La lettera apocrifa del «ministro» Dachan, presidente dell’Ucoii
L’Italia è diventata uno Stato islamico? Ovvio che no. Il ministro dell’Interno è un dirigente islamico? Ovvio che no. Ma non è di questo avviso Nour Dachan, il presidente dell’Ucoii…
di Magdi Allam
L’Italia è diventata uno Stato islamico? Ovvio che no. Il ministro dell’Interno è un dirigente islamico? Ovvio che no. Ma non è di questo avviso Nour Dachan, il presidente dell’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia) che ha scritto di proprio pugno la bozza di un documento ufficiale che inizia così: «Caro Amico, cara Amica, sono il Ministro dell’Interno. Ti do il benvenuto nello Stato Italiano». Firmato: «On. Giuliano Amato, Ministro dell’Interno». Solo che Amato non ne sapeva nulla e, ovviamente, non potrebbe mai aver affidato a Dachan il compito di redigere il testo di una lettera dello Stato rivolta agli immigrati.
Mi sembra evidente che ciò che a tutti noi oggi appare inverosimile se non impossibile, così non è per gli integralisti e gli estremisti islamici che sin d’ora manifestano le loro ambizioni di conquista e di potere. Ovviamente all’insegna del più rigoroso islamicamente corretto. A cominciare dalla rigida discriminazione tra i sessi: la lettera dovrebbe essere su un foglio rosa se è rivolta a un’immigrata, su un foglio azzurro se è per un immigrato. Non solo: «Per qualsiasi informazione o disagio», Dachan propone l’attivazione di due linee verdi, una per le donne e una per gli uomini. Meglio evitare la promiscuità anche se a distanza via cavo, bisogna essere il più possibile previdenti in vista dell’instaurazione dello Stato Islamico d’Italia.
Dachan ha ritenuto opportuno distribuire il testo della lettera a firma di Amato, ma scritta da lui, nella sede del ministero dell’Interno nel corso dell’ultima riunione della Consulta per l’islam italiano svoltasi sabato 11 novembre, in assenza di Amato. È una sequela di farneticazioni lesive della sovranità e dignità dello Stato, dei diritti fondamentali della persona, nonché un elenco di rivendicazioni quasi si trattasse di approdare in una terra di nessuno dove non esistono doveri: «Caro amico, cara amica, lo studio per i tuoi figli è un diritto garantito dalla Costituzione, le cure di urgenza sono assicurate dallo Stato Italiano, le forze dell’ordine (polizia, carabinieri) sono, nello Stato democratico, al servizio del cittadino, ci sono nella tua fabbrica associazioni chiamate sindacati per difendere i tuoi diritti».
C’è un passaggio sulla parità tra i sessi che sarebbe ineccepibile se non fosse per l’attribuzione di titoli islamici che costringono a riflettere: «Ricordati: caro fratello e cara sorella, che maschi e femmine sono di pari diritti, doveri e dignità nello Stato italiano». Poi, però, all’atto pratico il Dachan-Amato chiede la discriminazione sessuale persino nel colore della lettera ufficiale del Viminale, per accreditare questo principio a livello delle istituzioni dello Stato. Più in generale l’immigrato viene esaltato come una sorta di salvatore dell’Italia e l’immigrazione viene considerata come un fenomeno automaticamente positivo: «Caro amico, sei una risorsa per l’Italia. (…) La diversità di sesso, religione, etnia, ecc. devono essere una ricchezza e uno stimolo al dialogo, una ricompensa e mai fonte di scontro». Il concetto di integrazione non compare mai ed è sostituito da quello di «partecipazione», che sottintende che l’immigrato non deve perdere i propri valori e la propria identità religiosa e nazionale, bensì cercare di conciliarli con quelli degli italiani.
Al riguardo, sempre nella stessa riunione al Viminale, Dachan ha in realtà chiarito che, se dovesse essere costretto a scegliere tra la lealtà all’Italia e la lealtà all’islam o alla Siria, il suo Paese d’origine, ebbene lui non si schiererebbe dalla nostra parte: «Io non posso firmare una Carta dei valori in cui si condanna la pena di morte perché è prevista dal Corano. Ugualmente da noi in Siria la pena di morte è accettata ed eseguita. Non mi potete costringere ad affermare il contrario».
Dachan può essere tranquillo. Perché lui ha già vinto. La «Consulta per l’islam italiano» si è trasformata nella «Consulta dell’Ucoii». È lui il vero protagonista che detta legge e impone la sua volontà. I comunicati ufficiali del Viminale sono rassicuranti e il prefetto Testa ha chiesto ai membri della Consulta di non rilasciare interviste alla stampa. Non aiutano la mediazione, eterna e interminabile, sui valori su cui non si dovrebbe mercanteggiare: la sacralità della vita, la dignità e libertà della persona. Ed è così che alcuni dei musulmani «moderati» stanno disertando le riunioni della Consulta. Si sono stufati anche dei dolcetti che Dachan regolarmente offre, come se si trattasse del salotto di casa sua e non il ministero dell’Interno.
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Corriere della Sera 13 novembre 2006