di Samir Khalik Samir
Drusi che chiedono perdono ai cristiani; cristiani che pregano per i sunniti: la rivoluzione pacifica in Libano fa sperare per la democrazia in tutto il Medio Oriente. E il paese dei cedri rimane il miglior modello di convivenza per la regione. Ma c’è bisogno della comunità internazionale. P. Samir, gesuita egiziano, è docente di storia della cultura araba e di islamologia presso l’Università Saint-Joseph di Beirut.
Leggiamo anzitutto il significato per il Libano.
a) in queste settimane ci siamo ritrovati come prima della guerra civile del ’75: per la prima volta, dopo tanti anni, le divisioni confessionali sono sparite. La rivoluzione è partita dai cristiani, poi si sono aggiunti i drusi, poi – dopo l’assassinio di Rafic Hariri (che era sunnita), si sono uniti anche i sunniti. Solo gli sciiti, per ora rimangono un po’ esclusi. L’ostacolo della confessionalità è scomparso. Tutta la gente ha cercato di superarlo. I cristiani, ad esempio, sono andati a pregare sulla tomba di Rafic Hariri. Sono andati a pregare anche nella moschea. Gli inservienti hanno distribuito a tutti copie del Corano. I cristiani li hanno presi e hanno usato il Corano. Per testimoniare l’integrazione fra le varie confessioni, alcuni hanno portato in una mano la croce, nell’altra il Corano e sulla testa il cappello tipico dei drusi. Fra i politici vi è la stessa tendenza. Un mese fa il leader druso Walid Joumblatt, è venuto all’università St Joseph e ha chiesto perdono per i massacri compiuti dai drusi contro i cristiani, durante la guerra. “Quando la Siria ha ucciso Kamal Joumblatt, mio padre – egli ha detto – noi sapevamo che eravate innocenti. Ma abbiamo approfittato di questa situazione per compiere il massacro dei cristiani. Lo abbiamo fatto e vi chiediamo perdono”.
b) tutto questo movimento è sempre stato pacifico: l’opposizione ha avuto idee chiare, fermezza senza compromessi, ma non ha mai usato la violenza in nessun modo. Anche l’esercito mandato dal governo per bloccare le manifestazioni, si muoveva senza troppa convinzione, simpatizzando con la popolazione.Il governo, capendo di non avere l’appoggio della popolazione, ha cercato dei piccoli compromessi. Ma l’opposizione non ha accettato, e il governo è stato costretto alle dimissioni. È stata una grande vittoria per l’opposizione, ma anche per la nazione libanese; frutto di un movimento nazionale – anche se mancavano gli sciiti – di ripresa dell’identità libanese.
Il dialogo necessario
Stiamo vivendo un momento davvero unico: in Iraq c’è qualche passo nella democrazia (anche se vi è ancora violenza); in Palestina stiamo vivendo momenti nuovi; Palestina e Israele cercano di camminare nella razionalità. L’atteggiamento tenuto dai libanesi può servire dal modello per comunicare che “con il dialogo si ottengono risultati”, che la soluzione della forza non serve. Quanto è stato ottenuto in Libano in questi giorni è frutto di una decisione caparbia, alleata alla non violenza. Ma per questo occorrono alcune condizioni di dialogo:
una condizione interna. Dobbiamo affrontare il problema Libano: che tutti insieme si mettano a discutere che cosa vogliamo di questo paese; perché c’è così tanta violenza; perché ogni gruppo da noi si appoggia a qualche stato straniero, a una forza esterna (cristiani alla Francia o all’Europa; i sunniti all’Arabia saudita; gli sciiti all’Iran; i drusi al più forte – una volta la Siria, una volta la Gran Bretagna, adesso gli Stati Uniti). E occorre cercare una soluzione senza vincitori né vinti, ma mettendo alla base l’indipendenza.
Occorre affrontare il problema anche con la Siria. Damasco non ha mai riconosciuto il Libano, né le sue frontiere; non ha mai scambiato un ambasciatore con Beirut. Perfino le linee telefoniche sono unificate e telefonare a Damasco è possibile farlo come una interurbana, non una internazionale. Come mai dopo 60 anni e più non si riconosce un paese? Occorre attuare il principio secondo cui le frontiere internazionalmente riconosciute sono sacre. E questo apre un terzo problema.
Israele. C’è una grande ingiustizia nel Levante ed è il fatto che Israele occupa dei territori palestinesi. Finché non ci sarà da parte di Israele (e degli Stati Uniti) un riconoscimento delle frontiere altrui, non ci potrà essere la pace in Medio Oriente. I siriani dicono: perché io devo riconoscere il Libano, se Israele non riconosce i confini degli altri, occupando il Golan, la Palestina e la Cisgiordania? E perché la comunità internazionale non dice nulla?
In Libano noi abbiamo la percezione che gli Stati Uniti siano troppo soli nel decidere la struttura del mondo. Non si capisce perché le decisioni dell’Onu valgano per certi stati, ma non per Israele. Ad esempio: con che diritto gli Stati Uniti dicono che l’Iran non deve avere la bomba atomica, mentre gli Stati Uniti devono averla? Tutto ciò suggerisce l’idea che chi è forte impone la sua legge. E questa legge del più forte è seguita dalla Siria nei confronti del Libano.
Collaborazione fra Stati Uniti ed Europa
Questa pacifica rivoluzione libanese può essere il catalizzatore di una trasformazione democratica del Medio Oriente, a condizione che Libano, i paesi dell’area, gli Stati Uniti e l’Europa decidano di applicare a livello internazionale i principi che praticano a livello interno.
Anche se gli Stati Uniti sono il paese più forte, nel Medio Oriente vediamo l’Europa più vicina. Molta gente ha più fiducia nell’Europa che negli Stati Uniti. Ma è una fiducia un po’ mal riposta L’Europa annega nelle difficoltà interne, in una identità sfuocata. E non avendo un esercito, alla fine non può fare altro che sottomettersi al più forte. Dopo la fine dell’Urss, l’Europa potrebbe avere la funzione di correggere gli Usa. Non possiamo risolvere il problema libanese, o palestinese, o irakeno senza l’intervento dell’Europa. Altrimenti c’è solo una dittatura, magari benevola, dell’America. Questo diventa doloroso soprattutto parlando di Israele: gli Stati Uniti hanno sempre opposto il loro diritto di veto sulle decine di dichiarazioni Onu verso questo paese. Nessun governo osa dire qualcosa. Noi paghiamo il prezzo di questa omertà dell’Europa e degli Stati Uniti. Se vogliamo che il Medio Oriente sia più democratico, occorre che il sistema internazionale sia più rispettoso dei diritti di tutti.
Per il ritiro della Siria
Tutto questo suppone che la Siria si ritiri con il suo esercito e i suoi servizi segreti. Questa possibilità è sempre più attuale. Anche fra i siriani – dove non si può parlare pubblicamente contro il governo – molta gente reagisce bene e rifiuta la presenza dell’esercito siriano in Libano. Anche la Siria, vedendo che non ha appoggio nel popolo libanese, stia ripensando al suo ritiro. Ma il ritiro nella Bekaa non basta. E anche se la Siria si ritira nelle sue frontiere, il problema rimane: in Libano vi sono sempre libanesi che vendono la patria per un pugno di dollari. Per questo dico che il primo passo è rafforzare la coscienza nazionale; farlo in dialogo e non con la violenza. Poi stabilire un dialogo con la Siria. Ed è a questo punto che gli Stati Uniti e l’Europa possono aiutare: noi non abbiamo potere nei confronti della Siria. Occorre uno più forte che costringa la Siria ad ubbidire alle convenzioni internazionali e ad aprire il dialogo.
Tutte le personalità, a partire dal patriarca maronita Nasrallah Sfeir, hanno sottolineato che vogliamo il ritiro della Siria, ma vogliamo rimanere amici dei siriani. Lo stesso hanno detto i drusi. Ma per fare questo occorre una pressione internazionale, che costringa i siriani al dialogo. E trovo anche buono e giusto che la comunità internazionale si sobbarchi un aiuto finanziario per la Siria. Tutto ciò è simile a quanto Israele ha fatto verso i coloni di Gaza, chiedendo agli Stati Uniti un compenso per la loro uscita da Gaza. Se si cerca una soluzione pacifica per il Medio Oriente, occorre questa volontà politica. È da notare che siamo in un periodo favorevole, forse il più favorevole da decenni: è davvero un’occasione da non perdere.
Il mondo arabo e la democrazia
Il mondo arabo mi sembra senza coraggio. Ogni volta che deve prendere decisioni impopolari, preferisce nascondere la testa sotto la sabbia. Vi sono molte contraddizioni che ci bloccano – forse ancora più che in Europa. Adesso i Medio Oriente sembra farsi strada il sostegno verso una soluzione pacifica per l’Iraq e per la Palestina. Chi vuole la violenza sono i fondamentalisti islamici, che minacciano anche gli stati arabi. La congiuntura attuale permette forse di pensare a un progetto globale di democrazia in Medio Oriente. Ma questo è possibile se vi partecipano gli Stati Uniti, l’Europa e il mondo arabo. Occorre trovare una soluzione al terrorismo, alle violazioni, alle dittature. Noi arabi, siamo tutti d’accordo che fra noi vi sono troppe dittature, più o meno dolci, ma sempre tali. Ma la situazione sta cambiando: perfino in Egitto hanno cambiato il metodo delle elezioni (voto diretto) e il presidente Mubarak ha deciso – dopo 4 legislature – di non presentarsi.
Il Libano rimane un caso speciale e significativo. Ciò è dovuto a una presenza massiccia dei cristiani. Essa crea in Libano un pluralismo per essenza e per costituzione, che intreccia confessioni religiose e rappresentatività parlamentare. Ogni tanto si afferma che dobbiamo cancellare il sistema confessionale, ma per il momento è impossibile: nel mondo orientale, l’unica forma pluralista che funzioni per adesso è il pluralismo religioso. Il modello libanese, anche se molto piccolo, ridotto, ferito dalla guerra passata, rimane una possibilità. E i popoli arabi lo percepiscono. Quest’anno vi è stata una vera e propria invasione di turisti dai paesi del Golfo in Libano. In parte, ciò è dovuto alle difficoltà per loro di viaggiare verso l’America e l’Europa, a causa dei controlli e della difficoltà ad avere un visto. Ma essi vengono da noi perché qui trovano più democrazia, più libertà, anche nei costumi. Apprezzano il sistema liberale libanese, nell’economia e nei costumi: qui una ragazza può andare col velo e un’altra, sua amica, senza velo. Il luogo più bello per vedere questa pluralità in atto è il nuovo centro di Beirut: la sera passeggiano famiglie cristiane, musulmane senza alcuna distinzione. E poi lungo la costiera, dove si incontrano persone di ogni tipo e religione. Il Libano non ha perso questo vibrante pluralismo e chi lo ha gustato una volta, lo capisce e lo prende come modello.
3 Marzo 2005