I vescovi del Venezuela appoggiano il referendum contro Chávez

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CARACAS, martedì 6 aprile 2004 (ZENIT.org).- Gli arcivescovi e i vescovi del Venezuela hanno appoggiato il Referendum Revocatorio Presidenziale, proposto contro il presidente Hugo Chávez, definendola una soluzione che tenta di superare “la tentazione di ricorrere alla violenza per dirimere le differenze politiche e sociali”.

A riferirlo è un comunicato pubblicato il 1° aprile scorso durante l’Assemblea Straordinaria della Conferenza Episcopale del Venezuela, convocata in ragione della crisi economica, sociale e politica che il Venezuela sta attraversando in questo periodo.



Di seguito riportiamo per intero il testo del comunicato:



 


 


 


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Difendere la vita, responsabilità di tutti



 


 


1. Noi arcivescovi e vescovi del Venezuela, ascoltando le grida del nostro popolo di fronte alla gravissima situazione che minaccia di distruggere la pace della Nazione, ci siamo riuniti in Assemblea Straordinaria alla vigilia della Settimana Santa, celebrazione centrale della nostra fede cristiana.



2. Il popolo soffre il crescente deterioramento della qualità della vita. Si trascina, da molti decenni, gravi problemi sociali che, nonostante alcune iniziative recenti, sono lungi dall’essere superati e, in certi casi, si sono addirittura aggravati. Le aspettative di porre fine alla corruzione e di creare una democrazia di più ampio contenuto sociale e partecipativo rappresentano, in buona misura, promesse non mantenute.



3. Condividiamo l’angoscia di tanti Venezuelani per le reiterate violazioni dei loro diritti fondamentali e per la dissoluzione dello Stato di diritto. Le offese alla dignità della persona umana e il dimenticare il bene comune disonorano più quelli che li mettono in pratica che coloro che soffrono l’ingiustizia e “ledono grandemente l’onore del Creatore” (Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 3). Rifiutiamo la violenza, da qualunque parte provenga. Denunciamo le eccessive repressioni da parte delle forze di sicurezza, con il tragico saldo di morti, arrestati, torturati e umiliati; se questa situazione persistesse, protetta dall’impunità, i cittadini rimarrebbero indifesi e alla mercé di abusi e arbitrio.



4. Il progressivo deterioramento delle istituzioni, la minaccia di un collasso nazionale, la tentazione di ricorrere alla violenza per dirimere le controversie politiche e sociali ci portano ad appoggiare l’ipotesi di una consultazione popolare, che miri ad una soluzione pacifica, democratica ed elettorale della crisi del Paese. Scartate altre possibilità, la società è giunta alla decisione di assumere il Referendum di Revoca Presidenziale come meccanismo costituzionale adeguato.



5. I fatti recenti parlano della possibile frustrazione del diritto dei cittadini a questa consultazione. Insieme ad altre persone e ad altre istituzioni, abbiamo sollecitato l’esercizio del potere elettorale, la trasparenza e la rapidità. Impedire o ritardare, in maniera indebita, l’esercizio di questo diritto, ponendo ostacoli e adducendo legalismi, è una grave ingiustizia, contraddice gli impegni assunti tra le parti in conflitto e rappresenta una minaccia per la pace. E’ il popolo sovrano che deve decidere il futuro del Paese; in questo modo sarà possibile una soluzione pacifica. Le rappresaglie contro coloro che sono stati licenziati dai posti di lavoro o privati dei loro diritti e dei benefici sociali per aver firmato la richiesta di referendum o per il fatto di dissentire dalle politiche governative costituiscono una violazione dei diritti umani e aggravano la crisi nazionale.



6. E’ necessario contenere e superare la divisione e la violenza crescenti. Il Paese non tollera più la polarizzazione che ci divide in buoni e cattivi, patrioti e golpisti. Dobbiamo guardare avanti. Non è accettabile l’ipotesi di tornare indietro, come propongono alcuni che vorrebbero recuperare i propri privilegi; ma non lo è nemmeno imporre un modello politico di Paese escludente, autoritario e di tendenza totalizzante. Dobbiamo costruire insieme una nuova società e ognuno deve assumersi l’onere del sacrificio richiesto dall’unione di tutti e dall’impegno per sradicare la povertà e superare l’esclusione. Con la discordia e la violenza non si hanno vincitori: con la pace vinciamo tutti. Su queste basi dobbiamo costruire la nuova patria. La gloria di Dio è che l’uomo viva (S. Ireneo).



7. Il Venezuela è un Paese cristiano, rispettoso della vita, solidale e allegro. Noi Cattolici dobbiamo essere i primi a dare l’esempio di ciò che chiediamo al Paese, ai governanti e ai fratelli: dobbiamo abbandonare gli atteggiamenti superbi, perdonare e chiedere perdono, promuovere il dialogo costruttivo, riconoscere il volto di Cristo in ogni persona. Siamo chiamati a promuovere la cultura della pace e della riconciliazione; ad impegnarci nella verità, ripudiando la menzogna, l’inganno, le false promesse; a seminare speranza. Noi vescovi ribadiamo il nostro impegno di essere casa comune, luogo di incontro, servitori di ogni dialogo autentico tra le persone, i gruppi e le istituzioni.



8. La Settimana Santa e la Pasqua di Resurrezione costituiscono la testimonianza più eloquente del fatto che Dio ama gli uomini e dà la Sua vita per loro. Cristo è morto per riconciliarci con Dio e tra noi. La Pasqua è la vittoria della vita e motivo di speranza. La celebrazione di questi misteri ci invita alla conversione personale e comunitaria, alla preghiera, all’impegno a trasformare in realtà nella nostra patria l’anelito alla fraternità, alla riconciliazione e alla pace.



Che la Vergine Maria, Madre del Redentore, interceda per noi e ci benedica.



Caracas, 1° aprile 2004



GLI ARCIVESCOVI E I VESCOVI DEL VENEZUELA



 


[Traduzione dall’originale in spagnolo a cura di ZENIT]


ZI04040601


 


 


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Servizio quotidiano – 06 Aprile 2004