Il sacro perduto dall’Occidente

Non importa di chi sia la mano che ha martoriato il legno del martirio, che ha strappato le braccia dal Cristo inchiodato. Non importa perché quella è la nostra mano. Una mano stanca, che si muove ormai lontano dal suo corpo. Colpisce e non sa di colpire. Offende e non ha più memoria di cosa sia offesa. Che sia stata la stupidità senza coscienza di un ragazzotto di quartiere o una follìa più lucida ad amputare quel Crocifisso, non cambia. Il Cristo mutilato a pochi metri da piazza San Pietro non è lì per farci provare il brivido di uno scandalo di poche ore.

È il piccolo eppure grandissimo segno di cosa stia accadendo a tutto l’Occidente in queste lunghe e tristi settimane. Si sta spegnendo nei nostri popoli, nelle nostre città, nelle nostre strade, perfino nelle nostre case, il senso religioso. Di più: il senso del sacro, che è alla radice stessa della nostra tradizione, della nostra storia, della genesi delle famiglie dell’Occidente. Non vorrei dire una parola di troppo su questo sfregio fatto a Roma, in via Angelo Emo. Accadono cose che sembrano ben più terribili ogni giorno. Si sfregia la vita che pulsa, anche la più innocente.



Ma quel piccolo Crocifisso è un simbolo, e quello sfregio una ferita che rischia di essere molto profonda. Viviamo in un Continente ormai sradicato: la difficoltà di trovare radici comuni è stata ben evidente nei lunghi e sterili mesi in cui si è cercato di trovare una Costituzione comune. Chi da anni ha mosso quella guerra all’Occidente che tira giù grattacieli a New York e stazioni dei treni a Madrid conosce questa nostra stanchezza e debolezza. Sa che quel piccolo Cristo deturpato indica il nostro destino più di tante parole inutili. Comprendendo questo momento ci stringiamo intorno alla piccola comunità offesa dallo sfregio. La sua preghiera di riparazione può essere la nostra forza. Quelle isole del sacro la nostra possibilità. L’unica strada per non venire annientati dai guerriglieri che così ben conoscono la nostra insensata fragilità.



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Nello sfregio al Cristo l’odio per i cristiani


La coincidenza con l’appello del cardinal Ratzinger al recupero della dimensione del sacro in Europa



Roma, mozzate braccia e gambe di Gesù sulla Croce che da quasi mezzo secolo si trova nella parrocchia del quartiere Trionfale



ALFREDO VACCARELLA


il Tempo 17 maggio 2004



 


ROMA — Le gambe sono andate completamente distrutte: difficilmente anche un buon restauratore potrà far altro se non sostituirle. Le braccia invece, staccate dal corpo, le hanno lasciate lì, ai piedi dell’edicola sacra dalla quale il Crocefisso ha guardato i passanti di via Angelo Emo e piazzale degli Eroi per quasi 50 anni. Dal lontano dal 1958 fino alla notte fra giovedì e venerdì, quando qualcuno ha “fatto a pezzi” il Cristo di Santa Maria delle Grazie, la storica parrocchia del Trionfale.


Siamo nella zona nord di Roma, a pochi passi dalla nuova fermata Cipro della metropolitana. Difficile pensare al gesto di un teppista qualsiasi, di un vandalo di passaggio. Chi ha devastato la scultura infatti si è preso la briga poi di caricare il corpo del Cristo, portarlo da una parte, lanciarlo al di là della recinzione: “Nel cortile di pertinenza della chiesa, insomma. Come dire, trovatelo voi, preti”.


Ragiona così, don Romano De Angelis, da due anni parroco di Santa Maria, ancora sconvolto da questo scempio senza precedenti: “Il Crocefisso era stato installato lì durante la missione cittadina del ’58 e da allora è sempre stato oggetto della venerazione pubblica. Mai un problema, mai un incidente, niente. Giovedì sera invece è stato oltraggiato, divelto, mutilato. Un episodio così… – cerca le parole il sacerdote – un episodio simile si può leggere solo alla luce dell’imbarbarimento dei costumi, dell’odio per “la presenza di Cristo nella società e nella storia”.


Non cerca i colpevoli, il parroco, “non è il mio compito e poi c’è un’indagine dei carabinieri in corso. Ogni ipotesi sarebbe azzardata”. E però non può far a meno di notare “la coincidenza teporale col discorso tenuto dal Cardinale Ratzinger proprio giovedì pomeriggio: la lectio magistralis ai Senatori della Repubblica nella quale spiegava che solo il recupero della dimensione del sacro consentirà all’Europa di riacquistare la propria identità”. Già, un discorso scomodo, quello di Ratzinger. Il parroco non ne parla apertamente, ma di fronte a un sacrilegio come questo – come altro definirlo? – tornano alla memoria le mille polemiche sui crocefissi nelle scuole, oppure l’invito a limitare i matrimoni misti fra cristiani e musulmani.


Pista religiosa dunque, pista islamica? “Lo scenario dell’intolleranza può starci – commenta don Romano – come potrebbe starci anche quello del banale gesto vandalico. Quel che a me preme rimarcare è anche e soprattutto l’emozione che un’aggressione come questa ha suscitato nella comunità della Chiesa. Ho visto parrocchiani piangere, davanti ai poveri resti del Cristo durante la messa di riparazione, ho visto una bimba chiedermi con le lacrime agli occhi quando lo rimetteremo a posto. Per fortuna un fedele che fa il restauratore si è offerto di darci una mano”.


C’è però anche un’altra possibilità, una terza ipotesi altrettanto inquietante. Un paio di giorni prima qualcuno ha telefonato alle agenzie funebri della zona avvisando della morte di don Romano De Angelis, “tanto che questi impresari delle pompe funebri, che mi conoscono, hanno telefonato per chiedere conferma. Lì per lì ci siamo fatti due risate ed è finita così”, ricorda il parroco. Col senno di poi però, lo scherzo sembra più mirato di quanto poteva apparire sulle prime, specie se si ripensa “ai recenti inviti della diocesi, l’ultio quando ero parroco a Ponte Milvio, a fare attenzione alle ostie consacrate, a rafforzare i tabernacoli”. L’ombra insomma potrebbe essere anche un’altra: “Satanisti”, sussurra don Romano. Uno spunto in più per i carabinieri della Compagnia San Pietro.


FRANCO BECHIS
(C) il Tempo 17 maggio 2004
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