Perché Mosca non può rinunciare al Caucaso
In verità non c’è bisogno di pensare al petrolio per capire la ferrea determinazione di Mosca. E’ sufficiente considerare le vicissitudini della statualità russa di cui l’attuale federazione rappresenta l’ultima incarnazione, terribilmente monca rispetto a quella che ancora quindici anni fa era l’Unione Sovietica…
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
© Corriere della Sera 07 Settembre 2004
Mi sembra che ci sia una buona dose di semplificazione nel modo in cui in Europa Occidentale si guarda generalmente al dramma della Cecenia. Ai più appare inspiegabile l’ostinazione di Mosca in quella regione. Ci appare il frutto di uno sciovinismo cieco. E proprio ciò rende in certo senso ancora più atroce ai nostri occhi la carneficina di Beslan: che senso ha rischiare orrori simili per mantenere soggiogato un minuscolo territorio come la Cecenia? Da qui l’idea diffusa che quella regione sia in realtà decisiva in vista di chissà quale strategia petrolifera intercontinentale, le cui tappe non sono ancora evidenti ma che qualcuno di sicuro ha già programmato. In verità non c’è bisogno di pensare al petrolio per capire la ferrea determinazione di Mosca. E’ sufficiente considerare le vicissitudini della statualità russa di cui l’attuale federazione rappresenta l’ultima incarnazione, terribilmente monca rispetto a quella che ancora quindici anni fa era l’Unione Sovietica, amputata dopo il 1990 dei Paesi Baltici, dell’Ucraina, della Moldova, delle sterminate repubbliche dell’Asia Centrale, con la Bielorussia perfino oggi indipendente. Amputazioni immani che si spiegano con il carattere storicamente singolarissimo della statualità russa, costruitasi intorno a un piccolo nucleo originario per aggregazioni successive di territori immensi e di popolazioni non russe. L’intero Caucaso di cui la Cecenia è parte costituisce l’ultima grande tessera del mosaico statale russo, conquistato da Mosca tra Sette e Ottocento, ancora sotto il suo dominio. Divide questo destino con la Crimea: se l’uno e l’altra sfuggissero dall’orbita attuale, lo Stato russo sarebbe ridotto in pratica all’antico Granducato di Moscovia più la Siberia: a un gigantesco corpo asiatico con una piccola testa europea.
La politica repressiva di Putin si è finora rivelata non solo di una brutalità inaudita ma, anche per questo, assolutamente impotente. Ma alla luce di quanto detto è comprensibile come un governo russo si senta tremare le vene e i polsi alla sola idea di soddisfare le aspirazioni indipendentistiche della Cecenia. Come non temere che una simile mossa inneschi incontrollabili processi a catena in tutta l’area, dove Mosca, tra l’altro, ha già dovuto rinunciare all’Armenia e alla Georgia? Quale governo russo può correre il rischio di mortificare ancora, dopo quel che è successo negli ultimi quindici anni, il fortissimo sentimento nazionale della propria opinione pubblica? È anche di questi timori che deve farsi carico chi in Occidente vuole aiutare Mosca e il popolo ceceno a uscire dall’incubo attuale.
Il quale ci ricorda un ulteriore fattore di grande rilievo geopolitico. E cioè che, con la fine dell’Unione Sovietica, la storia ha virtualmente rimesso in discussione anche la lunga frontiera terrestre tra Europa e Islam che dal Mar Nero giunge fino alla Mongolia lambendo l’Himalaya e il confine settentrionale delle grandi penisole asiatiche e della Cina. Gli zar, e poi Lenin e i suoi successori avevano dilatato al massimo quella frontiera a spese dell’Islam; avevano portato le opere di Puskin nelle aule di Taskent e i ritratti di Marx ed Engels nei bazar di Samarcanda e nelle piazze di Alma Ata. Ora, dopo trecent’anni, quel processo sembra sul punto di rovesciarsi, anzi ha già cominciato a farlo.
L’Islam è di nuovo più o meno padrone dell’Asia ex sovietica, o comunque può sperare di giocare in futuro le sue carte con speranza di successo, mentre il secolare ruolo di contenimento svolto dai russi appare sempre più problematico. Per la Cecenia oggi passa anche quella frontiera, e tra le rovine di Grozny si gioca anche quella nuova gigantesca partita.
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