di islam e il resto agli ebrei, tutto dentro un disegno romboidale.
Il simbolo, spiegano a Ginevra, deve essere neutrale come la bandiera svizzera coi colori invertiti, che divenne l’emblema della Croce Rossa alla metà dell’Ottocento, in onore del fondatore, l’elvetico Henry Dunant. Ma se lamentarsi sarebbe un eccesso, l’ipocrisia non è un dovere sociale. Fosse anche il volenteroso sforzo di nascondersi dietro un dito. Chi fino ad oggi guardava il simbolo dell’organizzazione umanitaria non pensava al governo di Berna. Quella croce induceva ad altro e di più.
E chi sta prendendo la decisione di cancellarla lo sa benissimo. Sbaglieremmo forse noi italiani a vedere in questa vicenda un’automatica trasposizione di tante polemiche nostrane, che in varie stagioni si sono succedute sul diritto all’esposizione pubblica del crocifisso. D’accordo, non facciamolo questo errore. Non ci si venga a raccontare però che un ferito, un uomo che sta male, resta turbato se a prestargli i primi soccorsi sono le divise di sempre, da sempre viste in ogni calamità di qualsiasi parte del mondo. Quanto ci vorrà ora perché tutti gli abitanti della terra imparino il valore dei nuovi simboli? E quale credenziale presenteranno gli operatori più espressiva della croce rossa? Rinunciare oggi, dopo un secolo e mezzo, alla croce in nome del rispetto delle altre religioni più che un traguardo condiviso sa tanto di armistizio al ribasso. Un passo indietro per tutti. Spegnere un simbolo senza che ne nasca un altro. Anche la scelta del cristallo fa intuire che cosa (non) c’è dietro. Il cristallo ha tante facce e la sua trasparenza è ingannevole. Il cristallo non sa di niente, non trasmette calore, né emozioni. Non è neutrale, al massimo è neutro. Sta lì senza prendere posizione, attento a non urtare nessuno. La croce dà “fastidio”? Per la verità, da molto prima di finire sulla fiancata di un’ambulanza. Cancellarla però non dà sollievo ad alcuno, e forse priva molti, molti di più di quanti siano i cristiani, di un segno forte capace di dare senso alla sofferenza. Un segno già universale, che nella sua universalità parla al cuore di ciascuno. È in se stesso un messaggio di fraternità senza barriere, senza lottizzazioni pelose, senza ghettizzazioni incombenti. Se nell’epoca della globalizzazione impoveriamo i segni già universali, che speranza abbiamo di umanizzare il tanto che ancora resta disumano?
Ma i signori che stanno a Ginevra hanno provato a ragionare mettendosi nei panni veri dei bisognosi e degl i afflitti?
Carlo Baroni
Avvenire.it