«Eri un terrorista vero non prenderci per fessi»
«Avevano ragione i killer del gabbione, i brigatisti sghignazzanti. Invece avevano torto le vedove e le madri degli agenti di via Fani. E come loro ha avuto torto marcio chi si è fatto uccidere e chi è rimasto in vita a piangere. Guardiamoci attorno, in questo Paese di cartapesta che è l’Italia». È proprio vero: viviamo nel Paese dei Balocchi. La cruda analisi arriva da un editorialista di sinistra, Giampaolo Pansa.
Per la sinistra Sergio D’Elia, l’ex terrorista di Prima Linea eletto segretario d’Aula a Montecitorio, è già un simbolo da esporre. Lo vogliono far passare per il compagno redento. Quasi bastasse l’appellativo ex per far dimenticare i crimini degli anni Settanta. Come se quell’ex lavasse tutte le colpe e riabilitasse a vita nuova. Il punto: un ex terrorista è un ex assassino? «Quando avevano già cominciato ad accoppare i servi dello Stato o della reazione – scrive Pansa sull’Espresso – per una parte della sinistra continuavano a essere “compagni che sbagliano”. Nel tempo delle rivoltelle, quello slogan aveva la forza di uno scudo politico». Oggi lo scudo è proprio quell’ex che riempie le bocche di politici e opinionisti di ogni sorta. Eppure Pansa non ci sta. Ricorda gli anni Settanta. Legge la lettera scritta dall’esponente della Rosa nel Pugno a tutti i parlamentari. Si stupisce di un passaggio: «La mia identità politica e la mia lotta negli anni Settanta – scrive D’Elia – possono forse essere approssimate alle idee “libertarie” di un anarchico dell’Ottocento…». «Per favore, onorevole – ribatte Pansa nel suo editoriale – sia contento di come le va oggi. Ma non sia così arrogante da prenderci per fessi». E gli va piuttosto bene, dal momento che ha già buttato alle spalle la vita spezzata dell’agente Fausto Dionisi. Era il 1978. In una Firenze d’altri tempi. Erano gli anni di piombo, quelli della contestazione armata e delle schioppettate facili. Ora sono gli anni della riabilitazione, del buonismo a tarallucci e vino. La sinistra accusa la Casa delle Libertà di cavalcare la polemica. Ma, accantonato il centrodestra, dovrà pur tener conto di chi è stato segnato per sempre dalle scelte di D’Elia. Mariella Magi, vedova del poliziotto ucciso, intervistata da alcuni giornali, tradisce con il tono della voce la sofferenza che vorrebbe nascondere nel suo cuore: «Di una cosa sono certa: il “fine pena mai”, la formula usata nei processi per indicare l’ergastolo, l’ha preso solo mio marito e non i terroristi». Questa non è polemica: è dolore.
Una scelta sbagliata non può essere liquidata come tale se mina la vita di terzi. Pansa ripercorre quel 14 aprile 1982: il bunker del processo per l’assassinio di Aldo Moro e le raggelanti risate dei terroristi rossi: «Quella compagnia di becchini sghignazzava sul dolore delle loro vittime». Ma l’Italia dimentica. E, all’occasione, perdona. I terroristi rossi hanno avuto una gran fortuna. «Se falliscono come autori, i nostri ex possono sempre rifarsi con le interviste ai giornali – si legge sull’Espresso – e poi con le comparsate in tivù, e poi con i convegni, e poi con i seminari. Dappertutto vengono accompagnati con pacche sulle spalle, accompagnati da grida di soddisfazione ammirata: guardate come sono cambiati, come sono diventati civili, come sono pacifici e pacifisti». Già negli anni della galera, la redenzione di D’Elia è stata accompagnata dalla fondazione Nessuno tocchi Caino schierata contro la pena di morte. Ma il suo passato torna a galla – perché non tutti riescono a dimenticare con grossolana faciloneria. D’Elia non mostra affatto imbarazzo: «Quel che non accetto è di rimanere ostaggio perpetuo della memoria, del mio passato e di ciò che ho compiuto trent’anni fa». Trent’anni son passati. Sotto i ponti è passata molta acqua. Ma D’Elia non riesce (o non vuole) concedere alla signora Mariella che il suo dolore non ha tempo. Non può averlo dal momento che i dodici anni passati in carcere dall’ex terrorista non colmeranno mai l’ergastolo di una moglie strappata dal marito. Il resto, sì, che sono inutili polemiche, sterili prese di posizione e meschini trasformismi atti a dimostrare che il male era negli anni Settanta e non nelle singole persone. Così è: comunque vada, un’attenuante la si trova sempre.
di Andrea Indini
La Padania [Data pubblicazione: 11/06/2006]