Italia in declino: l’ideologia prevale sulla ragione

COMUNICATO DELLA SALA STAMPA DELLA SANTA SEDE

Nel pomeriggio la Sala Stampa della Santa Sede ha rilasciato il seguente comunicato:

A seguito delle ben note vicende di questi giorni in rapporto alla visita del Santo Padre all’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, che su invito del Rettore Magnifico avrebbe dovuto verificarsi giovedì 17 gennaio, si è ritenuto opportuno soprassedere all’evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto intervento.

1) Povera Chiesa, anzi povera Italia di Michele Brambilla

2) Mai accaduto prima: l’Italia tappa la bocca a Benedetto XVI di Andrea Tornielli

3) I 67 rivoluzionari che tengono famiglia

1)

Povera Chiesa, anzi povera Italia

di Michele Brambilla

Poiché oggi saranno tutti una voce sola nel difendere Benedetto XVI, vediamo di piantare qualche paletto che ci permetta di distinguerci dal coro.
Primo. Attenzione a chi parla di «rinuncia». Il Papa non ha rinunciato: è stato costretto a rinunciare. Lo sanno tutti che il ministero degli Interni non aveva garantito il tranquillo svolgimento della giornata. Ratzinger se ne infischia della propria incolumità, ma non ha voluto mettere a rischio quella degli altri. Per questo lui ha fatto bene a lasciar perdere, ma al Viminale farebbero bene a vergognarsi.
Secondo. Il ministero degli Interni ha già altre figuracce simili nel proprio cursus honorum: non aveva potuto garantire neppure la sicurezza di Bush a Trastevere. Ma è colpevole solo in seconda battuta. In prima, sono colpevoli i 67 docenti della Sapienza che hanno acceso la miccia. Cominciando con il contestare un discorso del Papa su Galileo che evidentemente non hanno mai letto, come documenta il nostro Andrea Tornielli a pagina tre; quindi aizzando le teste calde di tutta Italia; infine ieri, a frittata fatta, facendo pateticamente marcia indietro. Fulgido esempio di hombre vertical, hanno «precisato» che la loro contestazione non era rivolta al Papa ma al rettore. Ha detto bene Casini: «Se questi sono i professori dei nostri figli, c’è da avere paura del futuro».
Terzo. Questi 67 tuttavia non nascono dal nulla. Alla faccia di quel che dicono i Flores d’Arcais e le Bonino («C’è un’egemonia clericale sulla nostra cultura»), in Italia è vietatissimo urtare la sensibilità dei fedeli delle altre religioni, magari anche solo con una fetta di salame nelle mense scolastiche: ma è lecito, lecitissimo sputare addosso alla Chiesa in nome della libertà. Certe volgarità al Gay Pride, le prime pagine sul «pastore tedesco» e le battute grevi dei matematici-scrittori («Ratzinger avrebbe dovuto chiamarsi Adolfo I») sono permesse, anzi applaudite nei salotti bene.
Quarto. Non si invochi la libertà di critica. Quella è fuori discussione. Ma i barricadieri della Sapienza non volevano «criticare», volevano impedire al Papa di parlare. Come i fascisti – lo ha ricordato Galli della Loggia sul Corriere – che nel ’23-24 impedirono a Salvemini e Calamandrei di far lezione.
Quinto. Attenzione anche a chi difende il Papa citando Voltaire. A volte lo scopo ultimo è affermare questo: che se tutti hanno comunque diritto di parola, ce l’ha perfino Ratzinger. Ora, il Papa lo si può condividere o no, ma i «comunque» e i «perfino» si applicano a chi porta idee aberranti. E non è questo il caso.
Insomma quella di ieri è stata una giornata nera. Non per la Chiesa – il cristianesimo anzi è tanto più vincente quanto più è apparentemente perdente – ma per l’Italia. E per la ragione.
Il Giornale 16 gennaio 2008

2)

Mai accaduto prima: l’Italia tappa la bocca a Benedetto XVI

Wojtyla annullò soltanto i viaggi in Libano e nell’ex Jugoslavia per motivi di guerra. Il rettore: «Sono rammaricato». Cl: «Che vergogna»

di Andrea Tornielli

Il comunicato della Sala Stampa era atteso per le 17 e a quell’ora è arrivato. Un testo asciutto, per nulla polemico, lapidario, anche se senza precedenti. Per dire che Benedetto XVI domani non andrà alla Sapienza. «A seguito delle ben note vicende di questi giorni in rapporto alla visita del Santo Padre all’Università degli studi La Sapienza, che su invito del rettore magnifico avrebbe dovuto verificarsi giovedì 17 gennaio, si è ritenuto opportuno soprassedere all’evento. Il Santo Padre invierà, tuttavia, il previsto intervento». Motivi di opportunità, dunque, per una scelta di grande responsabilità. Era accaduto due volte, in 27 anni di pontificato itinerante, che Giovanni Paolo II rinunciasse a un viaggio. Papa Wojtyla, per motivi legati alla sicurezza, dovette annullare prima il viaggio a Beirut, previsto per l’11 aprile 1994, poi quello a Sarajevo, annunciato per l’8 settembre di quello stesso anno. In entrambi i casi, a costringere il Pontefice a fare dietrofront erano stati problemi legati non tanto (o non solo) alla sicurezza della sua persona, quanto piuttosto a quella dei fedeli che lo avrebbero accolto. Wojtyla rimediò andando prima a Sarajevo e poi in Libano a poche settimane di distanza, nel 1997.
Il paragone appare incongruo – allora si trattava di zone appena uscite dalla guerra -, qui si tratta di una cerimonia nell’aula magna di un ateneo romano, ma la motivazione che ne sta alla base, alla fine, è la stessa. Evitare i preannunciati incidenti.
Papa Ratzinger non teme e non ha mai temuto per la sua incolumità: «Pregate – disse inaugurando il pontificato – perché non scappi davanti ai lupi». Nel novembre 2006, nonostante gli inviti contrari e il clima non certo sereno, Benedetto XVI ha scelto comunque di recarsi in Turchia, prima ad Ankara e poi a Istanbul, accogliendo l’invito del patriarca ecumenico Bartolomeo e sfruttando l’occasione della visita nella Moschea Blu per lanciare un segnale di dialogo e di amicizia al mondo islamico dopo il fraintendimento di Ratisbona. Questa volta, di fronte alla possibilità concreta di scontri tra studenti e di scontri tra studenti e polizia, ha deciso di rinunciare a un appuntamento – la presenza all’università – che evidentemente né lui né i suoi più stretti collaboratori hanno giudicato indispensabile.
«Apprendo della decisione della Santa Sede e la rispetto, anche se con rammarico – ha dichiarato il rettore della Sapienza, Renato Guarini -. L’incontro con il Pontefice poteva rappresentare un momento importante di riflessione per credenti e non credenti su problemi etici e civili, quale l’impegno per l’abolizione della pena di morte, che sono la linfa vitale del nostro lavoro didattico». «L’ascolto della voce di uno studioso che ha scritto su temi del nostro tempo – ha detto ancora il rettore – sarebbe stato alimento per la libertà delle coscienze e per tutti coloro che si interrogano laicamente. Si conferma il regolare svolgimento della cerimonia di inaugurazione». Il discorso del Papa sarà distribuito ai presenti, in assenza di colui che l’avrebbe dovuto pronunciare.
L’annuncio ufficiale della cancellazione della visita ha provocato una valanga di reazioni. Un gruppo di un centinaio di professori e di ricercatori di vari atenei italiano, «di provenienza disciplinare prevalentemente scientifica e orientamento culturale anche diverso», ha firmato una lettera indirizzata al rettore Guarini, ritenendo «inaccettabile sia il tono, sia la forma, sia la sostanza delle lettere» inviate dai docenti di Fisica romani al rettore per bloccare la visita del Papa, con il «riferimento» a Galileo e la citazione avulsa «dal contesto e amputata di tutto il commento successivo». I firmatari esprimono la loro solidarietà a Guarini. Luigi Alici, presidente dell’Azione Cattolica italiana, ritiene «grave e incomprensibile» motivare un divieto di accesso «a prescindere», come se «un Papa che entra in università commettesse un abuso intollerabile, non per quello che potrebbe dire, ma per quello che rappresenta». Comunione e Liberazione, in un volantino che sarà distribuito nelle città italiane, parla di «un’altra vergogna»: «I Papi hanno potuto parlare ovunque nel mondo (Cuba, Nicaragua, Turchia, etc.). L’unico posto dove il Papa non può parlare è la Sapienza, un’università fondata, tra l’altro, proprio da un Pontefice». Cl attacca la «fatiscenza culturale dell’università italiana» e «l’incapacità del governo a garantire la possibilità di espressione sul territorio italiano».
Il Giornale 16 gennaio 2008

3)

I 67 rivoluzionari che tengono famiglia
Già arrivano le prime defezioni nel fronte dei firmatari: criticavamo il rettore, non il Papa

Sessantasette scienziati, in fila per tre col resto di uno. Ultime dalla Sapienza, ce l’hanno fatta. Entusiasmo tra gli studenti, giovedì grasso, urrah tra i docenti, con un paio di lettere hanno rispedito a casa il dottor Ratzinger, come da loro viene chiamato ripetutamente, quasi con disprezzo, forse per il dottorato, forse per il cognome tedesco. Emergenza rifiuti anche all’università romana ma questo è un altro discorso che provocherebbe allergie e reazioni tra gli intolleranti. Sessantasette fisici, che non sono palestrati di gran moda, ma professori di scienze e affini, hanno vinto la loro battaglia, supportati e sopportati dalla solita banlieue studentesca.
In verità ieri pomeriggio, attorno alle cinque, si è capito di che tipo di combattenti si trattasse e si tratti. Fisici ma con scarso fisico. Basta leggere la buffa letterina di scuse, chiarimenti e richiesta di conciliazione, scritta in un attimo di pentimento, magari di nascosto, a luce bassa, nell’angolo del proprio ufficio, da Giancarlo Ruocco, direttore del Dipartimento di Fisica della Sapienza: «Nelle due lettere,la prima scritta il 14 novembre scorso dal fisico Marcello Cini, la seconda il 22 novembre, firmata da oltre 60 docenti che condividevano le posizioni di Cini e hanno deciso di appoggiare questa sua iniziativa chiedendo al rettore di rinunciare all’invito, non c’era alcun intento censorio nei confronti del Papa, bensì il desiderio di una parte della comunità accademica di esprimere la propria opinione in merito alla decisione del rettore. Queste lettere, infatti, erano rivolte al rettore che aveva fatto la scelta di inaugurare l’anno accademico, momento simbolico per l’inizio di un percorso formativo, proponendo come docente Benedetto XVI, ossia il maggior rappresentante culturale di una confessione religiosa».
Dunque la colpa è del rettore, Renato Guarini, lui è da crocifiggere, lui è il responsabile del pastrocchio, il Papa non c’entra, o meglio c’entra per colpa di Galileo da lui riprocessato a distanza di quasi mezzo millennio, giù le mani dal pendolo, fuori dalla Sapienza le tonache e i turiboli. Per la cronaca e il pettegolezzo, l’estensore della prima epistola, Cini Marcello, si era già fatto conoscere e riconoscere negli anni Settanta, scrivendo, sulle colonne del Manifesto (mensile), graziosi e postmoderni pensieri sulla scienza, cercando di limitarne ricerca e sviluppo per non avvantaggiare il capitale, anzi la prima e più importante scienza da sviluppare per il proletariato è «la critica dell’economia politica» e, rimpolpando la tesi «… nel regime capitalistico la scienza diventa mezzo di produzione e dunque di capitale, e in quanto tale si contrappone come potenza esterna all’operaio e lo schiaccia, rendendolo strumento di fini a lui estranei». Pensieri e parole del Cini rivolte non ai borghesi maiali ma al Pci colpevole di aver organizzato un convegno sulla ricerca scientifica, meglio il panino con la salamella.
Non contento dell’elaborato, il professore aggiungeva che «un esempio dell’uso alternativo della scienza andava da ritrovarsi in Cuba, nella Cina e nel Vietnam dove la scienza stessa era compagna di un impegno collettivo che scuote l’intera società, di una dura lotta contro l’imperialismo e i suoi valori, di uno slancio ideale per costruire il socialismo».
Trascurerei l’eliminazione fisica, non soltanto politica, di chi non la pensava e non la pensi ancora con lo slancio e l’impegno collettivo di cui sopra, questo, nella lettera novembrina del professor Cini, non appare. Ma Ruocco e i suoi fratelli, tra questi Carlo Bernardini (da mandare a memoria il passaggio finale di una sua intemerata contro la Moratti Letizia, dal titolo La straordinaria potenza delle ovvietà…«voglio essere privato di libertà cui ormai aspirano tutti… »), Giorgio Parisi, Carlo Costelli, Carlo Maiani, fresco di nomina alla presidenza del Cnr, Andrea Frova, tutti illustri professori, docenti, intellettuali, scienziati ma, in fondo in fondo, alla fine, proprio alla fine, non timorati di Dio ma timorosi degli eventi, perché tengono famiglia e, pur avendo tutte quelle medaglie sul petto e sotto il tocco, non riescono ad andare in guerra sul serio, preferendo sparare al bersaglio facile, il rettore Guarini e facendo la finta riverenza al dottor Ratzinger. Scrivono, infatti, Rocco e i suoi fratelli: «Nessuno, tanto meno i docenti della Sapienza, vuole esercitare un arrogante diritto censorio sulla libertà di espressione del pensiero religioso, o politico che sia». Balle, don Abbondio aveva più attributi. Ma il finale è strepitoso, perché, come accade con i calciatori, la colpa è dei giornalisti, Ruocco si rammarica che la stampa «abbia dato più rilievo a quella che si intendeva essere una lettera privata di un gruppo di docenti al loro rettore, ignorando invece la lettera aperta, pubblica di Marcello Cini, incoraggiando schieramenti estremisti che nulla hanno a che vedere con la discussione avvenuta due mesi fa tra docenti e rettore».
Dovrebbero ringraziare, se ci fossero anche le intercettazioni telefoniche, sai che Sapienzopoli. Comunque siamo tutti fratelli, i docenti, nelle righe finali del loro ultimo scritto «incoraggiano un confronto sulla libertà del pensiero laico, non confessionale né politico, nelle istituzioni di formazione dei giovani, per arrivare nel caso a un confronto sui luoghi della fede e i luoghi della conoscenza e su come e quando e dove sia lecito intrecciare fede e ragione». Come, quando, dove. Manca perché. I sessantasette, in fila per tre col resto di uno, non ce lo dicono. Peccato. Ho detto peccato?

di Tony Damascelli
Il Giornale 16 gennaio 2008