Il prof. Cardini critica «Il codice da Vinci»

Pregiudizi anticattolici dietro al successo de «Il codice da Vinci» di Brown

di FRANCO CARDINI


È uno dei successi incontrastati di quest’anno, non solo in Italia. Pare infatti che almeno un paio di milioni di lettori in giro per il mondo abbiano apprezzato «Il codice da Vinci» di Dan Brown. Come tutti ormai sapranno, si tratta di un romanzo, sebbene il suo autore scriva a mo’ di introduzione che «il Priorato di Sion – società segreta fondata nel 1099 – è una setta realmente esistente. Nel 1975, presso la Bibliothèque Nationale di Parigi, sono state scoperte alcune pergamene…», e via di questo passo.

Il presupposto del romanzo è che questa organizzazione sia depositaria di segreti che la Chiesa ha tenuto nascosti e che riguardano la vita, l’opera e l’eredità spirituale del Cristo. Non si tratta di una idea nuova. Già dal 1972 l’esoterista francese Pierre Plantard – che si proclamava, apparentemente senza ironia, discendente dei merovingi e custode del Graal – aveva introdotto l’idea di questo Priorato di Sion, a suo dire esistente da oltre mille anni.


La prova sarebbero i famosi documenti citati anche dal Brown, ritrovati nelle biblioteche, dove però li aveva opportunamente disseminati, dopo averli scritti, lo stesso Plantard. Il quale a sua volta non faceva che rimasticare e stravolgere leggende vecchie di alcuni decenni e riguardanti Rennes le Château, un paesino francese ai piedi dei Pirenei orientali.


A cavallo fra ‘800 e ‘900 vi operava il parroco Berenger Saunière, sospeso a divinis per via delle sue attività illecite. Esecutore di frequenti scavi nella cripta e nel cimitero del paesino, si diceva avesse accumulate consistenti ricchezze, che facevano sognare di tesori nascosti e ritrovati (anche se più prosaicamente, per quanto se ne sa, si trattava del traffico di donazioni e di messe). La sua storia sarebbe finita qui, se alcuni loschi personaggi (fra i quali la sua perpetua, che ne possedeva l’eredità) non avessero continuato a speculare nei decenni successivi sulla presenza di misteriosi tesori “medievali” appartenuti ai catari, un movimento religioso particolarmente attivo nel Midi francese, dichiarato eretico e perseguitato a partire dal Duecento.
Negli anni ’60, dopo essere cadute nelle mani di alcuni esoteristi e di giornalisti con pochi scrupoli, le leggende furono diffuse su scala nazionale. Sulla scia di Plantard, altri personaggi – soprattutto gli inglesi Baigent, Leigh e Lincoln – hanno montato un’impresa editoriale incentrata su presunti “misteri” del Santo Graal che, basandosi su un cumulo di imprecisioni e di menzogne, ha fruttato loro un capitale.


Il parroco avrebbe scoperto il segreto di Rennes le Château, dove sarebbe depositato non solo un tesoro favoloso, ma anche e anzi soprattutto la verità stessa sulle origini e la storia del cristianesimo, occultata per secoli dalla Chiesa cattolica: Gesù Cristo aveva avuto figli da Maria Maddalena, che dunque portano in sé il sangue stesso di Dio. I catari, i templari, e altri grandi “iniziati” avrebbero custodito e tramandato il segreto per circa due millenni. Sarebbe questo il Priorato di Sion del quale – e come potrebbe essere il contrario – Plantard e gli altri farebbero parte. Negli anni ’90, altri due “ricercatori” avrebbero addirittura “rivelato” la presenza del Sepolcro del Cristo, e il suo corpo, nascosto ai non iniziati sul Monte Cardou, ancora nelle montagne di Rennes.


Dan Brown, insomma, è solo l’ultimo in una lunga serie di piccoli e grandi, comunque abili venditori di finti misteri. Misteri creati artificialmente e proprio per questo in fondo assai banali, che però un adeguato battage pubblicitario e una buona dose di pregiudizio anticattolico, sempre di moda, portano ogni volta al successo.


© La Stampa, 31 marzo 2004