Kamikaze e martiri ?

Tra i martiri cristiani ed i kamikaze musulmani o di qualunque ideologia non esiste analogia né identità possibile 
 
 Si legge sul Corriere della Sera del martedì 2 dicembre 2008, a pag. 43: “Lo zelo dei martiri cristiani consente di tracciare un significativo confronto con ciò che accade oggi al mondo islamico, in cui pure affiora un’ostentata ricerca del martirio, e la vita oltre la morte è giudicata la sola vera vita” (Su una idea del libro Inchiesta sul cristianesimocome si costruisce una religione, di C. Augias e R. Cacitti). Il testo viene accompagnato da una fotografia di una donna musulmana, col figlioletto in braccio, che si è fatta esplodere, uccidendo altre persone nel 2004.
 
 Il dato di partenza è sbagliato alla base: si accosta il concetto di kamikaze suicida (musulmano o meno) a quello del martire cristiano, sotto la stessa idea di martirio. Questo è un grave errore, perché sono realtà completamente diverse tra di loro. Vediamo perché.

Kamikaze 
 
  la parola Kamikaze è un termine che il Giappone ha consegnato all’Occidente. I piloti kamikaze giapponesi al comando dei celebri aeroplani "Zero" diventarono famosi durante la Seconda Guerra mondiale per gli attacchi suicida contro le navi di guerra statunitensi nel Pacifico. Quei giovani piloti erano coscienti che stavano compiendo un’insolita missione di guerra quando staccavano dalle piste giapponesi in rotta alla morte, perché il loro era un volo senza ritorno. Quando avvistavano le imbarcazioni del nemico attaccavano con decisione, lanciando loro tutti i proiettili ed una volta che li erano esauriti, dirigevano il proprio "Zero" contro le navi. Sapevano che quanto più danneggio infliggevano al nemico più gloriosa risulterebbe la loro impresa. 
 
 Il gesto dei piloti giapponesi impressionò tanto la sensibilità occidentale che da allora il termine Kamikaze è venuto a fare parte della nostra cultura e linguaggio. Oggi si denomina un kamikaze chi porta a termine un’azione suicida ammazzando contemporaneamente ad altri innocenti. 
 
I kamikaze musulmani non sono martiri  
 
  Buona parte dell’opinione pubblica giudica le cose in maniera abbastanza superficiale, basandosi su quello che si dice ed in tutto quello che divulgano gli onnipresenti mezzi di comunicazione. Questo ha delle conseguenze importanti, perché rinunciando a fare uso della propria intelligenza per leggere dentro le cose e degli eventi, allora si genera la confusione nelle idee che si espande poi come un’epidemia culturale. L’esempio è il modo equivoco ed inappropriato con che molti giornalisti, sociologi, politici e gente della strada chiamano "martiri" ai militanti islamici: i kamikaze imbottiti di esplosivi, che seminano la morte e l’orrore in Palestina, Africa ed altre regioni dell’Oriente. Perfino stano già alle porte di casa, qui in Europa.
 
   La semplicità e genericità con la quale si denomina "martiri" a quei terroristi fa sí che molti pensino che il suicida, il kamikaze, sia spontaneamente equiparabile col martire cristiano. Tuttavia, niente sta più lontano dalla realtà. Tra i martiri cristiani ed i kamikaze -musulmani o di qualunque ideologia- non esiste analogia né identità possibile; usare lo stesso termine indistintamente è un deplorevole equivoco del linguaggio che genera la confusione e l’impoverimento delle idee. 
 
   Nel linguaggio ci sono termini analoghi, univoci ed equivoci. Per ciò è un equivoco madornale chiamare martire chi si suicida facendosi esplodere ed ammazzando altre persone con sé. Allo stesso modo che si chiama al martire cristiano, che offre la sua vita in un gesto di amore e perdonando ai suoi boia. Non c’è analogia possibile tra uno e l’altro, perché si tratta di realtà opposte. Un suicida non è un martire. Ogni cosa deve essere chiamata col suo nome: "al pane, pane ed al vino, vino" (al pan, pan y al vino, vino) come si dice ancora in castigliano. Non li chiamiamo, allora, martiri bensì quello che sono in realtà: terroristi suicidi.
 
Il vero martire
 
   Il martire cristiano è un imitatore di Gesù Cristo, chi insegnò con la sua Parola e col suo esempio il modo più elevato dell’amore: "Nessuno ha un amore più grande di quello che dà la vita per l’amico". Il motivo del martire cristiano è l’amore, perché prende come modello Gesù che offre la sua vita per la salvazione dell’umanità. 
 
   Il suicida o kamikaze – sia musulmano o non – decide di morire perché pensa che la sua immolazione rappresenta un bene per la sua causa ed un gesto eroico degno di imitare per altri seguaci. È vero che può ispirare a motivi culturali e politici, come l’ideale di una patria libera, ma in fondo agisce spinto da un odio impeccabile contro il suo nemico. Il kamikaze musulmano è nell’idea che il suo sacrificio sarà compensato con un paradiso di piaceri ed un harem aspettandolo. Questo è un errore invincibile che è fisso nella mentalità del combattente musulmano, perché agisce sotto i giudizi dalla Yihad o guerra sacra loro.
 
   Il martire cristiano si situa in un piano completamente diverso. Non si ammazza né ammazza nessuno; ma accetta liberamente perdere la vita per mantenersi fedele a Gesù Cristo e alla verità. Il suo gesto lo trasforma in "testimone", perché questo è il vero significato di martire, testimone dell’amore più grande. Non dell’odio né della vendetta che distruggono, perché Cristo ci ordinò di amare anche i nemici. 
 
 Il kamikaze ispira il suo gesto fatale alla legge del taglione, e si crede giustificato ad usare la violenza selvaggia contro persone innocenti, per terrorizzare ed esasperare al nemico della sua causa. La sua causa è una causa ispirata dall’odio. Il martire cristiano ispira la sua azione dall’amore, e ha la certezza che il suo sangue generoso serve per fortificare la fede dei suoi fratelli. Tertulliano lo lasciò condensato in una frase celebre: "Il sangue dei martiri è seme di vita cristiana". Al martire gli tolgono la vita, mentre il kamikaze muore assassinando altre persone. Il martire muore perdonando ai suoi persecutori; il kamikaze muore odiando coloro che accusa di oppressori e nemici. Il kamikaze lascia un messaggio di vendetta, di odio e disperazione; una spirale di violenza che genera più violenza. Il martire cristiano lascia un messaggio di amore, di riconciliazione e di perdono. Solo il perdono può portare la pace.
 
 Solo l’amore e il perdono – mai l’odio e la vendetta – possono migliorare il mondo. I martiri cristiani sono un’espressione di questo amore più grande, ad imitazione di Gesù Cristo, il re dei martiri. 
 
Giudizio dell’antropologia cristiana sul martirio 
 
  La Chiesa cattolica ha respinto sempre tutti gli eccessi ed il fanatismo. Una delle secolari virtù della Chiesa è stata la sua capacità di adattarsi a tutti gli uomini e culture, perché basa i suoi insegnamenti sulla conoscenza esatta della natura umana, che è sempre la stessa malgrado cambino i tempi e le circostanze. La morale cristiana insegna ad educare la parte inferiore ed a regolarla con la parte superiore, sotto la guida e direzione della fede e della ragione armonizzate. Questa qualità ha permesso alla Chiesa cattolica di camminare con passo sicuro in mezzo alle correnti antropologiche più opposte, perché ha saputo trovare la giusta via per condurre la condotta umana nell’equilibrio razionale e non negli eccessi della passione smisurata. 
 
   Questa moderazione brilla con luce speciale nei principi e nella condotta che la Chiesa ha seguito, come Madre e Maestra di civiltà, in tutto ciò relativo al martirio, in maniera che solo nei martiri cristiani può osservarsi con verità quel tipo umano cosciente, equilibrato, non esaltato, e pieno di fortezza evangelica davanti alla prova suprema del martirio. Per finire è utile chiarire che il martirio è un dono ed una vocazione che non è data a tutti i cristiani. 
 
 

Luis Alfonso Orozco, LC